Fare scuola con i libri
di Carla Colussi
Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul sito di Libri Calzelunghe
“Iniziamo a leggere!”, dice la maestra. E subito si viene interrotti dalla “signora della mensa” che chiede quanti bambini saranno a tavola e quanti devono mangiare in bianco. Qualche minuto più tardi bussa la bidella che arriva con una decina di compagni di un’altra classe, con sedie al seguito perché la collega è malata e non è prevista supplenza. L’ora è diventata… 40 minuti. Alle volte poi arriva la collega di inglese che chiede l’aula perché nella sua la LIM è rotta, poi Carletto deve uscire per un qualche motivo famigliare, poi la maestra si ricorda che Paolino non può sentire parlare di cani e il libro che ha portato Ughetta parla di un cane. A questo punto l‘insegnante butta il libro e fa una verifica o mette tutti a disegnare!
Trovare tempo per il libro
Ecco, questo è più o meno quello che accade ogni giorno nelle nostre scuole, anzi la realtà è molto più articolata e complessa. È mia convinzione che per formare lettori sarebbe necessario fare scuola con i libri. Per fare scuola con i libri, intendo l’abbandono dei testi scolastici e l’adozione di libri di letteratura, di divulgazione, gli atlanti, gli inventari nonché gli albi, utilizzando per l’acquisto le cedole librarie (per approfondire, leggete l’articolo 156 comma 2 di questo decreto). Pensate quale ricchezza e complessità verrebbero donate ai nostri bambini e ragazzi, semplicemente usando soldi già stanziati!
In assenza (o in attesa) che si realizzi questa speranza, è necessario trovare lo spazio e il tempo per il libro a scuola.
Ho avuto la grande fortuna di avere una professoressa che nel triennio del liceo ci leggeva ad alta voce in classe. Cosa leggeva? Tutto! Per me e per i miei compagni erano dei momenti molto belli tanto che si faceva un silenzio carico di energia. I più bei ricordi ce li ho legati alla voce della prof. che leggeva Dante. Non leggeva facendo chissà quali “animazioni”. Leggeva con voce chiara, scandita e appassionata. Solo dopo molti anni ho compreso il valore di quello che avevo ricevuto. In Italia già nella seconda metà degli anni ottanta si portavano avanti progetti educativi riguardanti la lettura ad alta voce. Già allora si sottolineava l’importanza di una lettura dialogata, strutturata come una conversazione con domande e interventi “a specchio” (per intervento “a specchio” si intende una metodologia che prevede di richiamare l’attenzione del gruppo su ciò che è stato appena detto, ripetendo le parole pronunciate dal bambino, senza esprimere in alcun modo un giudizio di valore). Sono seguiti progetti, scritti e normative che sottolineavano l’importanza della lettura ad alta voce a scuola.
Se si fa uno studio delle normative nella scuola primaria (e non solo) si scopre che già dal 1985 con il DPR 104 del 12 febbraio 1985 si era messo l’accento su una “diffusa disaffezione dei fanciulli di oggi per il leggere” e si decretava che “l’insegnante avrà cura di accendere interessi idonei a far emergere il bisogno e il piacere della lettura”.
Attività libera
Come si può vedere anche nella circolare ministeriale del 1995, si pone l’accento sull’importanza della lettura là dove si afferma “Questo Ministero considera l’educazione alla lettura come uno dei principali obiettivi della scuola”. Si parla di una lettura che superi l’ambito linguistico per connotarsi come obiettivo più ampio di formazione della persona; si parla di curiosità alla lettura e di passaggio da una concezione della lettura come dovere scolastico ad una lettura come attività libera e capace di porre il soggetto in relazione con se stesso e con gli altri e ancora di valenza affettivo-relazionale e sociale della lettura.
Da allora in poi, molti sono stati i progetti che hanno attraversato la scuola. Vari i tentativi di creare rete e sinergie tra scuola, famiglia, biblioteca: si veda ad esempio il progetto Amico Libro (circolari marzo 2008 e marzo 2009). Docenti e dirigenti si sono adoperati a organizzare mostre del libro, incontri con autori, mercatini dei libri, progetti lettura. Le neuroscienze stanno confermando i vantaggi della lettura ad alta voce.
Eppure sono sempre di più le persone che non leggono e nonostante il mercato dell’editoria per ragazzi sia in crescita, questo non sempre si traduce in effettivi lettori. Dov’è che tutto questo processo si inceppa? Che cosa sta accadendo nella scuola che non riguarda solo la lettura, ma la didattica in genere?
