Ascolto amoroso in classe economica
recensione di Elisabetta D’Erme
dal numero di dicembre 2018
Rachel Cusk
RESOCONTO
ed. orig. 2014, trad. dall’inglese di Anna Nadotti
pp. 185, € 17
Einaudi, Torino 2018
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Resoconto (Outline), con Transit e Kudos che ne completano la trilogia, è stato celebrato come un tentativo di reinvenzione del genere romanzo attraverso una scrittura che fa convergere la finzione narrativa con la tradizione del racconto orale, come se la voce narrante potesse assumere le funzioni di un oracolo delfico, facendosi strumento di trasmissione di messaggi (forse) sapienziali.
La protagonista, la scrittrice Faye, è stata invitata a tenere un corso di scrittura creativa ad Atene; prima di partire, durante il viaggio e nel corso del soggiorno, si trova ad avere una serie di incontri e diventa una cassa di risonanza per le voci dei suoi occasionali interlocutori, dei quali riporta i monologhi, intervallati dalle sue brevi, cruciali domande o osservazioni. Esplosioni di flussi di coscienza che il lettore è chiamato a interpretare, decodificare. Faye è dunque il “medium” di questo traffico di pensieri, rimpianti, vicende private e storie di crisi esistenziali. Lei stessa appena uscita da una dolorosa separazione e con due figli da gestire, ha una sovrumana capacità di ascolto e riporta con distacco e precisione quanto le viene narrato ad esempio da un vicino di volo in aereo, da colleghi che partecipano al corso di scrittura, da amici o sconosciuti. Tutti personaggi dotati di un ego debordante. Faye può solo prestare attenzione. Il suo è un ascolto partecipe, empatico, un “ascolto amoroso” nel senso in cui lo intende Iris Murdoch nei suoi scritti filosofici. Sì, perché di questioni filosofiche sulla vita e sul suo senso, in questa trilogia dove non succede niente ma dove viene raccontato di tutto, alla fine ne vengono poste molte. I ricorrenti temi del disfacimento dei rapporti di coppia, della relazione con i figli, delle stigmate inflitte dai conflitti familiari, pongono una serie di questioni morali e un aspro confronto con la realtà. Come ha dichiarato in molte interviste, il nodo cruciale attorno a cui ha lavorato Rachel Cusk in questa sua ultima trilogia è proprio il momento in cui il concetto di realtà entra in crisi. Momento coincidente spesso con un evento epifanico, capace di provocare un cambiamento radicale e una cesura tra un passato che è al tempo stesso terrificante e idilliaco, e un presente che appare ancora incompleto, ma già privo di autenticità e condannato al fallimento.
Il respiro della voce umana
Nata in Canada nel 1967 da genitori inglesi e trasferitasi in Inghilterra nel 1974, dopo aver studiato in America, Rachel Cusk insegna oggi scrittura creativa e ha alle spalle una lunga carriera di scrittrice, con nove romanzi e una trilogia di memorie autobiografiche (A Life’s Work, Aftermath e The Last Supper) in cui descrive impietosamente la propria famiglia, dalla quale prende presto le distanze, l’esperienza della maternità, un disastroso viaggio in Italia e la fine di due matrimoni (ora è felice con il terzo marito). Lunga è la lista dei premi letterari ricevuti da Rachel Cusk. Già il suo debutto nel 1993 con il romanzo di formazione Saving Agnes ambientato a Oxford venne accolto col Whitbread First Novel Award. Seguirono tra gli altri The Country Life, In the Fold e The Bradshaw Variations dove faceva sfoggio virtuosistico di stilemi gotici e vittoriani. La predilezione per testi sontuosi ha ora ceduto il posto a una scrittura controllata, splendida, che rende in modo perfetto ciò che si propone di ricreare, ovvero la sua matrice orale, il ritmo del respiro della voce umana nel momento di porgere la parola. Ed è proprio questo respiro che Anna Nadotti è riuscita a trasporre magistralmente nella sua impeccabile traduzione di Resoconto.
