Città magiche e saghe mannare
di Franco Pezzini
Tra i saggisti nostrani che in questi decenni hanno più estensivamente lavorato sull’immaginario folklorico e antropologico al di fuori dell’accademia, un ruolo speciale può ben vantarlo Massimo Centini, collaboratore di istituzioni culturali pubbliche e private, divulgatore instancabile e vivace relatore: i suoi testi, solidi per sostanza quanto noti per leggibilità, coprono uno spettro ideale che va dalle monografie scientifiche a tutto tondo (si pensi ai suoi studi ormai classici e spesso riediti su stregoneria e Uomo Selvatico) alla divulgazione popolare. Come in ultima istanza per un recentissimo Torino magica fantastica leggendaria (pp. 380, euro 15, Il Punto – Piemonte in bancarella, Torino 2017), strutturato a voci di dizionario: un esempio interessante di quella produzione saggistica popolare – si ripete la definizione, in nessun modo svilente, legata a un target e a un linguaggio – il cui peso sull’immaginario ancora nell’età di internet sarebbe a sua volta degno di studi. La smaliziata particolarità è però che in questo Torino magica… l’autore non si limita a riunire, come in genere accade, un centone di storie dalla doppia pista di tradizioni (variamente) antiche e leggende urbane postmoderne – le due anime cioè di un mito arcano torinese ampiamente costruito sui giornali, con un momento genetico eminente negli anni settanta, e tale da muovere oggi un fatturato importante attraverso iniziative turistiche, esercizi commerciali e ovviamente produzione editoriale. A questo contenuto canonico Centini unisce però anche una messe di riferimenti ad autori e realtà del Fantastico torinese letterario, pittorico, cinematografico, e del relativo fandom: a sottolineare in fondo la dimensione affabulatoria di tante storie, come reagenti assieme nel matraccio immaginale di una città-laboratorio.
Per venire però a testi saggistici più tradizionali, tra i vari filoni della sua produzione Centini ha affrontato nel corso degli anni un intero bestiario: merita citare per esempio la bella monografia Mostri marini. Creature misteriose tra mito, storia e scienza (Magenes, Milano 2013) fitta di richiami dal mondo classico a Pinocchio, dagli avvistamenti di calamari giganti a Van Gennep. Ed è su tale filo rosso che ora propone un ricchissimo Lupus in fabula. Antropologia dell’uomo lupo (pp. 202, euro 18, Mimesis, Milano-Udine 2016): il cui interesse è recato non tanto dalla “stranezza” del tema (frequentato negli ultimi anni da una certa quantità di studi nuovi e riedizioni, italiani come stranieri, di valore e taglio diversissimo) quanto piuttosto, come sempre, dal rapporto tra qualità scientifica e godibilità di lettura. Sostenuto da una ricca bibliografia, il saggio sul “miglior nemico dell’uomo” traghetta dalla preistoria a società iniziatiche sanguinarie moderne (gli Uomini leopardo africani, per esempio), dai miti licantropici classici (si pensi al versipelle del Satyricon) o di aree “barbariche” al mistero settecentesco della cosiddetta Bête du Gévaudan, e fino a quegli abissi della psiche che ancora all’icona della Bestia richiamano. Dove un’immagine che ben sintetizza l’itinerario tra valori – coraggio, capacità predatorie… – e paure di culture tanto diverse è una pittura su un piatto etrusco da Vulci (VI sec. a. C.) qui presentata nel corpus iconografico: al centro, un uomo-lupo bellissimo, l’occhio lucido e indecifrabile, la figura dinamica scintillante di forza.
franco.pezzini1@tin.it
F Pezzini è saggista