La panteresca inafferrabilità del popolo italiano
di Enrico De Vivo
dallo Speciale Estate 2017
Marc Zimmerman
LA PENISOLA NON TROVATA
I giorni italiani di un viandante perduto
a cura di Alessandro Carrera, trad. di Marco Codebò
pp. 242, € 13
Greco&Greco editori, Milano 2017
disponibile su IBS
Nel suo trattato sul “volgare illustre”, Dante paragona l’idioma italico a una pantera, che lascia una scia odorosa ma è inafferrabile. Come la pantera, la lingua italiana sognata e cercata dal Poeta fa sentire il suo profumo dappertutto, però nessuno riesce a trovarla, non si sa dove sia.
Il libro che lo scrittore americano Marc Zimmerman dedica all’Italia, La penisola non trovata, enuncia già nel titolo quella che potrebbe essere un’ardita interpretazione del mistero enunciato da Dante, allargato ora agli italiani e all’italianità, inseguiti per ogni dove ma mai scovati.
Il protagonista Mel, fin da ragazzo, è attratto da tutto ciò che ruota intorno all’Italia e agli italiani, che per lui ebreo sono “dei diavoli che nella guerra fra poveri… erano i nostri nemici… Però in qualche modo strano, erano anche parte di noi, di quel che eravamo”. Forse come tutti gli adolescenti o gli ebrei erranti, Mel ha bisogno di uno specchio della propria identità per sentirsi al sicuro. Anche se, affidandosi agli italiani, probabilmente sbaglia bersaglio, accorgendosi presto che essi possono fare tutto, tranne gli specchi rassicuranti. Ecco quindi una sequela di storie narrate con piglio ironico, animate dal sentimento inconsapevole che gli italiani non sanno far altro che esprimere il loro “modo strano” di essere, la loro panteresca inafferrabilità. Sono come “il suono di ciò che non può essere”.
Per interposta persona
Un vasto campionario di illustri italoamericani apre la galleria di personaggi più o meno romanzeschi che accompagneranno Mel nel corso della sua quête improbabile fatta di avventure, viaggi e ritorni nella penisola. Ogni racconto contiene traccia di qualche pentimento o frustrazione, superati sempre grazie allo specchio dell’italianità, che diventa una sublimazione del male di vivere, e alla fine della propria diversità o “stranezza”. Fino ad arrivare al problematico capitolo dedicato a Venezia e alla deportazione degli ebrei locali, nel quale il narratore, per dirimere l’intrico di sensi di colpa e risentimenti, si vede costretto a chiamare in causa il curatore e il traduttore del volume, ossia Alessandro (Carrera) e Marco (Codebò). I quali, trasformati in personaggi, spiegano a Mel tante cose dell’Italia, prima tra tutte che questo è il paese dove si gode per interposta persona (vedi l’era Berlusconi).
E che cosa significa godere per interposta persona se non abdicare alla propria identità? In fondo, per interposta persona (Mel), anche Zimmerman espone la propria visione della realtà. Il suo eroe, spostando sugli italiani tutto il bene e il bello del mondo, diventa finalmente buono e bello anche lui ai suoi stessi, troppo autocritici occhi. E si salva. Una comica tregenda di italiani lo ha scortato con benevolenza sulle sponde del Tevere, dove vengono imbarcate le anime dirette al Purgatorio. E ora Mel, proprio come un’anima del Purgatorio, nuota fiducioso alla ricerca di se stesso ovvero in attesa dell’angelo che verrà a prelevarlo per metterlo in salvo.
Da che cosa? Ma dagli italiani, of course!
E De Vivo è scrittore