Camminar guardando, 43: Pompei e i Greci
di Rosina Leone
dal numero di ottobre 2017
Nella Palestra grande della città antica di Pompei è attualmente in corso – chiuderà i battenti, salvo proroghe, il 27 novembre –, la mostra Pompei e i Greci, curata dal direttore generale Massimo Osanna e da Carlo Rescigno, professore di archeologia classica all’Università di Napoli. I due studiosi mettono a disposizione dei visitatori i risultati di anni delle loro ricerche sul campo: è una mostra importante che non rinuncia alla sfida di proporre al pubblico un tema complesso, di non immediata comprensione per chi non coltiva specificamente gli studi archeologici.
Il rapporto tra identità etnica e cultura, e soprattutto il tema della creazione di identità dai confini permeabili continuamente sottoposte a verifica via via che cambiano circostanze, attori e contatti, sono stati esplorati lungamente e proprio su questo orizzonte aggiornato di riflessione teorica viene costruita l’esposizione che inserisce le vicende storiche e culturali di Pompei dal momento della fondazione alle ultime fasi di vita, nel quadro più ampio e assai complesso del comparto territoriale della Campania antica, dove lo scacchiere è occupato dai Greci di Pithecousa e di Cuma, di Poseidonia e di Neapolis, dalle popolazioni etrusche della costa e del retroterra, dalle popolazioni indigene di Capua e dei centri minori.
Ne emerge un quadro assai dinamico, che risente dei mutamenti nei rapporti di forza tra le varie entità politiche che si contendono il campo, in un regime di equilibri sostenuti da alleanze, le cui prove materiali i curatori della mostra espongono indagando con occhi nuovi oggetti e manufatti già noti da tempo o venuti alla luce a seguito di indagini archeologiche anche assai recenti. Vengono presentati anche oggetti che costituiscono testimonianze materiali della grande storia: forse i più eclatanti sono i due elmi iscritti dedicati dal tiranno Ierone di Siracusa, dopo la vittoria sugli Etruschi al fianco di Aristodemo di Cuma nel 474 a.C., al santuario panellenico di Olimpia, che forse avrebbero meritato maggior evidenza o, ancora, la laminetta bronzea che ci testimonia dell’alleanza tra i Sibariti e la popolazione dei Serdaioi, ancora da Olimpia.
Il percorso espositivo
Il percorso espositivo, nell’allestimento minimalista di Bernard Tschumi, cui dobbiamo il nuovo Museo dell’Acropoli ateniese, e con le tre installazioni multimediali immersive realizzate dallo studio canadese Graphic eMotion a introdurre, intervallare e chiudere il percorso, è organizzato in tredici tappe.
Ad accogliere il visitatore oggetti della grecità traghettati in altri mondi e con ciò investiti di altri significati: si contendono il campo della stessa vetrina la testa femminile ellenistica in marmo da Ercolano che ripropone il tema della Amazzone, soggetto della competizione cui partecipò tra gli altri Policleto, e l’hydria bronzea dal sacello ipogeo di Poseidonia. Il tema degli oggetti greci riambientati nelle domus pompeiane tornerà nella sezione dedicata agli arredi di due domus dove spicca l’hydria premio per le gare argive che, opportunamente modificata con l’inserimento di un rubinetto, diventa oggetto d’uso e di ostentazione nella casa del parvenu Giulio Polibio e nella penultima in cui vengono presentate antichità greche esibite come espressioni di lusso in contesti abitativi vesuviani.
Nella sezione su Pompei prima di Pompei vengono presentati alcuni rinvenimenti pertinenti all’insediamento di Longola di Poggiomarino, nell’alta valle del Sarno, da età protostorica fino agli inizi del VI secolo, con la straordinaria piroga lunga quasi sette metri scavata nel tronco di un albero.
Poi la Pompei arcaica, città che costruisce uno stile per le decorazioni architettoniche dei suoi edifici sacri (dedicati però a divinità greche, Apollo e Atena), stile che fa sistema con le coeve terrecotte architettoniche di Capua e di Cuma e rielabora in modo del tutto originale gli analoghi esiti della decorazione architettonica poseidoniate e metapontina. E si vede qui, concretato in forma fittile, tutto il magistero di Carlo Rescigno.
