Non esiste la molecola magica
di Paolo Vineis
dal numero di febbraio 2018
Il panorama di come funziona oggi l’industria farmaceutica descritto da Guido Giustetto e Sara Strippoli in Pillole (Storie di farmaci, medici, industrie, pp.176, € 16, Add, Torino 2017) è decisamente inquietante. Per quanto molti degli eventi fossero noti, messi tutti in fila sono ancora più eloquenti: la storia della Merck che molto tardivamente ha rivelato gli effetti collaterali del Vioxx, che a quanto pare ha indotto 80-90.000 malattie cardiache gravi; il farmaco contro il cancro riciclato per una diversa indicazione (retinopatia), con un altro nome e a un prezzo molto più alto; il farmaco per l’epatite C venduto a un prezzo almeno venti volte superiore a quello del costo di produzione (anche se non è affatto chiaro quanto costi realmente produrre un farmaco), e così via. Un groviglio di conflitti di interesse, esagerazione delle proprietà benefiche, sottovalutazione degli effetti collaterali, e una generale e preoccupante acquiescenza della classe medica. L’esito naturale di questa confusione neoliberista tra bene collettivo e profitto è la possibilità di fare pubblicità ai farmaci, che significa un ulteriore colpo alla capacità della professione medica di esercitare una funzione tecnica autorevole e arrendersi alle forze del mercato.
Credo che sia innegabile che l’offerta di prestazioni sanitarie si trovi oggi stretta tra le due alternative cui si allude nel titolo di questo articolo. Per quanto il nostro servizio sanitario sia tuttora di buona qualità (ma con grandi differenze regionali), diversi elementi lo minacciano: la crisi finanziaria e il cronico sottofinanziamento del settore pubblico; un certo ristagno nella scoperta di farmaci veramente utili; la crescente resistenza agli antibiotici; l’aumento del divario (particolarmente evidente in oncologia) tra benefici e costi marginali dei nuovi farmaci; e una sotterranea crisi di fiducia, spesso immotivata, da parte dei cittadini. A questo si aggiunga il ruolo nefasto giocato dalle nuove tecnologie della comunicazione, che non solo veicolano fake news anche sulla salute e sulle cure, ma che condizionano fortemente il rapporto tra paziente e medico.
È indubbiamente una buona notizia sapere che uno dei due autori di Pillole, oltre che medico scrupoloso e colto, è anche presidente dell’ordine dei medici della provincia di Torino. Così come il libro di Marco Bobbio (Troppa medicina. Un uso eccessivo può nuocere alla salute, pp. 168, € 17, Einaudi, Torino 2017) conforta per la rara capacità di esaminare casi concreti alla luce di considerazioni generali epidemiologiche, psicologiche, economiche ed etiche, tutte guidate dal buon senso e dalla ricerca del bene del paziente. Bobbio parte spesso, nelle sue riflessioni, da episodi che sono ben presenti a chi lavora in ospedale: per citarne uno, le due sorelle quarantenni “aggressive e con l’I-phone perennemente in mano” che parlano al medico a nome del padre, che pure è presente ma senza diritto di parola. Bobbio descrive perfettamente le radici delle crisi cui abbiamo accennato sopra, e in particolare le attese eccessive e distorte nei confronti della medicina, generate senza sosta dai media, dalla classe medica e dal settore industriale biomedico. Chi fa ricerca, come me, ha visto regolarmente apparire sulle riviste scientifiche “molecole magiche” la cui magia veniva rapidamente ridimensionata; o addirittura interi istituti di ricerca fondati sulle promesse contenute in singole e ristrette ipotesi biologiche (come un singolo gene onco-soppressore). Bobbio propone dunque un doppio ripensamento, sul versante del paziente, che deve accettare che la medicina non è una pratica assimilabile al tagliando per la revisione dell’auto; e sul versante del medico, che deve ridimensionare gli aspetti “tecnocratici” e paternalistici della professione, resistere alla pressione dell’industria biomedica e rafforzare invece le capacità interattive, di supporto e di “mediazione” con il paziente. Questa nuova attitudine da parte del medico dovrebbe essere favorita anche nei percorsi di formazione, con una minore enfasi sui meccanismi molecolari e una più solida base epidemiologica, psicologica ed etica.
