Raccontare il lavoro
Fra i tanti temi del numero di ottobre dell’“Indice”, s’impone all’attenzione del lettore quello del lavoro, attraverso le riflessioni di Loris Campetti su Terni e la sua natura di fucina siderurgica di Italia, che ha trovato un cantore esemplare in Alessandro Portelli. Scrive Campetti: “Ma chi si occupa oggi dell’acciaio, a parte gli addetti ai lavori? E, soprattutto, a chi interessa l’uomo che lo lavora, lo modella, lo trasforma in oggetti fondamentali nella vita quotidiana? Oggi che il lavoro non è considerato più un valore perché conta solo la merce prodotta, oggi che il lavoratore è stato sostituito dal consumatore anche nelle agende politiche degli eredi della sinistra novecentesca, c’è bisogno di un qualcosa in più, di un valore aggiunto perché una cittadina di provincia immersa in una conca tra gli Appennini possa occupare un posticino nell’agenda della memoria collettiva. Nel caso di Terni, il valore aggiunto prende il nome di Alessandro Portelli”. Raccontare il lavoro, in un epoca in cui il lavoro sempra destinato a scomparire, è la sfida che affrontano anche gli scrittori di cui si occupa in un Segnale Claudio Panella: “Tali ultimi esempi di una mole notevolissima di opere (in prosa, in versi, teatrali, graphic novel, reportage scritti e filmati) apparse negli ultimi anni per raccontare le mutazioni del mondo del lavoro contemporaneo testimoniano in maniera inequivocabile un fenomeno che nel dibattito letterario italiano si è voluto ascrivere alla crisi del paradigma postmodernista, identificando l’elaborazione di un canone nuovo a cui in molti si sono riferiti nei termini di un “ritorno al reale” dei nostri scrittori. Ciò è avvenuto in un primo tempo a seguito di avvenimenti drammatici quali gli scontri al G8 di Genova del luglio 2001 e gli attentati dell’11 settembre di quell’anno. Alla crisi economica globale e alla precarizzazione crescente di una società sempre più post-industriale si sono poi aggiunti altri ‘fatti’ specifici nel campo culturale italiano: si pensi alla tragedia della Thyssen di Torino, dieci anni fa, o al clamore suscitato dalle vertenze legate all’Ilva di Taranto e all’Eternit di Casale Monferrato”. Un mondo del lavoro che dissolvendosi, mostra le sue contraddizioni e infligge ferite, come sembra dire Elfriede Jelinek, Nobel nel 2004: “Lavoro che divora il mondo, che però allo stesso tempo si vorrebbe fosse continuamente ricreato dal lavoro”.
Dal lavoro il focus si sposta poi sulle forme della comunicazione del giornalismo e della politica nell’illuminante recensione di Anna Tonelli, che a partire dal libro Processo al nuovo di Damilano, ripercorre la storia del cambiamento del rapporto fra il cittadino e la sua rappresentanza: “Anche negli anni ottanta si ridefinisce un assetto culturale che investe sia il mutamento sociale che il rapporto fra istituzioni e politica. La politica si presenta in modo nuovo, con i riflettori che si accendono sul singolo che conquista la ribalta per sé (‘l’io da solo contro tutti’), prima ancora che per il partito. Lo fa con grande scaltrezza Craxi, ma anche un presidente della repubblica come Pertini che va in televisione a denunciare ritardi e sprechi nel terremoto in Irpinia, partecipa alle difficili operazioni di salvataggio di Alfredino Rampi caduto nel pozzo di Vermicino, si stringe ai familiari delle vittime del terrorismo. ‘Nuovo e antipolitico’, lo definisce Damilano. Guardando a ritroso, si capisce che tutto è già stato inventato e sperimentato. L’antipolitica l’ha creata Marco Pannella ben prima di Beppe Grillo: una pornostar in parlamento, e poi i digiuni, i cartelli, i bavagli, i lenzuoli, molto più efficaci delle scatolette di tonno e dei salvadanai esibiti dai cinquestelle”.
Spostando lo sguardo dal nostro paese a uno scenario internazionale, Francesca Giommi recensisce il libro di Bauer che ricostruisce la vicenda delle oltre 250 liceali rapite nell’aprile 2014 da Boko Haram e Massimo Baioni racconta, attraverso il libro di Martellini sull’eccidio del Kindu e la recezione della vicenda nell’Italia del miracolo economico, una pagina dimenticata della storia: “L’11 novembre 1961 tredici aviatori italiani impegnati in Congo in una operazione umanitaria dell’Onu erano stati prelevati e uccisi da miliziani locali, nello scenario della guerra civile che stava dilaniando il paese all’indomani della raggiunta indipendenza”.
Il versante letterario del numero di ottobre presenta con grande rilievo le opere dei poeti Sandro Penna (di cui è appena stato pubblicato il Meridiano) e di Maurizio Cucchi. Grande l’attenzione dedicata ai classici. Giuseppe Sertoli ci parla di Conrad a partire da Il coltivatore di Malata, un romanzo schizofrenico e apparentemente secondario. Riccardo Capoferro ci riporta nel mondo cavalleresco con la recensione al Lazarillo de Tormes tradotto da Antonio Gargano: “il Lazarillo demolisce le idealizzazioni, in primo luogo quelle cavalleresche, ha una spiccata coscienza delle disparità economiche – racconta la fame, la povertà, gli svantaggi dei ceti bassi – e segue le vicende prosaiche di un individuo comune che, come Robinson Crusoe e Moll Flanders, è l’ambiguo narratore delle sua stessa vita”. Infine Carlo Lauro illustra le espressioni di quella che definisce una “Balzac renaissance ma senza rintocchi, clamori o anniversari: semplicemente la rivalutazione di un giacimento (“voilà l’oeuvre, voilà le gouffre, voilà la matière”) mai abbastanza esplorato”. Una definizione, questa (“un giacimento mai abbastanza esplorato”) che ci sembra di poter assumere (con un po’ di immodestia) anche per questo numero autunnale dell’“Indice”.
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