Dal rogo alla beatificazione
recensione di Lucio Biasiori
dal numero di gennaio 2014
Donald Weinstein
SAVONAROLA
ASCESA E CADUTA DI UN PROFETA DEL RINASCIMENTO
ed. orig. 2011, trad. dall’inglese di Giovanni Arganese
pp. 472, € 38
il Mulino, Bologna 2013
Questa biografia di Savonarola costituisce il punto d’arrivo di mezzo secolo di ricerche dell’autore e una sintesi di rara chiarezza e leggibilità. Discendente da una famiglia padovana dedita al mestiere delle armi, nipote del medico di casa d’Este e figlio di un mercante che a Ferrara aveva incontrato il fallimento, Girolamo era un giovane non troppo socievole e dedito allo studio delle lettere e della filosofia, quando, sopraffatto dal pessimismo nei confronti del mondo e forse anche frustrato da una delusione amorosa, decise di farsi monaco domenicano nel 1475.
I domenicani erano i più esperti predicatori della cristianità e proprio l’abilità dal pulpito dovette rivelarsi decisiva per la sua carriera, quando, nel 1489, si stabilì definitivamente a Firenze, su chiamata del signore della città, il Magnifico Lorenzo de’ Medici. “Che Lorenzo dovesse essere lo strumento del ritorno a Firenze della stessa persona il cui nome sarebbe diventato sinonimo di rivolta contro la ‘tirannia medicea’ è un’ironia della storia”, nota giustamente l’autore. Giunto in “una delle più mondane città del tempo”, fu ospitato nel convento domenicano di San Marco, tempio di cultura e spiritualità sotto l’egida medicea. Inizialmente fra Girolamo vi insegnò logica, filosofia morale e naturale, ma piano piano iniziò a predicare anche ai fiorentini. Le prime reazioni del pubblico, scontento del suo accento ferrarese e del suo stile ancora pieno di distinzioni scolastiche, lo lasciarono deluso. La cocciuta volontà di superare le sue incertezze e soprattutto il precipitare dei destini della chiesa e di Firenze lo portarono ad accentuare i contenuti apocalittici delle sue prediche, che si trasformarono in infuocate denunce dei peccati dei fiorentini e delle future disgrazie che sarebbero piovute sulla città, se non si fossero convertiti.
A forza di evocarla, l’apocalisse arrivò, sotto forma delle fanterie francesi che dilagarono in Italia nel 1494. L’arrendevolezza di Piero, figlio e successore del Magnifico, nei confronti dei francesi, a cui venne lasciata mano libera su Pisa, porto e fiore all’occhiello del dominio fiorentino, causò la fine del dominio mediceo. A capo dell’ambasceria presso il re di Francia Carlo VIII venne allora messo proprio Savonarola, il quale poi, con un brusco cambio di toni, iniziò a predicare la pacificazione tra i cittadini, promettendo ai fiorentini “tanta benedizione di abbondanzia, che direte: ‘Noi non ne vogliamo più’. Ma se voi non farete quel che v’ho detto, non l’arete”. Il “Frate” divenne così il nuovo arbitro della politica fiorentina. Grazie alla presenza dei suoi seguaci, i “Piagnoni”, nelle istituzioni fiorentine, egli fu formalmente a capo di un regime repubblicano, in cui “la giustizia sociale non doveva passare per l’uguaglianza politica”. Ma sotto la vernice della pacificazione covava il vecchio “stile paranoico della politica fiorentina, in cui tutti sospettavano tutti di trame nascoste”.
Da un lato il radicalizzarsi delle riforme savonaroliane, che ormai miravano a fare di Firenze una nuova Gerusalemme anche grazie al disciplinamento e alla mobilitazione dei fanciulli e ai roghi delle vanità, dall’altra la scomunica fulminata da papa Alessandro VI Borgia il 12 maggio 1497, fecero sì che “la moltitudine cominciò a non crederli” e lui, essendo un “profeta disarmato”, “non aveva modo a tenere fermi quelli che avevano creduto, né a far credere e’ discredenti”. Parola di Machiavelli.
Lo scoppio di un’epidemia di peste fece il resto e, nonostante i suoi tentativi di difendersi, fra Girolamo, che aveva rinunciato a una prova del fuoco per dimostrare la sua innocenza, venne infine arso come “eretico e scismatico” in piazza della Signoria, dopo un processo nel quale ammise di aver finto la rivelazione divina per i suoi scopi politici. Fu una vera confessione? Oppure gli fu estorta con la tortura, o fu una falsificazione del notaio ser Ceccone? Nemmeno un osservatore acuto degli eventi come Francesco Guicciardini seppe darsi una risposta: “Se lui fu buono, abbiàno veduto a’ tempi nostri uno grande profeta; se fu cattivo, uno uomo grandissimo, perché seppe simulare sì publicamente tanti anni una tanta cosa sanza essere mai scoperto”. Più che agli storici, “la questione della legittimità profetica del Savonarola è meglio sia lasciata ai teologi e ai membri di sette religiose”, conclude, sulla scia di Adriano Prosperi, anche Weinstein. Quanto a loro, cinquecento anni dopo sembrano in procinto di uscire da quel dilemma: messo a morte da un tribunale ecclesiastico, che fu attentissimo a cancellarne persino la memoria, ne è ora in corso la causa di beatificazione.
L Biasiori è assegnista di ricerca in storia moderna alla Scuola Normale Superiore di Pisa