Voce, verme, specchio e lume
recensione di Remo Bodei
dal numero di marzo 2014
Carlo Augusto Viano
LA SCINTILLA DI CAINO
Storia della coscienza e dei suoi usi
pp. 331, € 30
Bollati Boringhieri, Torino 2013
L’enigmatico titolo del libro trova la sua spiegazione nelle parole di Girolamo, secondo il quale la scintilla conscientiae “non si era estinta neppure nel petto di Caino”: il peggior delinquente conserva, infatti, un barlume di consapevolezza del male compiuto anche quando è vinto dal piacere, obnubilato dal furore o traviato dai sofismi della ragione. Nel ripercorrere la parabola della coscienza in un coinvolgente “intreccio di storie, nelle quali compare un’idea”, Carlo Augusto Viano tratta dell’uso e dell’abuso del concetto di coscienza morale. E lo fa con vigile spirito critico, attento alle giustificazioni interessate, agli alibi e all’auto-inganno di quanti vi fanno ricorso. La coscienza non è sempre “un giudice imparziale” e l’appello alla sua libertà e inviolabilità può anche servire, in politica, a sottrarre i problemi alla discussione pubblica e, in ambito medico, a fornire agli antiabortisti (o a quanti rifiutano di applicare le tecniche di fecondazione assistita) un appiglio per “impedire il godimento di diritti da parte di altri” e per imporre i propri principi a coloro che non li condividono o non riconoscono l’autorità di chi li proclama. In sostanza, “mai come in questi casi emerge il carattere fittizio del richiamo alla coscienza, perché mai come in questi casi il comportamento di coloro i quali si richiamano alla coscienza è infallibilmente prevedibile in base ai loro interessi, tutt’altro che interiori. È questo l’ultimo stadio della scala di finzioni, lungo la quale l’uso della coscienza si degrada”. La condanna di tali distorsioni (provocate da convinzioni religiose incapaci di separare quel che è di Cesare da quel che è di Dio) è netta. Questi medici, “eredi dei deboli, meritori d’indulgenza, dei delicati, sensibili alla voce interiore”, sono “diventati oppositori in nome della coscienza e dei tabù che essa conserva”.
Il problema dell’obiezione di coscienza, centrale nel libro, viene inquadrato sia all’interno della tradizione cristiana, dove la coscienza del singolo è considerata un santuario che custodisce la presenza di Dio in noi, sia nel pensiero filosofico, dove in genere rappresenta la voce interiore del dovere. Molto istruttiva, a questo proposito, è la vicenda dei quaccheri, che, in nome della libertà di coscienza, potevano, negli Stati Uniti della seconda metà del Settecento, essere esentati dal servizio militare in cambio di un contributo finanziario. Il rifiuto della violenza e delle armi (già presente nelle eresie medievali e protomoderne di valdesi, ussiti e fratelli moravi) veniva allora concesso, con alcune limitazioni, solo per motivi religiosi. Nel tempo, però, l’obiezione di coscienza giunge a essere riconosciuta anche al di fuori di questi confini, tanto che nel corso della guerra d’Algeria viene rivendicata perfino dal generale De Gaulle e, per quanto riguarda l’Italia, sancita da una legge del 1971, che escludeva dal suo godimento, per una sorta di “legittima suspicione”, quanti avevano un qualsiasi rapporto con le armi, come i cacciatori.
Il rispetto per la libertà di coscienza si è progressivamente affermato in Nord America e in Europa con l’avvento di regimi democratici e liberali. In quest’ultimo continente (e soprattutto nei paesi cattolici), le resistenze anacronistiche sono state, tuttavia, più forti. Si pensi solo a quelle espresse dal Sillabo di Pio IX, dove tra i “principali errori della tristissima età nostra”, viene citato anche l’“empio ed assurdo principio (…) della libertà di coscienza e dei culti”. Tenaci rifiuti perdurano altrove, specie nelle nazioni islamiche, dove – ad eccezione della Turchia, che dal 1923 possiede una legislazione laica – la libertà di coscienza viene ancora severamente conculcata: un musulmano che si converte a un’altra religione è condannato a morte in Arabia Saudita, Mauritania, Sudan e Iran, mentre in altri paesi che seguono lo stesso credo viene privato dei diritti civili. Per vari motivi – sostituzione del servizio militare obbligatorio con eserciti professionali, ripudio della guerra in quanto tale, desiderio di usufruire a piacimento del proprio tempo – in molti stati l’obiezione di coscienza è ormai un diritto acquisito.
