Insegnare è il mestiere più bello del mondo
Nei giorni in cui si dibatte molto sulle aggressioni degli studenti a danno dei docenti, “L’Indice” appunta in vario modo la sua attenzione sull’insegnamento. Attraverso più recensioni, in un “primo piano” di due pagine viene analizzata la figura dell’insegnante, soggetta a un cambiamento radicale e progressivo (sia nelle sue funzioni che nella percezione sociale) in un brevissimo spazio di tempo.
Recensendo il libro Radiografia di una professione di Maddalena Colombo, scrive Vincenzo Viola a proposito della perdita di prestigio dei docenti: “La terza parte, dedicata alla ‘parabola del prestigio dell’insegnante’ è centrale per comprendere uno dei principali motivi del disorientamento vissuto dagli insegnanti: ‘i docenti sentono avanzare una domanda di cura educativa da parte della società (da qui il sentirsi ‘operatori sociali’), che sovrasta la domanda di competenze specialistiche a cui potrebbero fare fronte in quanto professionisti’. Infatti se la scuola è vista dall’opinione pubblica più come agenzia sostitutiva di altre agenzie formative, in primis la famiglia, e non come struttura pubblica finalizzata alla formazione civile e professionale, inevitabilmente si va incontro a una duplice delusione: da parte degli insegnanti, cui viene socialmente imposto un compito che non è (solo) il loro e da parte dell’utenza, che nel complesso trova gli insegnanti poco preparati a svolgere un compito di supplenza che loro non spetterebbe. Da qui ‘un costante calo del prestigio del docente, reale e percepito’”.
Eppure, nonostante questa confusione e il fraintendimento che segna il rapporto fra scuola e famiglia, il mestiere dell’insegnante viene ancora affrontato con coraggio e impegno, come sembra dirci Isabella Pedicini con il suo libro Vita ardimentosa di una prof, recensito da Jacopo Rosatelli: “Nel testo, però, non c’è lamento sterile, non si piagnucola né si sbraita: al posto di un impolitico vittimismo troviamo l’auto-ironica energia di chi sa che ‘insegnare rimane, nonostante tutto, il mestiere più bello del mondo’. Questa è la sorgente della forza che permette a Pedicini di non mollare, lottando non solo per sé, ma per un sistema d’istruzione liberato dalla delirante cappa burocratica che lo opprime, traduzione amministrativa di un’ideologia aziendalista estranea allo spirito della Costituzione’”.
Mentre il rapporto sugli insegnanti In cattedra con la valigia, recensito da Monica Bardi, mette in luce la realtà della migrazione interna dei docenti in Italia, il libro di Luca Argentin, che presenta il prodotto di una ricerca ma anche delle proposte di intervento, delinea la complessità della figura dell’insegnante nella scuola italiana, come ci fa notare Giorgio Giovannetti: “Il libro di Argentin non si limita a cercare di fare una sintesi delle ricerche sugli insegnanti, ma si propone anche di mettere in luce i principali nodi problematici di questa categoria di lavoratori. Per esempio, la percezione di essere una categoria in crisi, attualmente molto diffusa tra i docenti, emergeva già nelle prime ricerche sugli insegnanti italiani, a partire da Le vestali della classe media di Barbagli e Dei, del 1969, vera e propria pietra miliare della sociologia dell’istruzione in Italia. Il persistere nel tempo del concetto di ‘crisi dell’insegnamento’ permette all’autore di ipotizzare che la ‘crisi’ sia una condizione strutturale dell’insegnamento, quanto meno in Italia. L’immagine dell’insegnante emergente dal libro di Argentin è infatti quella di un soggetto sociale la cui identità lavorativa e il cui ruolo sono ambigui e che deve affrontare nella propria attività dilemmi di difficile soluzione”. In realtà forse accettare la precarietà strutturale e la condizione “critica” della figura dell’insegnante può anche offrire la possibilità di sostituire alla mortificazione sociale un maggior grado di consapevolezza e avvicinare il docente a una società (di genitori e figli) in profonda crisi economica e morale.
Dalla scuola pubblica alla scuola di partito, di cui si parla in un secondo “primo piano” del numero di maggio dell’“Indice”. Attraverso un’intervista ad Aldo Tortorella, Alexander Höbel cerca di illustrare la finalità principale delle scuole di partito, che era quella di favorire la crescita culturale di “quadri in formazione” in modo da renderli persone emancipate oltre che dirigenti politici a tutti gli effetti, e anche per questo si privilegiava nella scelta degli allievi la componente operaia. Lo spunto per la riflessione è il libro di Anna Tonelli, A scuola di politica. Il modello comunista di Frattocchie (1944-1993): “Anna Tonelli valuta, oltre agli intenti della dirigenza, anche il punto di vista degli allievi, riportandone commenti e valutazioni dell’epoca e ricordi successivi. Per loro frequentare la scuola è un’occasione di crescita e di emancipazione, un momento di rafforzamento – e talvolta di messa in discussione di sé – sul piano umano e politico. Il tentativo, osserva l’autrice, è quello di ‘conciliare lo studio del materialismo storico con le regole di grammatica’, e ‘solo tenendo assieme’ questi due aspetti sembra possibile ‘aspirare a una prospettiva di cambiamento’. Tonelli descrive poi lo svolgersi di una giornata-tipo nella scuola, con ritmi serrati di studio, alternati a riposo e svago. In tal senso, osserva, ‘quel clima di austerità quasi monacale descritto in alcune memorie (…) e soprattutto dai detrattori anticomunisti non corrisponde a una realtà molto più movimentata, sempre in oscillazione tra rigore e socialità’. C’è poi il discorso della valutazione, con ‘modalità che precedono le schede moderne per la capacità di descrivere e giudicare il profilo dell’allievo’, analizzandone la personalità oltre al mero rendimento scolastico, con quella idea di ‘rafforzare il carattere’ (oltre che di dare una chance ‘soprattutto a chi ‘parte da zero’) che sarà poi gradualmente abbandonata”.
Al di là di questo carattere di forte impronta pedagogica il numero di maggio della rivista offre molteplici spunti di riflessione: sulla lettura come pellegrinaggio attraverso il testo nel Segnale di Matteo Moca, sull’ambientalismo pentastellato in una rassegna di Federico Paolini, sulla rilettura delle scelte di Franco Basaglia a cura di Vinzia Fiorino. Fra i narratori italiani Severino Cesari, Nadia Agustoni e Paolo Del Colle; nelle pagine di letterature straniere recensioni sulle opere di Christopher Bollen, Margo Jefferson, Chris Offutt, Jurij Oleša e Madeleine Bourdouxhe. E anche una pagina dedicata alla figura del poeta Milo De Angelis, autore di versi indimenticabili:
“ Uno solo è il tempo, una sola la morte, / poche le ossessioni, poche le notti d’amore, / pochi i baci, / poche le strade che portano fuori da noi”.
Fra queste strade anche quella della nostra rivista che, attraverso molti sentieri, porta davvero fuori da noi, in luoghi sempre nuovi e sconosciuti.
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