Simona Rondolini – Dovunque, eternamente

Una tristezza che la musica rende amica

recensione di Antonia Arslan

dal numero di ottobre 2014

Simona Rondolini
DOVUNQUE, ETERNAMENTE
pp. 318, € 17,50
Elliot, Roma 2014

Questo libro, menzionato dalla giuria della XXVI edizione del Premio Calvino, è permeato di musica, dolorosamente, ineluttabilmente. Come una maledizione antica, come un’ossessione rovesciata sulla sua testa bambina quando lei non era ancora in grado di opporvisi, la giovane protagonista Laura viene attirata un poco alla volta nel gorgo musicale, di rivalità e di competizione (ma immerse in profonde, esistenziali differenze di carattere e di stile), che permea le vite dei suoi genitori (bellissima e apprezzata cantante, lei; carismatico e nevrotico direttore d’orchestra, lui): e rischierà di esserne distrutta.

RondoliniBambina e poi adolescente, Laura ama appassionatamente il padre, un po’ meno la madre, perfetta star dall’aspetto sempre curatissimo e dalla voce incantevole, tutta racchiusa nel suo egocentrico bozzolo di perfezione e di limpida professionalità. Per la figlia, il modello a cui tendere è invece il perfezionismo assoluto e incontentabile del padre Luigi Pariani, che si esprime in quella tensione inesausta che lo chiude in un cerchio magico e solipsistico, da cui esce alla fine di ogni esecuzione sfibrato e spossato a morte. Assetata di quella intravista perfezione, ma non musicista lei stessa, la ragazza è gelosa del padre e della sua rara stima, e si lega a lui in un nodo appassionato e mortale, che la fa allontanare sempre di più dalla madre e soffrire indicibilmente quando lui alla fine, incapace di governare se stesso, decide di suicidarsi. Percorre la prima parte del libro un motivo molto tedesco, molto romantico, che forse rappresenterebbe la salvezza per questi tormentati personaggi se il suo esile filo non si perdesse presto nel pericoloso e avvolgente incombere delle melodie dell’integrale delle sinfonie di Mahler, che il maestro Pariani ha accettato di dirigere: una sfida che gli costerà la salute mentale. Incastonati nel gioco musicale – e mortale – della prima parte del libro sono infatti i preziosissimi giorni estivi in cui Laura, da sola con il padre, che in quei momenti si trasforma per lei in un romantico eroe, un Wanderer, lo segue per monti e vallate, in camminate epiche e sfibranti, che le danno però la gioia di essere l’unica persona che lui tollera al suo fianco, che condivide i suoi silenzi e i momenti di estatica contemplazione della bellezza della natura. Nel camminare silenzioso e tenace, nel raggiungere le cime, nel riposo stanco e rasserenante dopo lo sforzo fisico, nella semplice gioia dello spartano comfort dei rifugi, padre e figlia vibrano all’unisono. La madre resta in basso, nel confortevole lusso dei grandi alberghi, e Laura si convince di essere la prediletta. Le intense, ariose pagine dedicate a queste gite sono forse fra i momenti più persuasivi e commoventi dell’intero romanzo.

Il libro è diviso in tre parti, molto diverse come ambientazione e come struttura, anche se la fine, originale tessitura dello stile si fa riconoscere in ogni pagina, e si adatta senza sforzo alle diversissime circostanze del testo. Tutta la parte iniziale, che esige qualche sforzo di chiarezza quando si addentra nelle più sottili vibrazioni musicali, si segue infatti come una partitura, a volte forse un po’ ardua da comprendere; ma l’entusiasmo dell’autrice nel far rivivere al lettore i movimenti delle sinfonie, nel loro tesissimo dispiegarsi di emozioni in rapporto alla personalità del direttore d’orchestra, è così contagioso che si viene trascinati pagina dopo pagina come in un vortice di sensi e di significati.

Il suicidio di Pariani (dopo un periodo di inutili tentativi di cura psicoanalitica della sua depressione) si riflette nella tessitura della seconda parte del libro come una mutazione geologica, un cambiamento profondo e totale. Laura sopravvive solo a costo di tagliare tutti i ponti con la sua vita di prima e anche con la madre, che affronta il lutto in modo diverso da lei, e che incolpa del totale fallimento nella cura del padre. Si trasferisce in un’altra città e si trova un lavoro straniante e ripetitivo: operaia in una fabbrica di carni cunicole, affrontando con testarda, quasi automatica determinazione ogni fase della macellazione e della preparazione della carne di coniglio. La raffinata studentessa figlia di famiglia si costruisce, mattoncino dopo mattoncino, un’esistenza alienata e priva di ogni luce intellettuale, senza musica e senza libri, seguendo un ritmo ossessivo e chiuso a ogni rapporto umano.

Ma la paralisi emotiva che la stringe in un cerchio di ghiaccio comincia a sciogliersi dopo un brillante colpo di scena narrativo: Laura ricomincerà a nutrirsi di musica, la sua vera vita, attraverso Maria, una ragazza down figlia di una collega di lavoro, che trova pace nell’ascoltare e riascoltare le Variazioni Goldberg di Bach, come già faceva Laura nella sua “prima vita”. E il ritorno a casa, benché faticoso e pieno di asprezze, diventa allora possibile, come se tutto si disponesse in prospettiva, “o attraverso un prisma dove ogni cosa rivelava altri lati e colori. Talvolta guardar così le faceva male, ma era un dolore quasi domestico, una tristezza che, grazie alla musica, riusciva a farsi amica”. Nel riaccostarsi alla musica come Ewigkeit,eterna fonte di vita, Laura infine accetta la sua perdita e le sue paure.

antars1@yahoo.com

A Arslan è scrittrice e saggista

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