Autoritratto per speculum
recensione di Vladimiro Bottone
dal numero di Ottobre 2017
Silvio Perrella
INSPERATI INCONTRI DA A a Z
pp. 508, € 23
Gaffi, Roma 2017
Dopo anni di elaborazioni saggistiche, mai pedantesche e mai asservite a un metodo inteso come feticcio; dopo innumerevoli scritture militanti e mai aggiogate al carro-buoi della moda; dopo tante scoperte, riscoperte e fedeltà critiche, per Silvio Perrella sembra iniziata una stagione all’insegna di un primo tirare le somme. In altri termini: sembra essere maturato il momento per richiamare a sé i contributi di intelligenza sparsi in varie tribune nel corso del tempo e di un’attività modulata su più di una chiave. Contributi molteplici eppure mai rapsodici, perché imbastiti e quindi tenuti saldamente insieme dal filo di un’unità di fondo. Ad esempio da una mai sconfessata, e sempre acutamente perseguita, inclinazione “ad amare le città e le persone che non battono il tempo dell’attualità”, per chiamare in causa le parole di Silvio Perrella (mai, come in questo caso, buon giudice di se stesso).
Da questa esigenza che, fortunatamente, non ha nulla del portare a sistema o dello sclerotizzare in un ordine originano, ad esempio, opere come quella subito precedente (Addii, fischi nel buio, cenni, Neri Pozza, 2016) che si muoveva, sempre in chiave di bilancio critico ed autocritico, dentro quel sistema di coordinate ed ascisse, rappresentate dalla storia e dalla geografia letterarie, così care al critico napoletano.
In quella precedente occasione il Perrella storico della letteratura faceva il punto intorno alla generazione di coloro che l’autore definiva “i nostri antenati”, così rimarcando la genealogia ideale e la distanza fattuale che ci separa da loro. Si trattava, in sostanza, di quei letterati venuti al mondo fra le due guerre che ebbero la ventura, dunque la chance, di sperimentare l’atmosfera del Ventennio contribuendo, però, anche alla transizione politico-culturale verso la democrazia. Quindi dei Parise, Sciascia, Garboli, Ginzburg, Ortese, Calvino, La Capria, D’Arrigo, Pasolini. Una generazione di autori venuta al mondo pressoché insieme; che creò e di fatto si estinse quasi nello stesso giro di anni. Anche in quel testo Perrella rifaceva con esiti assai felici i suoi e i nostri conti con un passato prossimo che si sovrapponeva al suo stesso proprio passato, sussumendo il volume all’interno di un’implicita, discreta autobiografia intellettuale.
Composito e polifonico
In questo Insperati incontri la scrittura di Perrella, critico dal passo di flâneur in continua cerca di indizi e scorci, opta per un taglio più spiccatamente ritrattistico. Un’opzione di fondo giocata – spesso e ancor più volentieri – sulla dimensione del dialogo personale con il soggetto ritratto. Di uno scambio vis-à-vis che, sia detto per inciso, costituisce probabilmente la cifra esistenziale più marcata di Perrella e della sua spiccata intelligenza, tanto critica quanto umana.
Qual è, allora, lo status di Insperati incontri? Siamo davanti ad una galleria di ritratti, a una silloge di esplorazioni riguardo al flusso biunivoco e incessante fra vita e opera degli autori? Possiamo discorrere, anche qui, di un’autobiografia intellettuale che avverrebbe, stavolta, per speculum, vale a dire con Perrella autoritratto dal suo porsi di fronte al protagonista-specchio dell’incontro? È lo stesso autore a porsi la domanda, nell’ouverture del libro. Lasciandogli la parola: “E se doveste chiedermi che statuto abbia, non saprei rispondervi. Ci sono le voci degli interlocutori e c’è la mia voce. È un’opera composita e polifonica”.
È un’opera critica, mi verrebbe da dire, non meno delle altre portate a compimento da Perrella, sebbene diversa da tutte le altre della sua ormai ricca produzione. Ancora una volta Perrella si rivela ottimo chiosatore di se stesso, allorché ci confida: “Di volta in volta sono arrivate le persone e con loro parole e gesti e intonazioni. E ho capito che mi piaceva ascoltare la parola altrui. E che, anzi, quella parola spesso facevo in modo che venisse; la stimolavo ponendo domande”.
Dunque: ascolto e interrogazione della parola, dei gesti che sono sintomi espressivi, delle intonazioni che sono marcatori dello stile. Dunque, per Perrella, lavoro critico proseguito e perseguito sotto altra forma, nelle atmosfere più calde dell’incontro. Incontro che valica, con una felice apertura di compasso, i confini della letteratura, per aprirsi ad un ventaglio di personalità variamente creatrici. Menzionarne alcune fra le tante non si risolve in una mera elencazione, ma esemplifica lo spirito del volume e del suo autore: De Luca, Giosetta Fioroni, Garboli, Martone, Marotta, Mattotti, Italo Ferraro, Elvira Sellerio, Toni Servillo e tanti altri. Con essi entra in gioco un’ulteriore sfaccettatura di Perrella: la sua qualità narrativa, capace di arricchire la consueta scrittura critica, di cui resta l’esprit de finesse interpretativo, con una non comune e nativa abilità nel ricreare/evocare, per dettagli rivelatori, personalità, retroterra, mondi.
v_bottone@yahoo.it
V Bottone è scrittore e saggista
Un botanico da marciapiede: Vladimiro Bottone racconta un altro testo di Silvio Perrella intitolato Doppio Scatto.