Ahron Bregman – La vittoria maledetta

Una tragedia e tante occasioni mancate

recensione di Guri Schwarz

dal numero di gennaio 2018

Ahron Bregman
LA VITTORIA MALEDETTA
Storia di Israele e dei Territori occupati
ed. orig. 2014, trad. dall’inglese di Maria Lorenza Chiesara
pp. 340, € 33
Einaudi, Torino 2017

Ahron Bregman - La vittoria maledetta“Dopo la guerra del 1967, Eschkol (primo ministro israeliano del partito laburista) prese l’abitudine nelle occasioni pubbliche, di alzare due dita in segno di vittoria come Churchill; interrogato dalla moglie Miriam (‘Eshkol, ma che fai? Sei impazzito?’), il primo ministro rispondeva: ‘No, questa non è una V in inglese. È una V in Yiddish! Vi Kishen aroys?’, che significa: ‘Come ne usciamo?’. Questo divertente e amaro racconto tratto dall’introduzione del libro ci consente di avvicinare il lettore non solo ai problemi, ma anche alla sensibilità, al gusto e allo stile che contraddistinguono questo denso e godibile saggio storico.
L’autore, Ahron Bregman, è un affermato studioso di origine israeliane che insegna presso il King’s College di Londra, specialista del conflitto arabo israeliano, cui ha dedicato diversi studi. Questo, incentrato sui problemi dell’occupazione seguita al trionfo israeliano nella Guerra dei sei giorni (5-10 giugno 1967), e di cui sono analizzate le vicende fino al 2007, è il primo a venire tradotto in italiano. Non è un libro sulla guerra dunque, bensì un libro sul dopoguerra, sulle conseguenze di lungo termine e i problemi politici, economici, militari, diplomatici e – in fondo – anche morali, scaturiti in relazione all’ormai cinquantennale occupazione dei territori della West Bank, della Striscia di Gaza e delle alture del Golan. Il libro propone la storia di una tragedia e di tante occasioni mancate, illustra l’incapacità dei governi d’Israele, ma anche delle loro controparti – fossero essi palestinesi, stati arabi confinanti e grandi potenze mondiali – nel risolvere la situazione di stallo che si va creando rapidamente dall’estate del 1967 in avanti. Non è però tanto o solo un libro di storia delle relazioni internazionali.

Un libro sull’occupazione

Questo è un libro sull’occupazione, non sulla politica internazionale. Come tale apparirà inevitabilmente fazioso agli occhi di alcuni, ma la scelta di campo dell’autore non lo porta a tradire metodo storico e rigore analitico: uno dei meriti maggiori del libro è che riesce ad essere schiarato in modo onesto e trasparente. Ormai dovrebbe essere ovvio e scontato per lo storico mettere in scena, mostrare apertamente, a partire da quale sensibilità o esperienza muove la sua ricerca e quali sono i pregiudizi che orientano il suo sguardo. Tuttavia ancora oggi non sempre gli studiosi resistono alla tentazione di porsi come una sorta di voce fuori campo, astratta e disincarnata, e non sempre hanno la volontà o l’autocoscienza necessarie per esporre se stessi, così come espongono abitualmente al lettore le proprie fonti e la bibliografia di riferimento. Una delle non poche virtù di questo libro consiste nel fatto che Bregman è ben cosciente del problema e che non esita a esporre il suo vissuto personale, anzi ne fa il punto di partenza della narrazione: il testo infatti si apre con una sintetica ma incisiva Nota personale. L’autore ci racconta l’emozione del suo primo viaggio a Gerusalemme da bambino, poco dopo la guerra del 1967, e poi la scoperta, fatta un decennio dopo da soldato impegnato a pattugliare le strade di Gaza, della realtà dell’occupazione: “Fu allora che mi resi conto per la prima volta del fatto vero e proprio che io ero un occupante, loro gli occupati”. Negli anni ottanta, con l’avvio della prima Intifada, avrebbe preso pubblicamente posizione contro l’occupazione, dichiarando sulle pagine del quotidiano “Haaretz” che avrebbe rifiutato di servire come riservista nei territori occupati. Poco dopo lasciò il paese per studiare in Gran Bretagna, dove avrebbe poi fatto carriera come studioso di quel conflitto che aveva conosciuto direttamente e che tanti problemi di coscienza gli aveva posto.

