Intervista versus tweet
I nostri lettori sono ormai abituati a sentire direttamente la voce degli autori che vengono recensiti sull’Indice. Attraverso una serie di domande mirate, gli autori raccontano non solo la loro opera ma anche il loro modo di lavorare, l’occasione e il contesto da cui ha origine il loro libro. Il numero di settembre è particolarmente ricco di interviste. Alessandro Azzolina intervista Jadwiga Pinderska Lech, direttrice della casa editrice del museo di Auschwitz che spiega efficacemente il senso del suo lavoro: “Credo che la voce dei sopravvissuti contenuta nei libri rimanga per sempre forte e che anche le future generazioni siano sensibili a queste storie. Recentemente, in occasione del settantesimo anniversario della fondazione del Museo di Auschwitz e sessantesimo anniversario dell`esistenza della casa editrice, abbiamo pubblicato una raccolta esclusiva e limitata dei più interessanti libri su Auschwitz scritti in prevalenza nei primi anni dopo la fine della guerra. Dieci autori scelti da noi sono i sopravvissuti che presentano Auschwitz da vari punti di vista. Sono persone deportate nel campo in diversi periodi, di diversa formazione culturale ed esperienza, persone che svolgevano nel campo diverse funzioni, ebrei e non ebrei. (…). La possibilità di ascoltare un sopravvissuto raccontare la sua storia, di poter parlare con lui, di abbracciarlo, sono i momenti indimenticabili per tutti e di grande valore educativo. Quindi gli educatori del Museo di Auschwitz e non solo hanno davanti a loro un grande problema da risolvere: come parlare di Auschwitz e della Shoah dopo la scomparsa dei testimoni diretti dell`orrore della deportazione e dei campi di concentramento e di sterminio nazisti?”. L’alternativa fra racconto (a rischio di banalizzazioni) e silenzio è al centro di un confronto fra Alberto Cavaglion e Daniele De Luca che trova spazio sul numero di settembre a proposito del “Treno della memoria” e in generale del ricordo della Shoah. Scrive Cavaglion, diffidente nei confronti di iniziative come quello del Treno della memoria: “Perché dopo La vita è bella ogni discorso sulla Shoah suona sospetto? Qualcuno dice che siamo entrati nel postmoderno o, di recente si è precisato, con formula per me troppo futurista, nell’era della pop-Shoah. Forse. Rimane il fatto che, dal 1997-1998 in avanti, qualunque persona di buon senso non possa fare a meno di combattere un pericolo doppio: della banalizzazione e della commercializzazione. Anche la sacralizzazione è un guaio, ci ha spiegato Valentina Pisanty. Nondimeno la banalità e l’uso commerciale delle vittime sono due ostacoli che sommati insieme dovrebbero spaventare chiunque. Ho la sensazione che i due pericoli invece siano sacrificati sull’altare della velocità e della semplicità”. Nella stessa pagina argomenta (in un rapporto dialettico) De Luca, difendendo invece le iniziative rivolte alla conservazione della memoria storica: “È bene essere chiari: imprese come quella del Treno della memoria non sono la fiera dell’indistinto, non sono figlie del relativismo, sono semplicemente iniziative (sicuramente perfettibili) che hanno fatto della lotta all’oblio colpevole della Shoah il loro obiettivo primario. Primario perché, senza mai distaccarsi dall’assunto fondamentale dell’unicità dello sterminio del popolo ebraico da parte dei nazisti e dei suoli alleati hanno da sempre la speranza di fornire ai giovani studenti strumenti per renderli veri cittadini attivi. Per far questo, le vittime dell’omofobia, di cosa nostra, della povertà, di tutte le guerre non possono essere dimenticate, ma anche quella particolare memoria deve essere difesa, senza confusioni di sorta”.