L’apprendimento ha bisogno di tempi lenti
Proviamo ad entrare in una scuola qualsiasi e di qualsiasi grado e vediamo cosa effettivamente accade. La scuola come qualsiasi istituzione e qualsiasi prodotto umano è “figlia del suo tempo” e della società nella quale si inserisce e di cui è specchio. Siamo la società dell’“essere senza tempo”, ovvero dell’uomo che non ha tempo e sente di non avere tempo. Se dovessimo connotare lo spirito della nostra epoca certamente potremmo dire che la nostra è l’epoca della fretta. I tempi del mondo ci travolgono costringendoci ad adeguare senza sosta le nostre vite alla temporalità iper-accelerata, anche quando riguarda il “tempo libero” (Fusaro, Essere senza tempo, Bompiani 2010). Dobbiamo essere all’avanguardia e competitivi, dobbiamo aver visto quel film o quella mostra, dobbiamo andare a vedere quel monumento o quello spettacolo.
Questa sindrome della fretta, di cui Fusaro nel suo Essere senza tempo (Bompiani 2010) analizza le radici storiche, sottolineando come non sia un destino, ma una categoria storica, e come quindi come sia possibile invertirne la tendenza, ha invaso anche il nostro sistema educativo e di conseguenza la scuola.
Il susseguirsi, senza soluzione di continuità, di discipline diverse. L’attenzione spasmodica alla programmazione e ai programmi. L’enorme pressione sociale che pesa sulla scuola affinché “ottenga dei risultati”, “centri gli obiettivi”, hanno fatto perdere di vista il bambino e i suoi tempi. L’ambiente che ci circonda (che paradossalmente siamo noi!) ci impone di apprendere tante cose e ci impone conoscenze imprescindibili e meglio se “il prima possibile”. In realtà la sindrome della fretta ci fa dimenticare ciò che già i latini sapevano, ovvero che l’apprendimento ha bisogno di tempi lenti.
Nella scuola la tendenza a pianificare in tempi e orari rigidi e la tirannia del libro di testo, fa sì che si passi rapidamente da un apprendimento all’altro senza che ci sia la sedimentazione del sapere e senza che si tenga presente, come la scienza cognitiva ha appurato, che esistono apprendimenti che devono avvenire con la massima lentezza. Inoltre l’ossessione dell’accelerazione e l’anticipazione dei tempi e degli obiettivi da raggiungere, minano alcuni aspetti fondamentali per lo sviluppo sociale, emotivo e cognitivo del bambino. Bambini iperattivi, insuccesso scolastico, conoscenze effimere, abbandono scolastico, aumento dei casi di DSA. Queste le conseguenze della sindrome della fretta. Non si tratta solo di ridurre la velocità, ma soprattutto di ripensare il rapporto tra lo spazio e il tempo dell’educazione.
Leggete dove tutti vi possono vedere
E la lettura? Vittima anch’essa. Una sorta di danno collaterale. Leggere è un’attività lenta che comporta la scelta oculata di un tempo e uno spazio dedicati. Leggere è un’attività che non porta immediati risultati e quindi spesso viene relegata a “momento cuscinetto” (quando i bambini sono stanchi, poco prima dell’uscita , per tenerli buoni), non le viene dato valore. Spesso vengono messi nelle biblioteche scolastiche e di classe libri di dubbissimo valore perché ricevuti gratis o si aderisce ad un’iniziativa perché gratuita. Beniamino Sidoti in un articolo su A scuola si legge sottolinea proprio come non si debba accettare “la gratuità come ideologia”, e come si rischia di far passare “un’idea sbagliata, chiedendo di non spendere, rivendicando di non spendere… diciamo che la letteratura non è così importante”.
È fondamentale che il momento in cui si legge non sia disturbato da incursioni continue di colleghe o di bambini di classi accanto alla ricerca di fogli, colla, gesso. Il progetto lettura dovrebbe appartenere a tutta la scuola. Se questo è assodato, sarà abbastanza facile creare un cartello (uguale per tutte le classi così da essere immediatamente riconoscibile anche da chi non sa leggere) che voglia dire “NON ENTRATE, LETTURA IN CORSO”. Voi da parte vostra, non scegliete come momento per leggere l’ora in cui arriva la “signora della mensa” o ci sono spostamenti di qualche tipo (lo so, non facile!).
Leggere (o farsi leggere) è soprattutto un piacere, quindi mettiamoci comodi. Sarebbe bene che nelle classi ci fosse un posto dove sedersi più comodamente rispetto alle sedie. Attenzione: ho detto sedersi! Ritengo infatti che lo stare sdraiati (sto parlando di scuola e non di casa!) non aiuti la concentrazione del gruppo. Il discorso cambia completamente nel caso delle piccole filastrocche o ninnenanne lette dalle educatrici al nido prima del riposino pomeridiano, che hanno altra funzione. In mancanza di questo, come accade in quasi tutte le scuole, che almeno si invitino i bambini a sedersi comodi, consentendo loro di distendere le gambe e spostare la sedia, chi volesse può poggiare la testa sul banco. Aprite un po’ la finestra (se non fa meno 30°!), per evitare che la mancanza di ossigeno faccia sbadigliare e porti sonnolenza. Abbassate la luce della classe per aiutare la concentrazione e accendete un’abatjour. Questa operazione serve a voi che dovete leggere e crea un’atmosfera calda e rilassata.
