Cristian Mannu è vincitore ex aequo della XXVIII edizione del Premio Italo Calvino
dal numero di giugno 2015
Concetta Granata e sua figlia Maria (estratto)
Sono morta di dolore. Ed è un atto dovuto al Signore. Sono morta per questa figlia che mi ha abbandonata e per quella che ha deciso di restare. E per Pietro sono morta, ma quello molto tempo prima. Sono morta due volte. E adesso non sento più il verso di quell’aquila amica che qui aveva il nido. Non vedo più le sue piume rosse ed il bianco del dorso. Non mi dicono più niente i suoi canti d’amore. È così, dunque, la morte? Ti priva davvero dei sensi ma non del ricordo?
Sono morta di dolore in un giorno d’inverno, come neve che cade e senza vento. Sono morta volando a Is Barrocus. E adesso non sento più niente. Ma ero piccola un tempo. Ero piccola e guardavo mio padre. Gli guardavo le mani, percorrevo con il nero degli occhi il solco ancora più nero dei suoi palmi callosi. E mi piaceva attraversargli le rughe del viso, quelle sopra la barba, sotto i suoi zigomi forti. Ero piccola prima che questa mia figlia mi lasciasse. Ma il dolore adesso è solo un ricordo.
Dove ho sbagliato, Signore? Ho peccato, ho troppo peccato. Sono stata una figlia malfatta, una moglie imperfetta, una madre distante. Sono stata un’amante. Ma non ho saputo strapparlo alla morte. Ho lasciato alle spalle la mia terra natia e i miei cari per seguirlo dall’altra parte del mare, per seguire un uomo che non ho potuto sposare. L’ho inseguito nascosta, attraversando pianure e montagne e strade salate e agitate dentro una nave. Lui che sposato era già. L’ho seguito sposando il suo amico, per continuare non solo a sognarlo, per vederlo, per continuare ad amarlo.
Mia figlia Maria non ha fatto altrettanto. Lei aveva un vento più forte del mio a spingerla dentro. Lei non ha saputo calmarlo quel vento, non ha saputo come farlo quietare. Lei aveva gli occhi più azzurri del padre. E suo padre era Pietro, giudice del Marghine, Uggias, di Macomer. Ma nessuno lo sa. Neanche lei. Nessuno lo sa che suo padre era Pietro, il mio Pietro. Lui si è ucciso una sera. E che Dio lo perdoni. Ha trovato una corda e ha deciso di farne ghirlanda sul collo… Non lo sa che Maria è la sua unica figlia. Non lo sa che è scappata da me, da sua madre. Non lo sa che lei è di un uomo sposato che faceva lo zingaro, ora. Non lo sa che è scappata una notte insieme al cognato e non è più tornata da me.
E io cosa so? Che ho peccato, che ho tanto peccato, Signore. E mi dolgo. E mi pento. E mi pento e mi dolgo, Signore. Per mia figlia Maria…
Maria non ha colpe, Signore. Lo so. Tutta mia è la sua colpa. E mi pento. E mi dolgo. E mi dolgo e mi pento. E ti chiedo perdono. Il dolore mi ha fatto morire. Più delle lingue infuocate in paese… Il mio dolore nel suo, il suo dolore nel mio. Nel petto di Maria, nei suoi occhi azzurri. Nella corda sul collo di Pietro. Nel cielo azzurro che non ha mai raggiunto, nell’acqua azzurra su cui non sono caduta. Nell’odore di muschio quella notte a gennaio. La sua colpa è la mia. Il suo peccato è il mio.
Maria era bella, più bella di Pietro, più bella di me. E sapeva filare col rame e la lana, ancora bambina. E sapeva scrivere parole infuocate e d’amore. Per quell’uomo intrigante, per i suoi occhi neri e i suoi neri capelli, per i suoi neri pensieri, per la sua voce possente e la sua frusta arrogante. Avrei dovuto aiutarla mia figlia, ma non ho avuto la forza. Mi ero spenta poco dopo il suo arrivo, quando era ancora bambina, quando Pietro si era dato la morte. Non capivo. Non c’era più il sole che guidava i miei passi nel mondo. Non c’era più Pietro. Non c’ero più io. E camminavo camminavo di fretta in una notte che non sembrava finire, ed ero sempre in ritardo, arrivavo sempre in ritardo e non riuscivo a parlare. E camminavo camminavo in circolo, sempre dallo stesso verso, sempre, e sprofondavo sempre e sempre più in basso e tutto diventava più nero, nero, più nero del nero. E non capivo. E non sentivo. E non vedevo. E camminavo camminavo ma senza sentire i miei piedi senza sentire le mani senza motivo ed ero sempre in ritardo e tutto iniziava di nuovo e si ripeteva uguale sempre uguale in quelle notti che non avevano fine ed erano sempre più nere e senza parole e uguali e uguali e uguali senza parole e nere, nere, nere più nere del nero. E cresceva Maria, intanto cresceva. E sbatteva quel vento, più forte che mai, dentro il suo petto ancora bambino. E creava Maria, con la lana ed il rame, creava abiti belli come mai si erano visti e tappeti e arazzi e cuscini. E tesseva le sue storie d’amore, Maria. Poi è arrivato quel folle e piacente ramaio che ingannava le donne. Ed il vento in tempesta ha sbattuto di nuovo e ancora più forte, e l’ha portata lontana da Ísili, lontana da me.
Maria di Ísili è stato pubblicato nel 2016 da Giunti: la recensione di Fabio Stassi.