dal numero di settembre 2018
La menzione speciale Treccani quest’anno – si è trattato della prima volta − è stata assegnata a Sinfonia delle Nuvole di Giulio Nardo, uno dei nove finalisti del XXXI Premio Calvino, nel corso della cerimonia di Premiazione 2018 tenuta il 22 maggio presso il Circolo dei Lettori di Torino. Ecco la motivazione: “Per la capacità di trovare nella linearità e nella precisione una personale cifra di libertà, attraverso l’adozione di una lingua che piegandosi allo svolgersi del racconto, lontana dalla tentazione di virtuosismi ma allo stesso tempo mai placida, rimane creativa e imprevedibile, capace, attraverso un’accorta differenziazione dei registri lessicali, di portare il lettore dentro il romanzo accompagnandone la lettura in un equilibrio dinamico fra trama e parola”.
Ne siamo felici per varie ragioni: ovviamente per il riconoscimento andato a uno dei nostri testi finalisti più innovativi. Ma anche perché tale menzione è il frutto di un accordo tra il Premio Calvino e l’Istituto per l’Enciclopedia Treccani, che ci vede ancor più proiettati sul piano nazionale e che sottolinea il rilievo assunto dal Premio nel mondo letterario italiano. L’accordo − che prevede di insignire di una “speciale menzione Treccani l’opera che, tra i finalisti del Premio Italo Calvino, si distingua per originalità linguistica e creatività espressiva” nonché di organizzare presso la sede Treccani di Roma un incontro “volto a dibattere i temi emergenti della narrativa italiana contemporanea nel suo rapporto con la lingua” − si inserisce perfettamente nella strategia che il Premio Calvino sta disegnando negli ultimi anni: e cioè, oltre a far emergere nuovi talenti nel campo della scrittura, diventare un punto di riferimento nazionale per la narrativa esordiente e per l’editoria che se ne occupa, e favorire, infine, una pratica critica della lettura nonché un uso più consapevole della lingua italiana. L’ultimo obiettivo citato si rende tanto più importante in un periodo come quello che stiamo vivendo in cui tendono a prevalere logiche meramente commerciali anche in ambito culturale e, soprattutto, nel quale la lingua viene usata come grezza arma contundente in una pervasiva logica amico/nemico che non risparmia niente e nessuno. Solo la lingua ci salverà, potremmo dire. Naturalmente quale lingua.
Ecco un estratto del testo:
Dell’ozio di Guido all’ombra dei fiori di magnolia.
Ariosto contempla il Sole
All’ombra dei fiori di magnolia, tutt’un’aria impregnata di Sole, si era accomodato sopra un lettino di legno nel canto del suo cortile. Scrivere? No. Il piano era leggere: dormì ch’era una pacchia.
Mica per pigliar luce sulle pallide braccia, ci mancherebbe! Che il bronzo è roba da gleba, e Guido invece c’aveva un adunco naso d’argento. Per questo si sistemò dietro le frasche dure della pianta. Era il mattino.
Con lui c’era una pila di libri, lo Zibaldone e i Canti, e un po’ di Buonarroti. La siepe di cipressi tutta intorno gli cancellava il ricordo del mondo: solo ogni tanto faceva irruzione il rombo d’un motore, scuoteva la quiete e poi, come un nembo di pioggia, volava via; a poco a poco si udivano i grilli frinire, uno stornello tra i rami.
Un altro fischio frullò. Che giornata! E il Sole era un occhio di bue nel cielo. Per questo depose il conte di Recanati, perché i più bei versi erano aride ramaglie a confronto del più stridulo zirlo. Guido, il libro in petto, socchiuse gli occhi; e quello zirlo l’aveva in fronte, lo vedeva nitido nell’atmosfera dondolarsi sul cavo dell’alta tensione; poi cominciò a trillare un pullulìo di squilli. Era avvezzo a quei naufragi. E il silenzio e gli oboi del cielo gli suggerivano vite diverse, le vite che…, nel sogno come madrigali antichi, le cabalette di Verdi, che più da cantare nel teatro, o peggio un tempio come Wagner, si accordano a un viale; e per questo sono più belle, come un tema dei campi, e non da chiesa. Allora il passero volò oltre la siepe; ma lo sentiva ancóra.
