Quell’albero che mi cresce dentro
di Alice Pisu
dal numero di giugno 2018
Nella Spiegazione falsa dei miei racconti che apre Le ortensie, Felisberto Hernández riconduce a un’immagine mentale l’elemento catalizzatore della sua scrittura slegandosi da strutture logiche o da una teoria della coscienza. Immagina che in una parte di sé nascerà una pianta, la osserverà germogliare sentendosi incapace di occuparsi della sua crescita perché essa non ha leggi proprie e non sa quanto vivrà. Non riesce a definire in che modo la razionalità interverrà in quella crescita ma desidera che quella pianta abbia foglie di poesia.
Il primo passo per il disordine sono le regole dell’armonia, dimostra Andrés Neuman nel suo ultimo libro di racconti Vite istantanee e, come Hernández, custodisce l’idea che ci sia un seme di poesia anche nel racconto, non solo per la brevità, l’incisività e il senso aperto, ma per la convinzione che la sua esperienza di lettura assomigli per concisione alla poesia. Sente di abitare le periferie del canone nello scrivere i racconti, Andrés Neuman. Si interroga sulle micronarrazioni definendone la caratterizzazione primaria non nella lunghezza ma nella struttura, secondo una forma in cui risulti impossibile scorgerne l’introduzione, il nodo e lo scioglimento e dove i personaggi vivono il racconto come spazio da attraversare per poi andare oltre e proseguire con le loro vite. È convinto che non sia più centrale parlare di generi in letteratura, ma di procedimenti. Nei suoi racconti, come nei romanzi e nelle poesie, sviluppa una reinterpretazione dei procedimenti, dalla ridefinizione della dimensione temporale, alla linearità della trama che fa da contraltare alla complessità formale, alla voce come unico elemento di identificazione del personaggio. Si nutre della grande tradizione latinoamericana ed europea: il suo racconto del reale privo di orpelli per cogliere l’origine dell’istante vitale ricorda le narrazioni di Virgilio Piñera, l’essenzialità e la naturalezza espressiva rese nella continua alternanza e varietà di toni rimandano a Clarice Lispector. Dialoga con Giorgio Manganelli e Giovanni Papini negli esperimenti formali e linguistici capaci di generare un rovesciamento di senso nel rendere le storture della società e, come Juan José Arreola, individua nella sintesi il luogo dove accogliere forme che superano ogni classificazione di genere, dal visionario al fantastico, al grottesco e al noir. Pur definendo nella bonus track i propri riferimenti letterari, Neuman riesce a emanciparsi da essi dando forma a una voce originale.
Segue una suddivisione emotiva più che tematica nel racchiudere per capitoli il racconto dell’imprevedibilità della sorte nell’incontro con l’altro (L’appuntamento della vita); la fine come unica forma di trascendenza per sopravvivere a sé stessi (Fare il morto); il modo in cui ogni famiglia sia felice e infelice in egual misura (Riepilogo familiare); le dinamiche di potere interne al mondo accademico e il ruolo dell’intellettuale nella società (Il discepolo). Interessato allo studio del comportamento umano, costruisce un mosaico parodistico della società contemporanea a partire dagli annunci sul giornale, tra donne stanche di bugie in attesa dell’amore, ragazzi magri quasi timidi logorati dalla solitudine e ottantunenni affettuosi, divertenti e pieni di curiosità che sentono di avere tutta la vita davanti. L’appuntamento della vita è l’attesa, lo struggimento, la suggestione nel tenere vivo un sentimento costruito come frutto delle proprie aspettative che non coincide con la realtà. Definisce l’equilibrio fragile del sentimento amoroso nella sproporzione tra ciò che rende più attraente un corpo e le parole di cui si dovrebbe fare a meno per farsi amare. Sproporzione che a volte tocca il non detto, come nelle Lettere tristi tra due artisti innamorati che, nell’incapacità di rivelarsi all’altro arrivano a costruirsi un’altra identità per non generare compassione e confrontarsi sull’arte per parlare della vita.