Leggete dove tutti vi possano vedere. Meglio sarebbe non alla cattedra, anche per togliere “l’ansia da lezione” che potrebbe crearsi e sulla quale torneremo. Prendete una sedia e, se potete, metteteci sopra un grosso foulard per creare una piccola scenografia. Se leggete ai ragazzini (diciamo fino a 10 anni) usate un oggetto (una borsa, una scatola, ma anche un cassetto) da cui tirate fuori il libro. Create l’aspettativa. Con i piccoli (sotto i 5 anni) potete anche usare un pupazzo. Avremo quindi il coniglietto (o il topolino o quello che volete) che sarà presente. Funzionerà un po’ da tramite con i bambini e con il quale i bambini si identificano. L’utilizzo del pupazzo rende la lettura ammantata ulteriormente di ritualità. Potete ogni giorno inventare delle comunicazioni (dategli un nome!) che il pupazzo vi fa avere (le troverete o in tasca o tra i capelli!!!), attraverso le quali vi chiede un determinato libro oppure propone ai bambini un giochino, il tutto per introdurre il momento della lettura.
Con i ragazzini e i ragazzi la ritualità è data dal vostro comportamento e da come e dove leggete. Più sopra dicevo di non leggere seduti alla cattedra. Ecco, ritengo sia importante anche per uscire dalla dimensione “scuola/lettura/devo stare attento perché poi interroga”. La lettura deve essere gratuita. Solo così il tempo della lettura sarà disteso, dilatato, magico ed emozionante. Alcune scuole hanno la grande fortuna di avere un’aula biblioteca dove maestre e genitori volenterosi hanno messo un divano e dei tappeti. Quale modo migliore di ammantare il tutto di ritualità, che spostarsi? Non sono un’insegnante, ma una promotrice della lettura nelle scuole e non. Il mio rituale è la Valigia! Ovvero una valigia stenografata che mi porto sempre dietro e che è diventata la mia compagna di viaggio e dalla quale tiro fuori oggetti e libri. Se avete una vecchia valigia, usatela. È magica!
Molto importante e anche molto delicato è il momento del “Dimmi” (definizione di Aidan Chambers) durante il quale attivare domande e riflessioni, stimolare il critico bambino, fare domande con lo scopo non di verificare se i bambini o i ragazzi “abbiano capito”, ma di stimolare risposte e altre domande e facilitare la discussione.
Questo momento richiede un tempo lungo e rilassato, durante il quale ogni bambino si deve sentire libero di esprimersi e deve avere il tempo di pensare. Solo con una lunga pratica si arriverà ad ottenere che i bambini parlino tra loro e con l’insegnante, rispettando i tempi di ognuno… anche loro sono figli della sindrome della fretta, in fin dei conti! Comunque il modo migliore che noi adulti abbiamo per far amare i libri ai bambini e ai ragazzi è essere dei lettori a nostra volta e leggere i libri che proponiamo loro.
La formazione dei docenti
In ultimo, concludo con una riflessione, che sono due. Nei vari DPR, nelle circolari non si parla mai di formazione del docente che legge al bambino/ ragazzo. Solo nel DPR del 1985 si allude al fatto che l’insegnante “dovrà possedere aggiornata e non superficiale conoscenza delle pubblicazioni e dei libri per i fanciulli”. Ma come debba fare e a chi rivolgersi non è chiaro. Uno dei punti dolenti dei progetti lettura nelle scuole è anche la mancanza di conoscenza da parte dei docenti del mondo dell’editoria, delle tecniche di narrazione e di lettura e del dibattito che esiste intorno a tali temi. La formazione a cui i docenti riescono ad accedere è spesso parziale e insufficiente e sembra più informazione che formazione. E qui si ritorna a parlare di tempo. Perché se la formazione dei docenti sui libri e la lettura è legata a quanto tempo riescono a ritagliarsi fuori dalle ore scolastiche per andare a fiere, convegni o atelier, inevitabilmente vedremo spiccare alcuni (quelli che possono, perché hanno tempo e disponibilità economica) su altri. La formazione dovrebbe essere obbligatoria, gratuita e di qualità.
Una parte della formazione le insegnanti potrebbero farla a scuola se nelle stesse ci fossero della biblioteche gestite da personale competente e appassionato, aggiornato sia per quanto riguarda il mercato editoriale sia sui dibattiti, attraverso blog e social network, per creare rete e condivisione. Nelle biblioteche i docenti potrebbero trovare testi e materiali per la loro formazione ma anche momenti di scambio. Sull’importanza delle biblioteche scolastiche si veda L’arco delle alleanze intorno al libro di Beniamino Sidoti e le riflessioni di Della Passarelli della casa editrice Sinnos, che ci fa notare che nel documento “La Buona Scuola”, la parola libro compare solo una volta e mai le parole biblioteca e lettura.