Racconti dagli igloo
recensione di Filippo Tuena
dal numero di luglio-agosto 2018
Knud Rasmussen
AUA
ed. orig. 1924, a cura di Bruno Berni
pp. 190, € 18
Adelphi, Milano 2018
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Vi sono due categorie di esploratori artici. Quelli che cercano un luogo geografico o una rotta attraverso i ghiacci (ben rappresentati nella seconda metà degli anni venti da Nobile e Amundsen e dalla loro trasvolata a bordo del dirigibile Norge) e che percorrono distese disertate dagli uomini; e vi sono quelli che cercano uomini che vivono in condizioni estreme e che per far questo si mettono in condizioni estreme.
Knud Rasmussen (1879-1933) è stata una figura fondamentale tra i cercatori di culture differenti e gli esploratori che mettono alla prova se stessi. I brani del suo libro Dalla Groenlandia al Pacifico riuniti in questo volume Aua pubblicato da Adelphi per la cura preziosa di Bruno Berni, che già aveva curato anni fa dello stesso Rasmussen Il grande viaggio in slitta (Quodlibet, 2011) testimoniano alcuni momenti di una lunghissima esplorazione attraverso l’intero continente nord-americano in quasi tre anni e mezzo che dal 1921 al 1924 consentì a un piccolo gruppo di esploratori e di ricercatori di raccogliere informazioni e testimonianze degli Inuit giunti a uno snodo importante della loro sopravvivenza: l’integrazione col mondo occidentale.
Nella sua puntuale introduzione Berni cita una significativa riflessione di Rasmussen: «Siamo arrivati con cento anni di ritardo dalle persone che volevamo studiare» e qui si chiarisce la singolarità della sua esplorazione. Non si tratta di una questione di spazi da raggiungere, non si tratta di una questione di rapidità di collegamenti da stabilire, né di ricerche scientifiche o meterEologiche (che pure non mancarono). Si tratta essenzialmente di antropologia. Si tratta di recuperare per quanto possibile e quanto più in fretta possibile le radici culturali aggredite dalla naturale invasione dell’uomo dominante; della cultura dominante; della religione dominante; delle malattie dominanti. L’obiettivo di questa spedizione non è “arrivare più lontano possibile” ma è “far prima che sia tardi”.
Per parte materna Rasmussen aveva sangue Inuit (sua bisnonna era una groenlandese) e per comprendere le sue Thule Expeditions – così erano chiamate le sue spedizioni nel continente artico – non si può prescindere da questo dato: Rasmussen non è un esploratore che viene da un altro mondo; al contrario, esplora le proprie radici, le proprie origini, la propria memoria interiore. Viaggia sulle distese ghiacciate con i cani da slitta (imparò a domarli da bambino) ma percorre sentieri intimi e profondi. Il suo andare non è indirizzato solo dai punti cardinali; va anche in altre direzioni: torna alla origini; esplora la memoria della sua gente, delle sue tradizioni.
A contatto con gli sciamani
La scelta dei testi si concentra essenzialmente su eventi avvenuti nel bacino di Foxe (Canada) ovvero il tratto di mare (ghiacciato in inverno) a nord della baia di Hudson: il mitico passaggio a Nord-Ovest. Il bacino si estende dal 64° al 72° parallelo nord. Qui Rasmussen incontra i protagonisti e ascolta le voci di questo libro: Aua e alcuni altri sciamani che con i loro spiriti ausiliari determinavano la vita delle piccole comunità che abitavano quelle terre. Per gli anni in cui avvennero gli incontri (un primo contatto è nell’inverno 1921-22; un secondo l’anno successivo) la ricerca di Rasmussen è concentrata su un aspetto principale: i rapporti tra gli sciamani Inuit e la loro trasformazione da elementi centrali della civiltà autoctona a fragili collegamenti col mondo occidentale, essenzialmente attraverso l’evangelizzazione cristiana che avevano accettato. È paradossale che proprio in seguito alla conversione, gli sciamani si aprano alla condivisione dei loro misteri. Separati dagli spiriti ausiliari, depotenziati i loro poteri con la nuova religione, gli sciamani possono permettersi di rivelare segreti che altrimenti avrebbero conservato gelosamente. L’incontro con gli sciamani dell’inverno 1922-23 verte essenzialmente su questo: la rivelazione di segreti profondi.
A pochi mesi dalla conversione Aua lo dice chiaramente a Rasmussen: «Uno sciamano credente non può rivelare i misteri della sua vita senza fiaccare il suo rapporto col soprannaturale ed era questo il motivo per cui (Aua) era sempre stato riservato nelle sue informazioni». Nel libro si alternano personaggi secondari come la Timida, o Noratdlaq, inconsapevole trasgressore delle leggi, omicida di un bianco ritenuto dai nativi, a ragione, prepotente e meritevole di morte. Imprigionato e condannato dalla giustizia canadese a dieci anni di prigione, Noratdlaq non li scontò perché dopo aver contratto la tubercolosi in cella, fu rimesso in libertà solo per morire nel suo insediamento e portare la sua malattia tra i suoi vicini. È impressionante leggere quanto Rasmussen raccoglie sugli usi, le interdizioni che a noi appaiono incongruenti e che però rispondevano a comportamenti ben codificati: la sacralità che accompagna le gravidanze; i riti funebri. Insomma, l’intero complesso di regole che qualifica una civiltà strutturata. Inquietante la testimonianza di Anarquaoq, autore di una serie di disegni che raffigurano i suoi spiriti ausiliari e aprono uno squarcio singolare nel mondo interiore degli Inuit. E così accade che il libro, più che i paesaggi sconfinati del bacino di Foxe riferisca dei racconti all’interno degli igloo. Rasmussen li trascrive in maniera oggettiva, come potrebbe fare con i dati climatici o con le coordinate geografiche. Ma in questo suo recupero di usi destinati a perdersi o a contaminarsi, in questa doverosa testimonianza si fa largo una profonda pietà, consapevole com’è d’essere giunto a documentare un’ultima Thule dalla quale proviene e che però, per il solo suo essere lì a testimoniare, sta forse consegnando a un mondo che finirà per cancellarla.
ftuena@gmail.com
F Tuena è scrittore