Per quelle che combattono in silenzio
recensione di Manuela Manera
dal numero di luglio-agosto 2018
Una
IO SONO UNA
ed. orig. 2017, trad. dall’inglese di Marta Bertone
pp. 207, € 19,50
add, Torino 2018
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Add porta in Italia Becoming Unbecoming, un graphic novel del 2015 firmato dall’artista e scrittrice Una. Il titolo originale – che rimanda alla coppia oppositiva “consono, appropriato” / “indecoroso, inadatto”, ma suggerisce anche il gioco di parole “costruirsi / decostruirsi” – è stato reso in italiano con Io sono Una: una frase presentativa che predispone a mettersi in ascolto di una vicenda biografica, ma, al tempo stesso, una frase il cui implicito (una: tra le tante) allarga subito la portata semantica dell’espressione, trasformando la vicenda personale in storia comune.
Attraverso gli eventi narrati in prima persona dalla protagonista, sfruttando al meglio la complessità espressiva che lo strumento del graphic novel permette, Una dà conto della società in cui abbiamo vissuto negli ultimi quarant’anni e in cui ancora (pur con differenze) viviamo. Una società che avalla, oggi in modo più ambiguo, viscido e sfuggente ma non per questo meno pervasivo e grave, comportamenti sessisti e violenti. I fatti narrati riguardano, certo, il passato personale della protagonista, ma si inscrivono all’interno di una cornice più ampia, che non è solo la sequenza di femminicidi che hanno insanguinato lo Yorkshire negli anni settanta ma è anche, in modo più complesso, il contesto culturale in cui Una ha vissuto (e che in parte ancora oggi ci troviamo a vivere). Una ritorna nel proprio passato, racconta la sua infanzia e adolescenza negli anni settanta e ottanta: un passato di futuri possibili, che viene trasformato, a poco a poco e in modo ineludibile, in dolore afono, che fa conflagrare l’identità.
La drammaticità non sta qui nell’urgenza dolorosa di un urlo, nella denuncia disperata delle violenze ma – al contrario – si modula progressivamente attraverso la ricorsività di esperienze e parole, si alimenta con il tempo, anno dopo anno, pagina dopo pagina, nel delinearsi di una storia inevitabile per la giovane donna. I ricordi, inseriti nelle maglie del discorso familiare, sociale, storico, si inframmezzano a notizie e spiegazioni didascaliche; il respiro è di chi, guardando da lontano il passato, arriva ad avere una prospettiva profonda in cui gli occhi riescono infine a mettere a fuoco i punti, distinguere i paesaggi, a ricostruire – con il senno del poi – il disegno.
La possibilità di smarcarsi da un certo contesto, la possibilità di (ri)trovare una propria identità arriva da grande, con la consapevolezza di essere una sopravvissuta: “Sotto molti aspetti, si può dire che tutto è andato a finire bene, ma è più complicato di così”. Si sa, la complessità, a vivisezionarla con le parole, la si anestetizza sulla pagina, immobilizzandola in ragionevoli espressioni. Per sentire la profondità e il riverbero del suo respiro, bisogna accantonare le parole e permettere allo sguardo di soffermarsi, in silenzio, con calma, sulle immagini, di sfiorare i particolari dei volti, riconoscendo le storie nascoste nelle pieghe di un abito, nella mano posata sulla sua spalla, nell’espressione annoiata della bocca. Immaginando, infine, nella forza violenta dell’assenza, quello che poteva essere.
“Li denuncerò domani”, così concludeva Franca Rame nel 1975 il suo cruento monologo Lo stupro. Una sa che ancora oggi per troppe donne è così, che ancora oggi troppe ragazze devono combattere in silenzio. Per questo Una dedica il libro “a tutte le altre”.
manuela.manera@gmail.com
M Manera è una studiosa di gender studies