Il prigioniero Z e i suoi desideri
recensione di Adele Tiengo
dal numero di ottobre 2018
Nathan Englander
UNA CENA AL CENTRO DELLA TERRA
ed. orig. 2017, trad. dall’inglese di Silvia Pareschi
pp. 248, € 19,50
Einaudi, Torino 2018
Nell’incipit di Una cena al centro della terra si coglie il senso di un romanzo che fa del contrasto tra esistenza privata e vicende geopolitiche la propria ambientazione elettiva. Nathan Englander, nato a New York nel 1970 e vissuto in Israele per diversi anni, chiama direttamente in causa l’individualità dei suoi personaggi, impedendo loro di rifugiarsi dietro i confini che la storia ha posto loro davanti: “Non ti riguarda mai direttamente. Né l’aggressione, né la rappresaglia. Né i tre ragazzi rapiti, senz’altro morti, né il bambino assassinato nella foresta, bruciato vivo”. Il conflitto israelo-palestinese, perno attorno al quale ruota la narrazione, oscilla tra il ruolo di protagonista a quello di puro sfondo per le vicende umane che in esso prendono forma.
Ci sono molteplici piani narrativi, nei quali si succedono personaggi, luoghi e tempi differenti. Alcune vicende reali forniscono il materiale grezzo sul quale viene sviluppata la trama, a partire da quella del prigioniero X, agente del Mossad e cittadino israelo-australiano, trattenuto segretamente in una prigione israeliana per alto tradimento. Il lettore segue invece il prigioniero Z nella sequenza di eventi che da Tel Aviv, a Berlino, a Gerusalemme, a Parigi, a Capri, lo conducono in una prigione nel deserto del Negev, vittima di intrighi internazionali e vicende private. Le vicende di Z lo vedono prigioniero da ben prima della sua incarcerazione, perché il suo desiderio di aiutare gli israeliani prima e i palestinesi poi si traduce sempre nella morte degli uni o degli altri, in un cortocircuito morale da cui esce sconfitto.
Il romanzo pare caratterizzarsi come una avvincente storia di spionaggio che però, letta esclusivamente sotto questa lente, presenta falle e ingenuità significative, neanche particolarmente celate. Al contrario, queste consentono di individuare la chiave di lettura più adeguata per rimanere ancorati al vero tema del romanzo, ovvero la struggente umanità dei personaggi, con le loro passioni e fragilità. Un’umanità che, anche quando viene ferita, ingannata e sopraffatta, non cessa di manifestarsi. Il prigioniero Z infatti, disgustato dagli effetti del suo impegno nei servizi segreti, si dedica alla sua salvezza privata, stilando petizioni che però non potranno mai essere lette dalla persona a cui sono destinate e che ha in mano il suo destino.
Il prigioniero Z si trova a essere vittima di una prigione fisica, nella sua cella fatta di calcestruzzo, piastrelle e telecamera, ma anche del limbo comatoso in cui si trova il generale – anche lui anonimo, ma nel quale si può riconoscere il primo ministro israeliano Ariel Sharon – che lo ha condannato a vivere in uno stato di oblio. Nessuno, tranne il Generale e la guardia della cella, sono a conoscenza della sua esistenza. Soltanto il risveglio del Generale potrebbe fare in modo che l’identità di Z venga riportata alla luce e con essa una possibilità di salvezza. Ma il Generale è lui stesso intrappolato in uno stato distaccato dalla realtà a causa delle sue condizioni di salute, raccontato secondo le modalità del realismo magico che controbilanciano la trama spionistica del romanzo.
Non manca nemmeno la storia d’amore, fra Z e una cameriera misteriosa che gli fa letteralmente perdere la testa e forse la libertà, ingenuità di cui – non possiamo escluderlo – Z potrebbe essere pienamente consapevole. Se di amore si parla, anche quelli tra madre e figlio e tra carceriere e prigioniero vengono raccontati in maniera delicata e mai banale. Sono le relazioni interpersonali, infatti, ben più di quelle internazionali, a reggere la trama e a condurre, talvolta con fatica, il lettore. D’altronde la frustrazione che deriva da una narrazione non lineare e che si muove su generi letterari diversi tra loro è la stessa che si può manifestare nel tentativo di cogliere la configurazione complessa e intricata dei rapporti umani. Si tratta di incontrarsi nel mezzo di conflitti che talvolta coinvolgono eserciti e popolazioni intere, e talvolta sono invece estremamente intimi e privati. Un puzzle, quello del Medioriente e dell’anima, che può essere difficile da ricomporre. Tuttavia, se ci si rassegna all’impossibilità di far andare ogni tassello al proprio posto, si può godere di una scrittura vivace e di spirito, in un’allegoria tragicomica che sospende giudizi e condanne.
adele.tiengo@gmail.com
A Tiengo insegna lingua inglese all’Università Statale di Milano