Altre interviste presenti sul numero di settembre propongono temi molto meno problematici e più leggeri. Daniela Carmosino intervista Massimo Maugeri che ha raccolto in volume i prodotti migliori del suo blog “Letteratitudine”; così spiega un successo che non si appoggia a polemiche e toni alti: “Chi crede nel valore della cultura non ha bisogno di farsi notare, di acquisire visibilità a tutti i costi. Chiede, invece, notizie attendibili, opinioni competenti e approfondimenti originali. Chiede di partecipare senza essere aggredito. Chiede una varietà d’offerta che mantenga, tuttavia, una certa coerenza: a me piace parlare e far parlare di letteratura e poesia, ma anche di musica, cinema, teatro. Mi piace entrare nel laboratorio degli scrittori, scoprire come lavorano. Questo è quello che offre ‘Letteratitudine’, ormai da una decina d’anni”.
Sempre nella sezione dei Segnali, Paola Carmagnani intervista Wu Ming 4 sull’ ultimo romanzo, Il Piccolo Regno, che si svolge nell’Inghilterra della metà degli anni 1930 e racconta l’ultima estate dell’innocenza di un gruppo di ragazzi: “Una volta era tutto più chiaro, più netto: oltre una certa età ti vestivi diversamente, avevi un altro modo di pensare, ti sposavi. Non c’erano alternative. Nel corso del Novecento tutto questo è saltato. I fabiani hanno inventato l’infanzia, poi i rockers l’adolescenza… Comunque sia, abbiamo abolito i passaggi di fase. Noi genitori siamo sempre meno disposti ad accettare la divisione in ‘gente alta’ e ‘gente bassa’, ci sentiamo sempre più alla pari nel rapportarci ai nostri figli. Non credo che questo sia del tutto positivo, credo che il fatto che non ci siano più delle sfere separate abbia anche delle ripercussioni negative. Ha a che fare anche con le nostre fragilità, debolezze, con quanto noi investiamo sull’infanzia, sui figli, e al tempo stesso con la nostra perdita del senso delle fasi. Abbiamo perennemente la stessa età, questo è il discorso dominante. Se non hai più la stessa età, in qualche modo devi continuare ad averla. E questo impedisce di mettere in prospettiva le cose, di capire che ogni età ha il suo momento, e il suo momento di passaggio”.
Marta Musso intervista poi Mary Kaldor su Brexit Corbyn e le prospettive politiche nazionali ed europee. La sua voce ci dice che “quello che l’Europa deve capire è che in un mondo globalizzato l’importanza di prendere decisioni a livello locale, più che nazionale, è fondamentale. Per fare questo serve una società civile ‘internazionalizzata’; e forse proprio grazie allo shock della Brexit, questi movimenti di livello europeo stanno nascendo”.
E per questa società civile internazionalizzata occorre anche che il linguaggio sia adeguato, come ci spiega Michiko Kakutani, che è stata la caporedattrice delle pagine culturali del “New York Times” fino a poche settimane fa, intervistata da Ennio Ranaboldo: “Trump ha reso la lingua insignificante, con le sue menzogne flagranti e i continui rivoltamenti, con il suo orwelliano sovvertimento della verità, con l’uso cinico e demagogico delle parole per fomentare paure nativiste ed intolleranze. Molte delle sue tecniche sono trite azioni di propaganda, l’uso di iperboli e sensazionalismi per fare appello alle emozioni degli elettori invece del loro intelletto, trasformando importanti questioni politiche in semplicistiche formule noi contro loro. I suoi tweet aggressivi e impulsivi e la rabbiosa prepotenza dei suoi discorsi sono una rappresentazione estrema dello zeitgeist polarizzato e impaziente della nostra cultura, la sua suscettibilità alle voci più forti, stridenti e sensazionalistiche”. Ecco, appunto: la voce viva dei nostri autori che interpella le nostre coscienze, nell’alternarsi delle domande e delle risposte tipica dell’intervista, delinea un’idea del mondo ed è davvero l’antidoto migliore ai “tweet aggressivi e impulsivi e alla rabbiosa prepotenza dei discorsi”. Ascoltatela.
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