Sempre sedendo e sempre mirando, un dolce dormire. Cri… i… i… i… i… icch… La foglia secca? Guido rotolò sul lettino: era il suo tartarugo da cortile, di età trilustre, che vi scricchiava sopra. Vieni, Ariosto! E benché sordo, Ariosto riconosceva il dito penzolante dalla sdraio, e sgambettava dal padrone, torcendo alto il collo. Guido glielo carezzò, percependogli il calmo deglutire; Ariosto restava coi suoi neri occhi lucidi e passivi finché, annoiato, fece per andarsene. Ah no! Che Guido gli artigliò il carapace e lo tenne sospeso. Mentre Ariosto scavava nell’aria, Guido pensava che sarebbe stato grazioso se gli avessero incastonato diamanti al posto delle tessere; ora invece era grigio di terra, imbucato chissà dove; il piastrone, poi, c’aveva tutte le schifezze del mondo. Com’era più bello dopo una bella pioggia, il guscio nero ed arancione. Appena lo ridepose, ché Ariosto s’imbizzarriva più d’un cavallo, quello frombolò via; alla faccia della lentezza! Sono, piuttosto, rettili sfaccendati.
Guido tornò supino e gli occhi, come aquiloni, volarono al cielo. E i libri? Leggerli… Sì, dopo. Ma quanto avrebbe voluto essere un pezzo di cielo! Del resto, lassù era così grande e vuoto, c’era spazio per tutte quelle idee che qua campeggiano goffamente, ma lassù, si ripeteva, lassù… Perse il filo.
Un fringuello più canoro del Sole lo svegliò. Allora prese Michelangelo, lesse un sonetto, e via. Prese lo Zibaldone, lesse l’indice, e via. Spiccò un pappo di soffione, un soffio sparse le sue piume, si cacciò lo stelo tra i denti; poi a terra. Quanto tempo, prima del tramonto di fine giornata.
Si riassopì, godendosi il respiro. Udì lo scalpiccio di Ariosto; e infatti era risbucato, piazzandosi come un sasso sotto il lago di Sole. Ariosto contemplava l’astro, Guido contemplava il tartarugo.
Ammirava quei rettili, perché non sentivano il bisogno impellente del tempo. Quanto a me, si disse, io di tempo ne ho troppo. To’ una farfalla! – Gli lampeggiò tra gli occhi e sfrecciò via. Solo allora si accorse che il Sole aveva ruotato intorno alla Terra e spostato l’ombra. Ma Guido, sotto la luce, non si mosse; anzi, gli pareva la clorofilla dilatarglisi in cuore, e la sua pelle, le sue mani come foglie palpitare, o meglio dilatare, quasi dilagare. Tutto gli era nuovo: il prato secco e pagliericcio, il muro di cipressi, il monòlito di magnolia, il Sole ampolloso; il cielo, poi, manco a dirlo. Ed io, tra tante cose nuove, sono sempre io? Dannazione, quante troppe faticose corrispondenze! E con la mano strappò dall’albero una foglia; Ah, esclamò, ci vuole così poco a romperle e farle cadere? E si riaccasciò sul letto, le dita dietro nuca; leggendo una mappa frastagliata in cielo.
Finché, ma tardi, l’oro verde del tramonto si sparse sul prato. Allora Guido si stiracchiò, posò i piedi sulla sua morbida ombra e, raccolti i libri, andò a cenare.
Il giudizio del comitato di lettura: il commento del comitato dei lettori del Premio Calvino a Sinfonia delle nuvole.