Libri amati, scrittori e presidenti
intervista a Michiko Kakutani di Ennio Ranaboldo
dal numero di settembre 2017
Michiko Kakutani è stata fino a qualche settimana fa la caporedattrice della critica letteraria del “New York Times”, dove ha iniziato a lavorare nel 1979 come reporter dopo due anni al “Washington Post” e a “Time”. Dal 1983 è stata a capo della critica letteraria per le pagine culturali del “newspaper of record” new-yorchese. È nata a New Haven, in Connecticut, ed è la figlia unica dell’importante matematico giapponese Shizuo Kakutani. Si è laureata a Yale in inglese e, nel 1998, ha vinto il premio Pulitzer per la critica “per i suoi scritti appassionati ed intelligenti sui libri e la letteratura contemporanea”. Vive a Manhattan. Nota per il rigore e il vigore, ma anche per la passione e le idiosincrasie, del suo pensiero critico e delle sue recensioni, Michiko Kakutani, nel corso della sua lunga attività professionale, ha intervistato innumerevoli autori e intellettuali (e non solo), continuando a esercitare la sua autorevole influenza sulla scena letteraria ed editoriale americana.
Come è diventata una critica letteraria, da giornalista che era agli inizi della sua carriera?
Fare la giornalista consente di offrire ai lettori un senso palpabile dell’argomento di cui si sta scrivendo. E ciò può accadere sia descrivendo quello a cui hai assistito nelle strade di New York sia, nel caso di una recensione, cercando di comunicare l’essenza di un libro, la sua portata, lo stile e il tono. Il giornalismo insegna anche l’importanza del lavoro di ricerca documentale e di indagine, perché possa sempre emergere il contesto di quanto viene esplorato. Ho amato la letteratura fin da bambina: ero ossessionata dai gialli di Nancy Drew e dai libri della serie di Oz di L. Frank Baum, e sono stata una drogata di notizie per gran parte della mia vita. Per questo ho sempre recensito sia narrativa che saggistica. Dopo l’11 settembre, la percentuale di non narrativa è probabilmente cresciuta un poco, in quanto il terrorismo, eventi come la guerra in Iraq e la scena politica attuale in America esercitano un enorme (e spesso allarmante) impatto sul resto del mondo.
Qual è il suo rapporto con gli scrittori contemporanei?
Da quando ho cominciato il mestiere di critica, ho avuto pochissime interazioni con gli scrittori. Quando invece facevo la giornalista, ho intervistato Saul Bellow, John Cheever, Joan Didion, John Updike, Philip Roth e Norman Mailer tra gli altri (oltre a molti registi, come Ingmar Bergman) e personaggi del mondo dell’arte come Joseph Papp, il fondatore del New York Shakespeare Film Festival del Public Theater.
Inevitabile chiederle suggerimenti in materia di libri da lei amati e suggeriti.
Questi sono i dieci titoli di libri davvero amati e che raccomando abitualmente agli amici; ne ho fatto una lista per “Esquire” circa un anno fa: Il grande Gatsby, Amatissima di Toni Morrison, Cent’anni di solitudine, Mentre morivo di Faulkner, Underworld di DeLillo, Selected Stories di Alice Munro, Mason & Dixon di Thomas Pynchon, The Stories of Vladimir Nabokov, La breve favolosa vita di Oscar Wao di Junot Díaz, Nelle pieghe del tempo di Madeleine L’Engle. A questi vorrei aggiungere alcuni classici: Moby Dick, Anna Karenina, i racconti e i drammi di Anton Čechov, le lettere di Flaubert, le poesie di Thomas S. Eliot, i saggi di Orwell. E ancora le commedie di Shakespeare, la Divina Commedia e la poesia di William Butler Yeats.
E, tra le opere più recenti, Espiazione di Ian McEwan, la quadrilogia napoletana di Elena Ferrante, Life di Keith Richards, Il cardellino di Donna Tartt, The Passage of Power di Robert Caro, La grande guerra e la memoria moderna di Paul Fussell. Tra i libri “adulti” che i bambini possono leggere, a seconda dell’età e del grado di maturità, La fattoria degli animali di Orwell, Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte di Mark Haddon, e Vita di Pi di Yann Martel.
Tra i contemporanei, quali sono gli scrittori che più la interessano?
Ci sono oggi moltissimi scrittori di talento all’opera. Sulle tracce di Salman Rushdie e David Foster Wallace, una nuova generazione di scrittori – compresi Dave Eggers, Junot Díaz , Gary Shteyngart – ha dimostrato non solo la robusta vitalità del romanzo ma anche la dimensione infinitamente capace della sua forma. Con la loro scrittura vibrante e l’agilità nel combinare le più recenti innovazioni post moderne con la narrazione tradizionale, hanno prodotto libri che catturano la cacofonia della vita contemporanea, fondendo insieme il cerebrale con il viscerale, la raffinatezza intellettuale e la vitalità della strada.
Ci racconti della sua recente intervista con Barack Obama.
I libri hanno avuto una funzione formativa nella vita del presidente Obama. Da adolescente e giovane adulto, la lettura è stata uno strumento cruciale per orientarsi e capire chi fosse e in che cosa credeva. E la lettura ha continuato a essere una fonte di comprensione, conoscenza, prospettiva e ispirazione. È un vero intellettuale, profondamente addentro la storia, la filosofia e la saggistica contemporanea. La sua visione del mondo e la sua stessa scrittura sono state fondamentalmente formate dal lavoro di due grandi leader come Abraham Lincoln e Martin Luther King.
E come attesta il suo memoriale, I sogni di mio padre (Nutrimenti, 2007) il presidente Obama è lui stesso uno scrittore eloquente, con la passione di una vita per la letteratura, da Shakespeare a Melville, a Ralph Ellison, Marylinne Robinson e Gabriel García Márquez.
Lei ha scritto: “Donald Trump sta rendendo il linguaggio insignificante”. Ci spieghi.
Trump ha reso la lingua insignificante, con le sue menzogne flagranti e i continui rivoltamenti, con il suo orwelliano sovvertimento della verità, con l’uso cinico e demagogico delle parole per fomentare paure nativiste e intolleranze. Molte delle sue tecniche sono trite azioni di propaganda, l’uso di iperboli e sensazionalismi per fare appello alle emozioni degli elettori invece che al loro intelletto, trasformando importanti questioni politiche in semplicistiche formule “noi contro loro”. I suoi tweet aggressivi e impulsivi e la rabbiosa prepotenza dei suoi discorsi sono una rappresentazione estrema dello Zeitgeist polarizzato e impaziente della nostra cultura, la sua suscettibilità alle voci più forti, stridenti e sensazionalistiche.
ennioranaboldo@gmail.com
E. Ranaboldo è saggista