Giuliano Milani – L’uomo con la borsa al collo

Una genealogia a ritroso

recensione di Clément Lenoble

dal numero di gennaio 2018

Giuliano Milani
L’UOMO CON LA BORSA AL COLLO
Genealogia e uso di un’immagine medievale
pp. 297, € 30
Viella, Roma 2017

Giuliano Milani - L’uomo con la borsa al colloIl bellissimo libro di Giuliano Milani racconta la storia di un’immagine – un uomo con una borsa appesa al collo – e dei modi in cui venne usata tra i secoli IX e XIV, da un salterio bizantino al terzo girone del VII cerchio dell’Inferno di Dante passando per gli affreschi della cappella degli Scrovegni. O piuttosto, come indica il titolo, non si tratta di una storia ma di una genealogia. Questa impostazione conscia e giustificata sin dall’inizio implica scelte narrative e metodologiche specifiche e originali e fanno sì che l’indagine non sia solo storica. E il libro, organizzato in due parti (La genealogia ecclesiastica e L’uso comunale) e diviso in dieci capitoli, ciascuno dedicato a una rappresentazione diversa, in un luogo e in un momento diversi, è un saggio molto elegante, dinamico e piacevole che lega strettamente racconto storico, critica storiografica, riflessione metodologica sull’uso delle fonti scritte e iconografiche, e riflessione epistemologica sui modi di scrivere la storia. Prima conseguenza di questa scelta genealogica, la progressione cronologica non è il filo rosso del discorso: si va più o meno alla rovescia come quando si cercano gli antenati, e poi, una volta trovati, si identificano gli eventuali altri discendenti. Il libro parte da quello che potrebbe essere stato considerato un semplice e poco significativo dettaglio: i cavalieri incatenati raffigurati sulle pareti del Broletto di Brescia alla fine del Duecento portano una borsa appesa al collo. Stesso particolare dipinto negli anni 1250 sulle pareti del Palazzo della ragione di Mantova. Perché certi comuni hanno rappresentato i loro nemici in questo modo che a prima vista sembra qualificarli come avari? È questa la domanda iniziale da cui scaturisce l’indagine di Giuliano Milani. Per iniziare a cercare i primi elementi della risposta, ci trasferiamo oltralpe, una decina d’anni prima e rileggiamo una storia notissima agli specialisti di storia religiosa medievale e ai lettori di Jacques Le Goff. A Digione nel 1240, un predicatore racconta di un usuraio che, al momento di entrare in chiesa per sposarsi, sarebbe stato ucciso colpito dalla caduta della statua di un uomo con una borsa appesa al collo. Questa prima tappa dà l’avvio a un analisi storiografica delle interpretazioni della condanna dell’usura e dell’avarizia e dei rapporti tra cristianesimo e economia monetaria. Giuliano Milani raccoglie il frutto della storiografia recente, in particolare della lettura di Giacomo Todeschini, che ha svelato la natura politica e il significato complesso del peccato di avarizia e dell’usura (Giacomo Todeschini La banca e il ghetto e intervista a Giacomo Todeschini: Le origini medievali dell’economia occidentale L’Indice n.5/2016 anno XXXIII). Grazie a Todeschini  sappiamo bene che la condanna dell’usura, raffigurata con la borsa appesa al collo studiata da Milani, non è come affermava Le Goff un vano tentativo di frenare e di limitare gli eccessi di un capitalismo emergente ma un’accusa contro i nemici della chiesa, contro i traditori, a cominciare da Giuda. Più che nella discussione storiografica già molto frequentata e a dire il vero chiusa sui rapporti tra economia e religione, l’interesse della prima parte del libro si trova nell’osservazione che l’immagine abbia assunto gli stessi significati delle parole (avarizia, usura, simonia) e dei personaggi biblici (il fol dives, Simon Mago e Giuda) che le corrispondono.