Il libro offre una narrazione serrata e precisa degli eventi, che procede lungo un asse cronologico e non dimentica quanto sia fondamentale, specie trattando questioni complesse e controverse, ricordare al lettore la sequenza dei fatti. Riesce ad andare in modo diretto al nocciolo dei problemi, descrivendo in modo convincente le politiche e soprattutto le pratiche dell’occupazione israeliana e la loro evoluzione nel tempo. Il libro non manca di parlare anche dei palestinesi, o del contesto geopolitico regionale e internazionale, ma protagonista della narrazione è dichiaratamente la potenza occupante, con le sue scelte politiche, militari, economiche.

I tre pilastri

L’occupazione, di cui sono ottimamente illustrate le difformi caratteristiche assunte nei diversi territori, è inquadrata incentrando l’analisi su quelli che l’autore definisce “tre pilastri”: la funzione dell’esercito per controllare la popolazione; la burocrazia per governare ogni aspetto del vivere quotidiano; “l’attuazione di interventi fisici sul posto”, per alterare equilibri demografici (controllo dell’acqua, creazione di insediamenti, distruzione di villaggi arabi ecc.). La ricostruzione è articolata in tre parti: la prima parte va dalla guerra al 1977, la seconda copre il periodo che va dall’avvento al potere del Likud all’avvio della prima Intifada (1987), mentre la terza e ultima arriva al 2007, analizzando le due rivolte palestinesi, la repressione israeliana, le difficili trattative internazionali, e il ritiro unilaterale israeliano da Gaza. Merito del libro è di riuscire a mantenere un chiaro orientamento politico e nel contempo di evitare di essere del tutto sopraffatto dal punto di vista personale dell’autore, riuscendo a restituire anche la complessità, l’incedere non lineare degli eventi e la natura sfuggente e incerta dei processi politici e delle decisioni militari. In altre parole, Bregman non formula una banale arringa contro l’occupazione, la analizza davvero. Con tono complessivamente assai sobrio, ricostruisce efficacemente come dentro la politica e la società israeliane abbiano convissuto pulsioni diverse e contrastanti. Come la realtà sul campo sia stata forgiata da quelle contraddizioni, da quelle spinte contrapposte che, come egli mostra, talora si palesavano contemporaneamente nell’azione dei governi che, da un lato, magari offrivano pace e disimpegno e, dall’altro, proseguivano nella politica degli insediamenti.

Un nome e un volto

Il libro riesce dunque a offrire al lettore un quadro d’insieme esauriente e chiaro, miscelando con sapienza narrativa la descrizione della dimensione macro e di quella micro, illustrando tanto le decisioni strategiche prese dall’alto e i processi geopolitici nel loro svolgimento, quanto la loro ricaduta sulle vite di individui e comunità. Una ricchissima serie di informazioni e di aneddoti, di piccole ma significative storie individuali, si intrecciano con l’analisi d’insieme e l’illustrazione del divenire storico. Occupante e occupato cessano così di essere figure astratte, acquisiscono un nome e un volto, carne e ossa. Non sono più solo simboli proiettati sul palinsesto mediorientale dallo sguardo spesso intriso di pregiudizi – in un senso o nell’altro – di chi li osserva da fuori.

Infine, volendo muovere una critica al volume, si può evidenziare che l’autore – in linea con un certo stile anglosassone – è assai parco nell’uso delle note; così il lettore desideroso di risalire, tramite le fonti e la bibliografia, alle origini di certe informazioni o interpretazioni, finisce con l’essere troppo spesso frustrato.

guri.schwarz@edu.unige.it

G Schwarz insegna storia contemporanea all’Università di Genova