L’intraducibile barbaro yawp
recensione di Sonia Di Loreto
Walt Whitman
FOGLIE D’ERBA
a cura di Mario Corona
pp. CLXXXVI-1658, € 80
Mondadori, Milano 2017
Quando Walt Whitman nella sezione 52 di Song of Myself dichiara: “Anch’io non son per nulla domo, anch’io sono intraducibile, / lancio il mio barbaro yawp sopra i tetti del mondo”, sembra voler ribadire la sua complessa e indomita natura americana, ma anche allertare i suoi possibili e futuri traduttori a intraprendere uno studio accurato proprio per rendere al meglio la creazione e rappresentazione del suo linguaggio poetico, fatto di suoni, onomatopee, ripetizioni e allitterazioni, che con una delle sue impennate linguistiche avrebbe universalizzato nel suo barbaro – intraducibile sì ma perfettamente comprensibile – yawp.
La nuova edizione di Foglie d’erba, uscita per i “Meridiani” Mondadori con la cura agile e sapiente e la traduzione colta e intima di Mario Corona, è un incomparabile strumento sia per i lettori appassionati, sia per gli studiosi specialisti che possono perdersi e ritrovarsi non solo nell’oceanico poema whitmaniano, ma anche nella complessa trama di note, rimandi e spiegazioni intessuta dal curatore. Questa edizione prosegue il lavoro intrapreso da Corona nella precedente traduzione di Foglie d’erba, uscita nel 1996, che riguardava l’edizione del 1855.
Lo stesso Corona, a cui abbiamo chiesto di raccontare come ha deciso di procedere così descrive il lavoro di traduzione sul testo dell’edizione del 1855 (Marsilio 1996) e quello sull’edizione finale (Mondadori 2017): “Nel 1996 ho voluto rendere disponibile in italiano, nella sua integrità, la prima edizione di Leaves of Grass perché è la più affascinante e originale di tutte. Malcolm Cowley, presentandola separatamente nel lontano 1959, la definiva infatti un ‘capolavoro sepolto’, reso irrecuperabile dall’autore stesso attraverso lo smembramento della sua struttura, la normalizzazione della punteggiatura, il frequente ritocco dei testi e la loro diversa ridistribuzione (spesso inconsulta) in ognuna delle edizioni successive, sicché al lettore veniva impedita la percezione della potenza del dettato poetico originario che tanto aveva colpito i contemporanei. Come traduttore, ho voluto far emergere in primo luogo la singolarità innovativa e anche l’audacia del lessico e della sintassi, scrostando le riverniciature timide, quando non pudibonde, di traduzioni precedenti non solo italiane. E poi ho tentato di fare in qualche modo risuonare una musicalità profonda, straordinaria ma quasi sotterranea in quanto avulsa da ogni metrica fissa e dal sistema convenzionale delle rime, e che nell’originale si può cogliere attraverso una lettura ad alta voce. Ho seguito questi stessi criteri di base nel tradurre l’edizione finale, che essendo però assai più voluminosa e complessa ha richiesto una nuova e specifica attenzione agli stili fortemente differenziati che Whitman ha via via elaborato per le singole composizioni nel corso di oltre tre decenni.”
Esiste quindi il traduttore ideale di Whitman? Secondo il curatore di questa edizione non è “nessuno ma anche tanti diversi. Per esempio, dal 1972 in poi Roger Asselineau, grande studioso di Whitman, ha seguito in modo insuperabile la via regia della explication de texte francese, puntando innanzitutto sulla ‘exactitude et la précision’, sulla scia della versione ‘tres fidèle’ del collega italiano Enzo Giachino (1950), e addirittura a volerla ‘plus claire que le texte’, testo che spesso non lo è affatto. A tal fine non teme parafrasi o prosasticità. È stato un grande amico del lettore che abbia a disposizione anche il testo originale. Dai tardi anni ottanta Jacques Darras segue una strada opposta: scapigliato, libero fino al rifacimento più funambolico, Darras ritiene – con rischiosa legittimità – che il modo migliore di rendere omaggio a Whitman sia ‘de ne pas le respecter à la lettre pour mieux le suivre dans l’esprit’. Talvolta a costo di mettere in primo piano la propria brillantissima verve più che la dizione whitmaniana”.
sonia.diloreto@unito.it
S Di Loreto insegna letteratura americana all’Università di Torino
Eros democratico contro ogni codice di virilità: sul numero di gennaio 2018 anche Giorgio Mariani commenta Foglie d’erba di Whitman.