C’è un concetto molto semplice che l’epidemiologia non dovrebbe stancarsi di insegnare ai medici, e che in modo implicito compare ripetutamente in questi due libri, quello di “numero che è necessario trattare” (Nnt) per guarire un paziente. Sono pochi gli interventi medici per i quali questo numero si avvicina a 1, in cui cioè ogni paziente trattato guarisce: la defibrillazione nell’arresto cardiaco salva un paziente ogni 2,5; il by-pass aorto-coronarico previene un decesso a 10 anni in una persona su 25, e l’uso di statine cambia la prognosi in una persona cardiopatica su 83, ossia 82 non trarranno giovamento alcuno, perché moriranno comunque o guarirebbero spontaneamente. Nella maggior parte dei casi il numero delle persone da trattare per guarirne una è di centinaia o migliaia. I pazienti lo sanno? Evidentemente no, e tendono ad attribuire gli insuccessi sempre e comunque a un errore o alla “malasanità”, termine che Bobbio giustamente definisce “osceno” nella sua pretesa di trovare un nesso causa-effetto tra eventi che spesso sono tra loro slegati o puramente frutto del caso. Se medici e pazienti sono raramente consapevoli del “numero che è necessario trattare” (e l’Nnt è spesso alto anche con la migliore pratica clinica), ancora meno sono consapevoli che esiste anche un “numero necessario per procurare un danno” (Nnd), che indica ogni quanti pazienti uno viene danneggiato da un effetto collaterale del farmaco o dell‘intervento medico. La decisione clinica dovrebbe basarsi sul rapporto tra i due numeri: se devo trattare 200 pazienti per aiutarne uno, ma 100 manifestano effetti collaterali di cui 10 importanti, devo seriamente riflettere sull’opportunità del mio intervento.
Il populismo dell’ignoranza
Fin qui il “paternalismo tecnocratico”, che i due libri contribuiscono a decostruire. Ma nel titolo ho voluto alludere anche al populismo dell’ignoranza. Si tratta di quell’illusoria propensione a “fare da sé” basata sul facile accesso alle informazioni consentito dai nuovi mezzi di comunicazione, ma anche sulla fiducia nella libertà di scelta. Quest’ultima è un termine chiave dell’ideologia neoliberale e spesso corrisponde semplicemente al rifiuto dell’autorità e dunque anche dell’esperto, e a una sopravvalutazione della propria capacità di giudizio. È un fenomeno che genera distorsioni, tra cui l’enorme litigiosità legale che caratterizza oggi il settore sanitario, ma anche il movimento contro i vaccini. L’Nnt per la maggior parte dei vaccini è molto vicino a 1: per molte malattie la vaccinazione previene tutti i casi e dunque tutte le morti, come è successo nel caso del vaiolo; mentre l’Nnd è estremamente grande, nell’ordine delle centinaia di migliaia (l’encefalite da vaccino del morbillo si verifica in un bambino su 1 milione, l’encefalite dovuta al morbillo tra i non vaccinati in uno su 1000). Tutto ciò che riguarda le impurità da mercurio o altre tracce di metalli nei vaccini è puro nonsenso e di nuovo fa parte di quella esaltazione della libertà di scelta, unita alle teorie del complotto, che caratterizza parte del mondo attuale.
Interessanti anche le considerazioni di Bobbio sulla medicalizzazione, per esempio attraverso gli screening. Il caso più clamoroso è forse quello descritto quest’anno da Salvatore Vaccarella nel “New England Journal of Medicine”: l’“epidemia” di cancro (largamente non letale) della tiroide in corso in Sud Corea – che il sistema sanitario non sa ora come gestire – legata al solo fatto che qualcuno ha avuto la brillante idea di lanciare uno screening di massa. Talora, devo tuttavia notare, il libro di Bobbio è eccessivamente negativo sugli screening per i tumori ed è un po’ troppo sbrigativo nel parlare di un argomento tecnicamente intricato. Un altro argomento non affrontato da Bobbio è il ruolo svolto dalla prevenzione primaria. Seppure apparentemente marginale rispetto alla sua argomentazione, non lo è per due motivi: primo, il medico è un attore cruciale nella diffusione di messaggi per la prevenzione delle malattie; secondo, se non parliamo seriamente di prevenzione non capiamo perché in quasi tutto il mondo la speranza di vita sta continuando ad aumentare, un progresso che è solo parzialmente dovuto alla medicina. Le sfide attuali, a partire dal cambiamento climatico, ci impongono di comprendere che lo stato di salute dell’umanità e dell’ambiente dipendono largamente da interventi multisettoriali (nei trasporti, nell’alimentazione, nella produzione di energia, ecc.).
Giustetto, Strippoli e Bobbio hanno scritto due libri belli, utili e molto equilibrati, che spero siano letti non solo da chi pratica la medicina, ma anche dai pazienti e dai loro familiari. Alla fine dei conti si tratta non solo di libri su qualcosa che prima o poi tocca tutti noi (la malattia e la morte), ma anche sull’intreccio complesso tra tecnologia, informazione e scelte personali: in una parola, la democrazia.
p.vineis@imperial.ac.uk
P Vineis insegna epidemiologia all’Imperial College di Londra