Una solida modernità storiografica
recensione di Serena Di Nepi
dal numero di marzo 2018
Andrea Giardina (a cura di)
STORIA MONDIALE DELL’ITALIA
con la collaborazione di Emmanuel Betta, Maria Pia Donato, Amedeo Feniello
pp. XXX-847, € 30
Laterza, Roma-Bari 2017
Qualche anno fa, Francesca Trivellato (cfr. l’intervista a Francesca Trivellato, “L’Indice”, 2013 n°1) si chiese in un lungo articolo se la microstoria (all’)italiana avesse un futuro nell’epoca della global history. Era il 2011 e la domanda, nel trovare una risposta affermativa, intercettava la piena consapevolezza con cui la comunità scientifica guardava al cambiamento in atto. Le ricerche di studiosi del calibro di Serge Gruzinski, Romain Bertrand, Charles Parker, Sebastian Conrad e Sanjay Subrahmanyam (solo per citare i più celebri), del resto, sottolineavano da tempo sia l’urgenza di confrontarsi con gli antecedenti della globalizzazione sia, più in generale, la validità di approcci capaci di uscire dal perimetro dell’eurocentrismo e di osservare la larga scala e la lunga durata dei fenomeni. Questo sguardo dall’alto sembrava relegare una tradizione storiografica centrata sulla ricostruzione minuziosa di singoli casi di studio definitivamente ai margini della discussione internazionale. In realtà, i lavori della stessa Trivellato e di tanti altri stavano dimostrando con forza il contrario. I libri di conto di una famiglia di mercanti ebrei livornesi, ad esempio, permettono, da una base tanto solida, di ragionare concretamente di scambi e incontri globali.
Un radicale ribaltamento di prospettiva: la dimensione policentrica
La scommessa di questa Storia mondiale d’Italia diretta da Andrea Giardina e della sua ricchissima sezione di storia moderna curata da Maria Pia Donato, in un certo senso, sembra rispondere proprio a questi interrogativi. Vengono finalmente presentati nella loro complessità i secoli che, per tradizione, i manuali raccontano con le parole della decadenza e della marginalità geografica, politica, economica e sociale. E se certo l’Italia fisica continua a stare ben lontana dagli oceani, così non è per le persone, le idee, le merci, i libri, l’arte, le mode e i problemi che nascono nella penisola per poi spiccare il volo verso il resto del mondo. E viceversa. È un radicale ribaltamento di prospettiva: non più le relazioni sbilanciate tra pochi centri e molte periferie ma l’osservazione delle reti e delle loro intersezioni, al cui interno i tanti stati italiani vantano una collocazione di primo piano.
Le voci raccolte prendono spunto dai risultati migliori e più innovativi che proprio gli studi sulla prima modernità (circa 1453/1492 – circa 1815/1848 secondo le cronologie scolastiche) hanno saputo offrire alla discussione; e li presentano con chiarezza (e anche un po’ di orgoglio) al grande pubblico. Se è impossibile richiamare una ad una le tante storie che il libro ci offre, vale la pena provare a tirare le fila di questa proposta.
Emerge con forza la dimensione policentrica che sta segnando questa stagione di ricerche. La mobilità attraverso mari e terre tocca tutti i continenti e vede protagonisti missionari, diplomatici, captivi, avventurieri e mercanti. La storia infinita delle schiavitù mediterranee – che ci riguarda ancora oggi – porta alla luce gli scambi con l’Africa, le interazioni inarrestabili e sempre ambigue con le società islamiche e si apre alla questione delle conversioni religiose. Le minoranze in tutte le loro declinazioni rappresentano uno dei pilastri di questa Italia moderna. La narrazione trova una nuova completezza dichiarando a chiare lettere che questa storia esce dalla periferia del mondo solo se guarda a tutte le storie che la compongono: musulmani, donne, “eretici”, libertini, dissidenti e cervelli in fuga ne fanno parte a pieno titolo, allora come oggi.
Una volta che si sia individuata la chiave di volta, il resto del ragionamento si costruisce da sé. La politica torna prepotentemente nella sua portata sempre e comunque mondiale, come dimostrano le guerre horrende de Italia, la battaglia di Lepanto o l’epopea italiana di Napoleone. La cultura si fa circolazione di saperi, merci, intellettuali e scienziati che si spostano senza sosta in ogni epoca. Il cattolicesimo, con tutte le sue istituzioni che guardano al mondo (Propaganda fide e la stessa Inquisizione romana) si fa laboratorio nell’incontro difficilissimo con la diversità identitaria e confessionale. Persone, fedi, sentimenti, avventure diventano lo specchio – insieme collettivo e individuale – dei grandi processi e tengono insieme gli insegnamenti della storia delle emozioni, della storia materiale, della storia della scienza e della storia globale tornando, in qualche modo, alla grande tradizione della scuola storica italiana. Un discorso di metodo e una tecnica interpretativa che ripartono dagli archivi e dalle biblioteche e offrono una risposta convincente a molte sollecitazioni. Non solo un’altra storia moderna ma anche, e forse soprattutto, una solida modernità storiografica.
serena.dinepi@uniroma1.it
S Di Nepi insegna storia moderna all’Università di Roma La Sapienza
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