Un respiro lungo che dà ossigeno a una teoria di micro narrazioni e che fa pensare al ritmo della risacca del mare. Mare che, nel romanzo, è una presenza costante sullo sfondo di una Atene torrida, immersa in una luce abbacinante. In apertura del suo “resoconto” la protagonista riferisce di come abbia rischiato di perdere l’aereo a causa di un appuntamento con un miliardario che l’aveva interpellata per fondare una rivista letteraria, ma che si era rivelato interessato solo a raccontarle la sua vita. Su questo schema saranno improntanti gli incontri seguenti che riecheggiano quasi le istruzioni di sicurezza impartite dall’assistente di volo prima del decollo, ovvero la “disposizione di occuparsi degli altri solo dopo essersi occupati di sé” e “della cui fondatezza” Faye non può che dubitare, infatti di lì a pochi minuti diverrà l’attento recipiente delle chiacchiere del distinto signore che si è trovata seduto accanto. Il suo racconto introduce da subito i grandi temi dell’intera trilogia: l’infinita capacità degli esseri umani di vivere nell’illusione e l’inevitabile destino di dover sempre sperimentare il disincanto.
Il “vicino” (come sarà sempre indicato nel corso della narrazione) è un greco cosmopolita, rampollo di una dinastia di armatori, che a seguito di una serie di rapporti fallimentari ha visto sbriciolarsi il proprio patrimonio materiale ed affettivo. Descrivendo i primi anni del suo secondo matrimonio confessa a Faye che all’epoca “stava, di fatto, fabbricando un’illusione: per quanto si desse da fare, il divario fra illusione e realtà restava incolmabile”. La caduta, la cacciata dall’improbabile paradiso del primo matrimonio lascia molti personaggi di questa trilogia con una “sensazione di precarietà, di instabilità” e un pericoloso senso di perdita della realtà. Tutta la trilogia, forse ancora più marcatamente in Transit e Kudos, è percorsa da una sensazione di imminente pericolo, di minaccia, che proviene da più fronti, non solo da mariti, mogli, genitori o figli.
Il “vicino di volo”, pur con le sue carenze, è una persona umana e interessante, tanto che Faye decide di accettare due inviti ad andare in barca con lui. Occasioni in cui il greco provvederà a completare il proprio racconto, mentre il lettore riceverà brandelli di informazioni sulla vita privata di Faye. L’incontro successivo è con Ryan, sgradevolissimo collega di lavoro irlandese, un egomane che brilla per la sua cafonaggine. Il filone della disillusione viene affrontato di nuovo da un amico greco, Paniotis e da Angeliki, una femminista glamour che nei suoi libri descrive l’incompatibilità tra la vita matrimoniale e la realizzazione creativa e artistica. Altri incontri avvengono con l’amica Elena e Melete, lesbica e sanamente scettica. Il libro si chiude con l’arrivo di Anne che subentrerà a Faye nell’appartamento messo a disposizione dagli organizzatori del corso di scrittura. Un’altra donna disillusa, in cerca di se stessa dopo esser stata vittima di un’aggressione. Due capitoli, forse i punti deboli del libro, sono dedicati alle lezioni di Faye ai suoi studenti e sollevano dubbi sulle sue qualità di buona insegnante. A parte Ryan e, naturalmente, Faye, nessuno di questi personaggi comparirà di nuovo negli altri volumi della trilogia che sono già in corso di traduzione e che usciranno nei prossimi due anni.
Per concludere: forse il messaggio sapienziale veicolato dai resoconti oracolari di Faye è racchiuso nello stupore di fronte all’impossibilità di “vedere il nesso tra disillusione e conoscenza” perché la conoscenza è “inevitabilmente destinata a diventare disincanto”. Conversazioni, queste, che non capiteranno mai a chi – ad esempio – viaggia in business class “area silenzio”.
dermowitz@libero.it
E D’Erme si occupa di letteratura irlandese