Scavare con la parola nelle crepe dell’esistenza
Neuman investiga il cambiamento e cerca di immortalarlo nell’intento di fermare l’istante che precede la fine facendo in modo che sia il racconto a lasciare il lettore, e non il contrario. E se il racconto è perseguitato dalla sua struttura, ogni tanto, come ricorda nel dodecalogo in appendice a Le cose che non facciamo, occorre apprezzare che la si faccia saltare. Abbandona la tensione alla perfezione formale per rendere anche attraverso la struttura della narrazione le crepe insite in ciò che all’apparenza è solido e monolitico come le figure genitoriali. Una bambina osserva le gocce che cadono da un vaso di fiori immaginando che siano pioggia sotto lo sguardo indifferente di sua madre (La realtà). Quel distacco dalle suggestioni dell’infanzia racconta la metamorfosi dell’individuo nella perdita del candore di vivere, sancendo la fine dell’incanto. Un’indagine che investe anche la figura paterna: in una sorta di invenzione del vero, attraverso una sovrapposizione temporale l’immagine del figlio agli occhi di quel Padre istantaneo incarna l’attesa, la speranza, il sogno, la promessa concreta e irrealizzabile.
L’attenzione alla prospettiva dell’infanzia genera nell’intera opera di Neuman riflessioni sulla fragilità delle relazioni famigliari. Arriva a calarsi nella dimensione di un bambino; per raccontare la miseria umana che si consuma tra le mura di una casa definita stregata agli occhi di quel piccolo protagonista che col suo sguardo candido definirà inconsapevolmente i contorni di un quadro grottesco fatto di prostituzione, tradimenti, degrado sociale, rotture famigliari. E come in una favola, tra streghe cattive e rospi, ciò che occorre scacciare, gli scarafaggi per Disinfestare la casa come recita il titolo, sono gli orrori da tenere nascosti nell’illusione di preservare dalla realtà l’innocenza di chi continuerà strenuamente a indentificare nella figura paterna il proprio personale idolo.
Neuman usa la dimensione dell’infanzia anche per raccontare il dolore, la sofferenza che nella malattia riporta bambini nella dipendenza dagli altri e nella ricerca di una forma di rassicurazione che colmi le incertezze e permetta l’accettazione della propria finitezza, altro grande tema della sua opera, affrontato in particolare nel romanzo a tre voci Parlare da soli. Lo sguardo malinconico sull’incapacità di preservare l’innocenza accompagna ogni narrazione di Neuman, dai romanzi ai racconti all’opera poetica. Tratteggia l’innocenza come l’unico stadio della vita in cui si è onesti con sé stessi e l’infanzia come il luogo in cui “tutti cantiamo le stesse canzoni e ci colpiscono gli stessi annunci pubblicitari“, scrive in Una volta l’Argentina, legandola al riaffacciarsi della memoria, al ricordo ineffabile e al suo peso nella vita dell’individuo. Emerge una continua tensione tra l’elemento oscuro, richiamato dalle paure e dalle inquietudini che dominano l’individuo, e quello luminoso, nell’alternanza di toni per rendere l’euforia della scoperta di quotidiani esperimenti di felicità. L’elemento comico, dall’umorismo al grottesco, caratterizza in modo significativo la sua scrittura, anche nell’affrontare il dramma. Genera un costante gioco di equilibri che sfiora l’assurdo e il paradosso per determinare un rovesciamento del tragico nel comico nell’intento di scandagliare le contraddizioni dell’animo.
La morte e l’addio in Neuman
Anche quando si interroga sulla morte, usa una prospettiva obliqua: dal gioco sull’acqua per esorcizzare l’inaccettabile, ai tentativi di trovare un isolamento negli ultimi istanti di vita, come accade alla mosca di Requiem sul wc. Una fine che, al di là di quella fisica, può risiedere nell’aridità di un uomo incapace di elargire concessioni emotive (Non ho tempo), o che può essere raccontata immaginando le percezioni di un annegato, dal sapore salmastro all’odore delle alghe su di sé, con una narrazione sospesa tra il surreale e la dimensione del sogno. Immagini che richiamano non solo il racconto che dà il titolo alla sezione (Fare il morto), dove il corpo che galleggia in superficie gioca a fingersi senza vita per sperimentare l’unica forma di trascendenza che ritiene tale: sopravvivere a sé stesso, ma anche i versi di Alguien al otro lado in Década, nel definire la condizione di chi è morto ancor prima della morte, ricordandosi in ritardo di vivere ancora. In questi esercizi di sopravvivenza risiedono gli interrogativi sul senso dell’esistenza nell’intera produzione letteraria di Neuman e sul ruolo dell’individuo nel presente anche in rapporto al travaglio vissuto nella malattia e alla fragilità della rabbia, come nell’inquieta ricerca di una salvezza nella fede. Sono i dettagli a raccontare l’elaborazione del lutto: da una sedia rimasta vuota che richiama dialoghi immaginari con la madre, al paio di scarpe del padre consegnate nel corridoio dell’ospedale in una busta di plastica, alla luce del sole percepita come arrogante per il malato (Le cose che non facciamo). Arriva a raccontare anche il tormentato percorso interiore di chi, nel subire un’aggressione, vive il peso di essere l’unico illeso e trova nella propria menomazione il solo modo per ripristinare un’idea di giustizia che garantisca il riequilibrio nel rapporto con l’altro, come il protagonista de L’altro braccio in Vite istantanee. “Il tempo ci rende orfani. La musica ci adotta”, scrive in Madre musica e richiama l’ossessione dello scorrere del tempo e del peso dei cambiamenti nel distacco da una dipendenza anche emotiva, che sfocia nell’idea di un ritorno possibile, anche solo nell’illusorietà del ricordo. Percepisce lo spazio nel tempo, in un luogo buio che è metafora dell’incognita perenne sull’esistenza e che può abitare solo chi è in grado di accettare la propria imperfezione e finitezza come individuo. “Gli anni di solito passano senza darci il tempo di pensare se era il caso che se ne andassero tanto in fretta. E quando non ci sono più, non ci resta che convincerci che quella velocità era inevitabile” (Il discepolo).