Spiccano, per il loro interesse, alcune vicende poco note e sottovalutate nelle loro implicazioni: gli ammonimenti di Paolo ai cristiani “delicati”, pieni di scrupoli e restii a partecipare ai banchetti dei pagani in cui si consumava la carne dei sacrifici, condotta ritenuta offensiva nei riguardi della coscienza dei loro ospiti, o la storia dell’inoculazione forzata di esseri umani con il pus ricavato dalle lesioni secondarie della sifilide (Casimiro Sperino la praticò a Torino, in nome dei progressi della scienza, su ben cinquantadue prostitute); un comportamento che contribuì, per reazione, alla nascita di codici deontologici tesi a regolare con maggior rigore il rapporto tra medico e paziente.
Oltre a episodi meno conosciuti, non possono mancare nel volume gli inaggirabili temi classici: la “voce della coscienza”, il “verme” del rimorso, la metafora della coscienza come “specchio interiore” (“testimone terribile e accusatore implacabile” che, a dire di Polibio, “risiede nell’anima di ciascuno” e svolge il compito di vigilare sui nostri comportamenti anche qualora sfuggano all’attenzione altrui, obbligando psicologicamente ognuno alla rinuncia al mitico privilegio dell’invisibilità concesso ai portatori dell’anello di Gige). A proposito del precetto delfico “Conosci te stesso!”, Viano spiega come in Socrate esso abbia il significato dell’acquisita consapevolezza dei propri limiti. Vorrei, per inciso, notare che in origine esso aveva un senso meno nobile: secondo il ponderoso studio in tre tomi di Pierre Courcelle (Connais-toi toi-même, de Socrate à saint Bernard, Études Augustiniennes, Paris, 1975), rappresentava, in effetti, un semplice invito, rivolto a chi consultava i sacerdoti, a non far loro perdere tempo, ponderando bene, prima di incontrarli, quali domande rivolgere.
Le vicissitudini raccontate in La scintilla di Caino seguono la linea coerente che ho indicato. Ma quella della coscienza è una storia infinita, di cui vale la pena ricordare almeno un episodio, anche per mostrare la complessità delle relazioni tra la coscienza in senso teorico (quella che i tedeschi chiamano Bewusstsein) e la coscienza in senso morale (Gewissen). Come ha chiarito Antonia Cancrini in Syneidesis. Il tema semantico della “con-scientia” nella Grecia antica (Edizioni dell’Ateneo, 1970) nel mondo greco e latino ciò che riteniamo maggiormente intimo e privato, la coscienza, appunto (syneidesis, conscientia), ha conservato a lungo un aspetto collettivo e segreto, indicato dal prefisso syn e cum. Si tratta di un sapere condiviso con altri, che esclude chi non fa parte di un determinato gruppo, tant’è vero che nella Roma antica i congiurati si chiamavano conscientes. La coscienza, nella sua accezione attuale – individuale, riflessiva – del “con-sapere a se stesso”, esprime un limite imposto più tardi, per cui soltanto il singolo soggetto, sdoppiandosi tra osservatore e osservato, sa qualcosa nel chiuso della sua interiorità ed è libero di rivelarlo o meno.
Nell’insieme, Viano offre un ampio ventaglio di altre questioni, affrontate con acume e lucidità e sorrette da solide conoscenze filosofiche e storiche, sobriamente utilizzate senza essere esibite. In lui si apprezza, in particolare, la capacità di distinguere tra le varie sfaccettature, ambiguità e meandri che la coscienza e la conoscenza di sé hanno assunto sul piano morale e politico in una serie, che continua, di conflitti, vittorie, compromessi e sconfitte.
bodei@humnet.ucla.edu
R Bodei insegna filosofia alla University of California di Los Angeles