Per esemplificare l’uso peculiare di forme greche in contesti culturalmente altri, una sezione è dedicata all’Anaktoron italico di Torre di Satriano con le decorazioni architettoniche realizzate da maestranze tarantine: qui è Massimo Osanna a presentare una delle sue imprese di scavo più importanti. E poi le forme del sacro che si fanno occasioni politiche, in una dialettica biunivoca tra Greci e popolazioni indigene, come dimostrerebbe la presenza, seppure attestata sporadicamente, di un edificio pompeiano nel santuario meridionale di Poseidonia. Infine la componente etrusca a Pompei, come ci testimoniano oggi le molte iscrizioni dalle recentissime indagini condotte nel santuario pompeiano di Fondo Iozzino, in una Campania multietnica in cui Greci, Etruschi e indigeni interagiscono in una pluralità linguistica di grande interesse e attualità.
La fondazione di Neapolis (e che meraviglia la vetrina in cui viene riproposta la ricostruzione di un breve tratto non dragato già in antico del fondale dell’antico porto di Neapolis, che solo la realizzazione della metropolitana ha permesso qualche anno fa di riportare in luce in piazza Municipio, con quel palinsesto di ceramica dall’età arcaica alla tarda età romana e oltre), che le recenti indagini tenderebbero a retrodatare già allo scorcio del VI secolo a.C., modifica l’assetto del comparto territoriale campano, come pure farà nel 474 la battaglia di Cuma vinta da Cumani e Siracusani contro gli Etruschi. Si fa luogo così la Pompei italica, con la creazione del linguaggio franco dell’ellenismo, qui esemplato dalle raffigurazioni di vasi da tombe di Altamura, dal confronto tra un immondezzaio dal Foro di Pompei col riempimento di una cisterna dall’agorà di Atene e dalla scelta felice di esporre brani di una decorazione architettonica poco noti, dove si fa ormai spazio il modo ellenistico dei fregi in terracotta (davvero notevole quello di battaglia dall’area del Foro triangolare) e l’architettura delle domus, con i preziosi capitelli in tufo con temi dionisiaci e la raffigurazione di coppie maritali. L’ultima sezione si concentra sulla rielaborazione romana di alcuni capolavori della statuaria ateniese; alla Sosandra più nota da Baia si affianca quella meno conosciuta da Stabiae; seguono alcune declinazioni di Afrodite e di Kore dai comuni vesuviani, oggi al Museo archeologico nazionale di Napoli.
Il catalogo
All’esposizione fa da ineludibile complemento il catalogo (Pompei e i Greci, a cura di Massimo Osanna e Carlo Rescigno, pp. 360, € 55, Electa, Milano, 2017). La prima sezione, Storie mediterranee e codici di lettura, comprende una serie di saggi che approfondiscono le tematiche generali, e qui troviamo ben esplicitata la nozione del middle ground – il concetto della “terra di mezzo” elaborato per descrivere le dinamiche culturali che interessarono l’incontro tra nativi ed europei nella regione nordamericana dei Grandi laghi tra XVII e XVIII secolo –, che Irad Malkin utilizza per trovare una chiave ermeneutica efficace per la lettura dell’organizzazione culturale della Campania antica; in questa sezione si segnala per cristallina chiarezza il saggio di Francesco Remotti sul rapporto tra identità e cultura. La parte centrale del volume, Atlante della mostra, costituisce il catalogo vero e proprio dell’esposizione in cui ogni sezione è introdotta da una pagina esplicativa (che forse sarebbe stato utile riprodurre integralmente nei pannelli o rendere disponibile in altra forma per i visitatori) seguita da schede sintetiche dei singoli oggetti esposti mentre la terza parte, Hellenikà, è occupata da un originale abbecedario in cui vengono proposti i verbi del vivere alla greca da “abitare” a “viaggiare”. Si tratta di voci che costituiscono un riferimento critico, sintetico e aggiornato per molti temi che, spesso partendo dalla realtà pompeiana, sono peculiari del mondo ellenistico nel suo complesso.
Va segnalato infine che, a pendant della mostra pompeiana, è attualmente allestita al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (con chiusura il 16 ottobre 2017) l’esposizione Amori Divini a cura di Anna Anguissola e di Carmela Capaldi con Luigi Gallo e Valeria Sampaolo. In questo caso a essere indagato è il tema della metamorfosi di dei e uomini partendo dalla mitologia greca, passando per Ovidio e per le elaborazioni di età romana e approdando a raffigurazioni moderne. Anche questa mostra è corredata da un bel catalogo (Amori Divini. Miti greci di amore e trasformazione, a cura di Anna Anguissola e Carmela Capaldi, pp. 184, € 32, Electa, Milano 2017).
rosina.leone@unito.it
R Leone insegna archeologia classica all’Università di Torino