intervista di Orazio Labbate a Philip Ó Ceallaigh
Philip Ó Ceallaigh è autore di due raccolte di racconti tradotte in italiano, Appunti da un bordello turco (2016) e La mia guerra segreta (2019), entrambe pubblicate da Racconti Edizioni.
Che cos’è, secondo te, la letteratura?
In una società rigida e basata sul censo la letteratura è tutta sullo sposare qualcuno più ricco di te. In una società libera e individualistica è sulle complicazioni romantico-erotiche della vita privata. Nella Russia stalinista è sui gulag. Per me, è un gesto di resistenza in un mondo in cui siamo tutti ipnotizzati da un piccolo schermo.
La tua raccolta di racconti tratta di gente solitaria e diversa attraverso la potenza di un linguaggio secco e poetico. È questa solitudine dei tuoi personaggi a fare brillare i tuoi racconti? E che tipo di solitudine? Una solitudine orrifica attraverso la realtà?
Nelle mie storie c’è un modo di esaminare la vita delle persone che potrebbe farle sembrare solitarie, o magari uno studio dell’aspetto solitario e incapace di relazionarsi socialmente di ognuno di noi. Noi tutti presentiamo il nostro volto sociale agli altri. La pagina e la scrittura hanno il potere di scoperchiare questo tratto privato e solitario che chiunque possiede.
Quali sono i romanzi chiave e la raccolta di racconti che ti hanno iniziato alla scrittura?
Fame di Hamsun, Viaggio al termine della notte di Céline, Sulla strada di Kerouac, Tropico del cancro di Miller, Panino al prosciutto di Bukowski. Infilerei nel mucchio anche Dostoevskij per Delitto e castigo e I fratelli Karamazov. E i racconti di Hemingway, quelli di Carver e Isaak Babel’. Ma la lista è infinita, e continuano a venirmi in mente altri nomi. Mi piacerebbe avere più tempo di leggere, per immergermi negli scrittori che scopro.
Parlami del tuo metodo di scrittura.
Non ne ho alcuno. Cerco di eliminare le distrazioni. Senza grande successo. La mia vita non mai è stata abbastanza stabile. Devo guadagnarmi da vivere, ristrutturare l’appartamento, portare mia figlia a scuola la mattina. Preferisco le mattinate. Il caffè aiuta. Ma sono uno ostinato. In pratica, tutto mi dice che dovrei smettere ma io non mollo.
Dove scrivi?
Se intendi il posto di cui scrivo, ho cominciato con il palazzo in cui vivevo, poi mi sono allargato alla città. Mi muovo ancora all’interno della città. In maniera sempre più mirata. Gradualmente la città si fa più astratta. Sempre meno un posto reale e piuttosto una proiezione della mia immaginazione.
Tu esisti nei tuoi racconti?
Non credo di capire la domanda. Se mi stai chiedendo se scrivo di me, allora sì. Ma non vorrei che si pensasse che io faccio dell’autobiografia, perché allora sarei accusato di inventarmi balle. Cosa che faccio, spesso.
Quanto è importante l’attenzione allo stile per ottenere un risultato potente ed efficace nei tuoi lavori?
È vitale. Riuscire a far sembrare che la scrittura proceda senza sforzi è la parte più difficile.
Cosa suggerisci a chi vuole scrivere racconti?
La brevità.
Apprezzi l’opera di qualche scrittore italiano?
Non mi dispiacciono i primi due versi dell’Inferno di Dante.