L’immagine come le parole subiscono, già in ambito ecclesiastico particolarmente nei secoli XI-XII, un’evoluzione semantica che dall’amore passionale e carnale per la ricchezza porta al peccato per antonomasia da cui derivano l’infedeltà, la ribellione e il tradimento. Il nocciolo dell’analisi di Giuliano Milani è in realtà politico: il motivo iconografico dell’uomo con la borsa appesa al collo può essere caricato di un valore infamante, di un vero potere di maledizione e di esclusione (si va in certi casi fino a significare la scomunica) non solo contro i colpevoli di peccati economici ma contro tutti i nemici di Cristo e della chiesa, quelli che li hanno traditi, da Simon Mago e Giuda in poi. E viene sfruttato anche nell’ambito dei conflitti comunali dove assume una vera e propria funzione giudiziaria collegata al bando perpetuo. Nella seconda parte del libro si tratta quindi di capire perché e come un motivo in apparenza essenzialmente morale e religioso, il cui significato è stato elaborato all’interno della Chiesa, sia stato trasferito alle lotte politiche comunali. L’importanza dell’uomo con la borsa per la storia dell’uso della pittura infamante nei comuni italiani deriva dal fatto che tale motivo, dipinto tra il 1251 e il 1259 nel Palazzo della Ragione di Mantova in una delle prime pitture infamanti conosciute, dopo quelle di Bologna, accompagnò la nascita e lo sviluppo di questo tipo di prassi e collegò l’immagine dell’uomo con la borsa al collo al bando perpetuo dei nemici politici del comune, del regime guelfo di popolo. Giuliano Milani si sofferma di nuovo per discutere la storiografia della pittura infamante e le sue interpretazioni del potere delle immagini medievali. Per Milani, non si tratta solo di “vituperio in immagine” (Ortalli), di maledizione e di bambole da stregoneria, di fare propaganda politica o di suscitare emozioni. Si tratta anche, e Milani lo dimostra in modo molto convincente grazie all’analisi delle fonti scritte e dei contesti locali, di produrre una sanzione effettiva, una reale situazione giudiziaria. Da lì, il libro si muove cronologicamente a Padova (1261-1290), a Brescia (1279-1298) per poi tornare alla Padova di Giotto e Dante (1304), nella cappella degli Scrovegni.

In ogni caso, la storia politica, sociale ed economica locale, il contesto in cui sono stati eseguiti i dipinti o gli affreschi permettono di capire meglio il significato e l’uso, ogni volta diverso, dell’immagine della borsa appesa al collo di un uomo. E per chiudere il cerchio del percorso si scopre come due poeti, esprimendosi l’uno con le immagini l’altro con le parole come Giotto e Dante, abbiano potuto usare di quest’immagine in modi che Milani considera opposti, espressioni di un conflitto di qualificazione dell’usura. Il primo denuncia la corruzione di chi agisce contro il comune e rappresenta invece un banchiere e le sue attività al servizio del bene comune e della circolazione delle ricchezze. L’altro considera usurarie le attività di questi banchieri che si sono arricchiti lavorando al servizio dei potenti, della chiesa e dei governi comunali. Il percorso che porta quest’immagine dalla rappresentazione dell’avarizia a quella dei nemici del bene comune, scelti a seconda di quello che è considerato il bene comune in un momento, in un luogo e, nel caso di Giotto e Dante, da un autore precisi non è solo la storia di un’immagine, dei modi in cui venne usata e del suo potere effettivo di sanzione infamante. Incrociando immagini e fonti scritte, teologiche e normative, il libro di Giuliano Milani è un contributo alla storia dell’esclusione e del bando nel mondo comunale, un contributo alla storia dei rapporti tra religione, economia e politica, dei modi in cui gli uomini del medioevo hanno sempre collegato e equiparato tra di loro i peccati e i crimini, facendoli confluire per qualificarli in grandi categorie riassunte con parole chiave, dai contenuti assai plastici, come “usura” o “eresia”.

clementlenoble@gmail.com

C Lenoble è ricercatore al Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi