La festa di ciò che diviene
di Matteo Moca
Marco Rovelli
IL TEMPO DELLE CILIEGIE
pp.126, € 14
Eleuthera, Milano, 2018
“Dicono che sia stata lei a incendiare Parigi. Le notizie qui a Vroncourt arrivano tardi, sempre che arrivino: ma stavolta pare che da Parigi un giudice abbia chiesto direttamente al sindaco informazioni su Louise. Dicono che a Parigi non si faccia che parlare di lei ovunque. L’incendiaria, dicono. Ma io non ci credo. Me la ricordo bene, Louise, al castello”. Queste sono le parole che Marco Rovelli affida alla voce di Henri, il giardiniere del castello di Vroncourt dove trascorse l’infanzia Louise Michel, anarchica e protagonista della Comune francese del 1871. In Il tempo delle ciliegie Rovelli, tra i cui libri si segnala l’importante Eravamo come voi. Storie di ragazzi che scelsero di resistere (Laterza), un libro che indaga proficuamente l’esperienza della Resistenza attraverso un reportage narrativo tra gli uomini che decisero di diventare partigiani, costruisce un ritratto corale dell’anarchica francese, composto attraverso le parole delle persone che gravitarono attorno a lei, un ritratto che quindi si piega anche ad una molteplicità stilistica che riflette la lingua del giardiniere, come in questo caso, oppure quella della madre (“Incendiaria, dicono, ma quale incendiaria. Lei ama il mondo, ama tutto del mondo, il fuoco ce l’ha dentro, non lo appicca alle cose”), del rettore dell’accademia di Chaumont (“Non mi sorprende che sia andata fino in fondo alle sue idee repubblicane. Il suo carattere era quello: acceso, entusiasta, passionale”) o di Victor Hugo (“Dagli animali agli uomini, Louise ha sempre preso le parti del margine. (…). Era la sua immensa fede nel riscatto umano, che risaltava. Bisogna insegnare agli idioti e ai pazzi a vedere, a sentire, a desiderare, prima che a ragionare. E credo stesse parlando del genere umano tutto quanto, in realtà”).
Louise Michel viveva a Vroncourt, ma era figlia di una cameriera e del notabile del castello e crebbe in mezzo ad un mondo ammantato di nobiltà ma legato anche alle idee dell’illuminismo. Ebbe sempre un legame speciale con la madre, tanto che quando fu arrestata in seguito agli scontri di Thiers, Louise decise di consegnare se stessa all’esercito, chiedendo pure la pena di morte, per salvarla. Non arrivò alcuna condanna alla pena di morte ma per lei fu decisa la deportazione in Numea, in Nuova Caledonia: lì, oltre a ritrovare compagni di lotta anch’essi in esilio, Michel continuò la sua professione, creando una scuola per i figli dei deportati. Rimase in Nuova Caledonia fino al 1880, quando le fu concesso di tornare in Francia dove continuò, strenuamente, le sue lotte politiche, che non si fermarono fino a che non sopraggiunse la morte. L’appassionato racconto di Rovelli, né romanzo, né biografia, né saggio, ma un insieme armonico di tutto questo, ripercorre la storia di questa straordinaria donna di provincia che sarà calamitata al centro dell’Europa per la sua vocazione tanto rivoltosa quanto naturalmente predisposta al servizio degli altri e soprattutto sempre in opposizione ai potenti e a chi può fare del male ai più deboli: “Ho sempre continuato a pensare che il modo in cui la gente delle nostre parti tratta gli animali, come oggetti inanimati su cui scaricare ed esercitare la violenza, sia il modello di come i potenti trattano gli inferiori sulla scala sociale”. Nella parte centrale del libro, che è quella che risulta più intensa, il racconto si fa in prima persona e la voce narrante ricorda i momenti del grande corteo per le strade di Parigi e il periodo trascorso in prigione. Talmente forte si fa la partecipazione di Michel ai moti rivoluzionari parigini che finirà addirittura per identificare la sua stessa persona con la manifestazione, come nelle parole del 1871: “Io sono la Comune. La moltitudine dei senza nome. Il fuoco che sprigiona un tempo nuovo. La festa di ciò che diviene. La felicità di ciascuno e di tutti. Io sono la Comune, il tempo che rinasce e divampa, il tempo che si riproduce per scissione, a due a due come le ciliegie, in una catena infinita e senza centro. Io sono la Comune, e dunque non sono Io, ma la disseminazione dei corpi e delle anime confusi in un grappolo di suoni senza fine. Io sono la Comune, che non può morire, e danza”.
Il libro di Rovelli è dunque un omaggio non solo alla figura della storica comunarda, ma anche ad una primavera immersa negli ideali di libertà e uguaglianza, un momento rimasto nella storia che oggi stride fortemente con i paradigmi dei tempi nei quali viviamo. Nella storia di una donna che ha combattuto per tutti, senza esclusione di colpo, si dovrebbe forse rintracciare una luce di speranza che dal passato illumini il futuro.
M. Moca è dottorando in letteratura italiana all’Université Paris Nanterre e all’Università di Bologna