Il tema dell’addio, costante nell’intera opera di Neuman, si insinua nel racconto della separazione dai luoghi, dagli amanti e dal tempo felice dell’infanzia. Addii che celano qualcosa di raggelante simile alla morte, come scrive in Il viaggiatore del secolo costituendo l’unico retroterra che appartiene all’individuo: la sua solitudine. Forse vivere, riflette per voce del suo personaggio, consiste nel dare alle cose il benvenuto che si meritano e nel dire loro addio con la debita gratitudine. In quei tentativi di rifuggire la nostalgia ci si convince di rimandare il passato, nell’illusione sperimentata dal protagonista che nel viaggiare non ci sia tempo da dedicare ai ricordi e che il presente sia assorbito dall’inquietudine dell’immediato.
La poesia rimane il vero perno dell’intera produzione letteraria di Neuman, dove riporre riflessioni e generare suggestioni per narrare il presente. Come nei racconti e nei romanzi, anche nella poesia delinea percorsi non categorizzabili. E se la poesia racconta abissi che la prosa tace, come sosteneva Mario Benedetti in un haiku, in Década Neuman ricorda al lettore che la verità delle emozioni alla base di una poesia non appartiene a una dimensione autobiografica bensì trascende l’esperienza del reale per far parte di un luogo privato dove si assommano desideri e inquietudini. “Una volta pronunciate, le parole seguono un’evoluzione orizzontale verso identità sconosciute”, sostiene nella premessa. E in questa sorta di emancipazione della parola, quelle che definisce come creature possono anche arrivare a non assomigliare più ai loro padri, tanto nella poesia come nel romanzo e nel racconto. “Su questo – scriverà in Una volta l’Argentina – si basa il potere dei racconti, la serietà del loro significato.”
alicepisu@virgilio.it
A Pisu è giornalista e libraia
I libri
- Andrés Neuman, Vite istantanee, ed. orig. 2017 trad. dallo spagnolo di Silvia Sichel, pp. 150, € 14, Sur, Roma 2018
- Andrés Neuman, Le cose che non facciamo, trad. dallo spagnolo di Silvia Sichel, pp. 152, € 15, Sur, Roma 2017
- Felisberto Hernández, Le ortensie, ed. orig. 1955, trad. dallo spagnolo di Francesca Lazzarato, pp. 189, € 17, La Nuova Frontiera, Roma 2014
- Andrés Neuman, Parlare da soli, ed. orig. 2012, trad. dallo spagnolo di Silvia Sichel, pp. 200, € 14,80, Ponte alle Grazie, Milano 2013
- Andrés Neuman, Una volta l’Argentina, ed. orig. 2003, trad. dallo spagnolo di Silvia Sichel, pp. 256, € 16,80, Ponte alle Grazie, Milano 2011
- Andrés Neuman, Il viaggiatore del secolo, ed. orig. 2009, trad. dallo spagnolo di Silvia Sichel, pp. 492, € 20, Ponte alle Grazie, Milano 2010
- Andrés Neuman, Década (Poesía 1997-2007), pp. 368, € 12, Acantilado, Barcellona 2008
- Mario Benedetti, Inventario Poesie 1948, a cura di Martha Canfield, pp. 308, € 16,50, Le Lettere, Firenze 2001