I libri anticipano l’eternità: Achille Mauri su Umberto Eco

Mai un no

In occasione del Seminario per Librai che si è tenuto a gennaio 2017, la Scuola UEM ha ricordato Umberto Eco con un volume fuori commercio dal titolo I libri anticipano l’eternità. Il volume raccoglie gli interventi che Eco ha tenuto al Seminario dal 1988 al 2013.
Di seguito riportiamo il testo in apertura realizzato da Achille Mauri.

Che fortuna incontrare un genio quando è ancora ragazzo, sebbene nascosto da una barba fluente. Umberto era già allora coltissimo, fantasioso, generoso, aperto alle cose del mondo.

Sì, in effetti c’è stato un tempo in cui lui e io siamo stati giovani,  e  c’è  stata  una mattina,  nel porto di Lerici  –  era l’estate del 1966 –, in cui i pescatori ci trovarono addormentati sui banchi del pesce e ci svegliarono per fare posto a triglie ancora agonizzanti, sogliole, scorfani… c’era persino un caciucco all’aceto sbarcato ancora bollente. La notte prima, il Gruppo 63 aveva festeggiato nei giardini di Villa Bompiani: c’erano tra gli altri Nanni Balestrini, Renato Barilli, Angelo Guglielmi, Cesare Milanese, Enrico Filippini. E quella mattina, mentre Umberto  e io assistevamo all’arrivo degli ultimi pescherecci, nei bar del paese venivano servite colazioni a base di  cappuccino e brioche per Ottiero Ottieri, Pier Paolo Pasolini, Mario Spagnol, e poi i Bompiani, e noi Mauri, e altri ancora. Non succedeva, credo, dai tempi del secondo Futurismo, quando il lido di Lerici ospitava mostre  e convegni a cui prendevano parte i più grandi artisti dell’epoca.

Risalendo poi verso la villa, mio fratello Fabio e Umberto scherzavano su chi di loro fosse il direttore editoriale della Bompiani. La verità è che nostro zio Valentino subiva la magica influenza di entrambi e li nominava a turno, così di fatto non nominava definitivamente nessuno dei due e rimaneva l’incontrastato direttore  d’orchestra. Umberto non voleva chiamarlo conte, né Bompiani – né poteva chiamarlo Valentino –, quindi aggirava l’ostacolo non chiamandolo affatto. Ma dentro di sé aveva coniato un nomignolo affettuoso, che poi prese a usare: zio Val.

L’”Almanacco Letterario Bompiani” fu il principale terreno di semina di Umberto e Fabio. La rivista era nata nel 1925 e in realtà non era soltanto letteraria perché annetteva grande importanza alla grafica, alle illustrazioni, alla pubblicità – in una parola, al “visuale” (e infatti vi parteciparono artisti come Munari, Angoletta, Zavattini, lo stesso Bompiani). Io ero più giovane di Fabio e Umberto di una decina d’anni, soprattutto ero in perfetta forma fisica e fidanzato a una donna bellissima, che poi ho sposato e che risposerei anche oggi.  Il mio “destino  editoriale”  era  già  segnato  e qualche tempo dopo – nel 1971 – con Umberto fondammo “Versus. Quaderni di studi semiotici”, la prima e credo unica rivista di semiotica italiana, alla quale contribuirono studiosi come Roman Jakobson, Christian Metz, Ugo Volli, Noam Chomsky.
Dal punto di vista commerciale non fu un successo, eppure di “VS” si parla ancora oggi.

In quello stesso periodo chiuse Il Saggiatore e Umberto si fece tramite perché ne rilevassi la redazione, che stava lavorando a un’opera sul femminismo voluta da Alberto Mondadori.  Insieme, abbassando un po’  tono  e  contenuti,  realizzammo  un’enciclopedia  destinata  al mercato  delle rateali, quelle che si vendevano porta a porta. Famiglia 2000 – così si chiamava – fu distribuita in quattordici paesi: la ritrovai persino in Canada, all’interno di un frigorifero rotto usato come libreria  in una casa di tronchi, dentro una riserva  indiana. I primi anni Settanta erano tempi molto speciali, tempi in cui non era semplice essere pensatori rigorosi, come Pasolini e lo stesso Umberto. In quella stagione, il mio gruppetto di fantastici redattori – Scalzone, Martino, Magrini, Taborelli, Tibaldi – si riuniva puntuale alle otto, in ufficio, dove discuteva per ore sull’orario elastico;  gli  stipendi finivano tutti a Potere Operaio. Si avvertiva il bisogno di un partito d’opinione e così nel 1974 nacque  – per poi non esistere  realmente –  il PdUP, il Partito di Unità Proletaria di Lucio Magri e Luciana Castellina.

Umberto ha lasciato detto che non avrebbe desiderato celebrazioni per i prossimi due decenni, ma io non  sarei comunque il più adatto a celebrarlo: il suo è stato, è, un orizzonte intellettuale troppo vasto. Questo dunque è solo un cenno, un piccolo grazie per un’amicizia familiare, un affetto cultural-parentale nato spontaneo tra noi dalla comune passione per l’editoria e cresciuto nel tempo al punto che non ricordo di avergli mai detto un no, o che lui ne abbia mai detto uno a me.

Riempiva gran parte della sua vita sociale – organizzata in tutto  e per tutto da Renate, divenuta  il  suo  tramite con il mondo – di musica e barzellette. Sorvolo sull’Eco suonatore di flauto: in quello, nemmeno lui riusciva a essere completamente lucido e critico, solo coraggioso. Ma poi c’erano, per  l’appunto, le barzellette. E non sarà un caso se è proprio sua l’unica che mi sia mai rimasta impressa: una cicogna vola col suo fagotto nel becco, sempre più stanca. Nel fagotto, un vecchietto tutto nudo cerca di convincerla che si sono persi. Rido  sino  alle  lacrime ogni  volta  che mi  viene  in mente questo vecchietto: perché mi riguarda da molto vicino o perché non mi riguarda affatto? Devo ancora scoprirlo.

Umberto  soleva  ripetere che  in una biblioteca ci  sono  il passato, il presente e il futuro: sono certo che nel cosmo lui troverà il modo di andare oltre.

È  sempre  stato  vicino  ai  librai  e  alla Scuola Umberto  e Elisabetta Mauri con  la generosità e  l’intensità, e allo stesso tempo la leggerezza, che gli erano proprie. Ci ha spesso onorati delle sue lezioni magistrali, che rilette oggi – e nonostante i cambiamenti che hanno attraversato in questi decenni il lavoro editoriale – sono ancora perfettamente attuali. Segno che l’attenzione di Umberto ai tempi, alla modernità e persino al pop non gli ha mai impedito di vedere attraverso il futuro, quasi vedesse con un paio di occhiali a  infrarossi, ciò che era destinato a durare – come, appunto, il libro e le sue straordinarie proprietà. Proprio per questo, mi piace concludere ricordando una sua celebre frase: «Chi non legge, a settant’anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge, avrà vissuto  cinquemila  anni:  c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è un’immortalità all’indietro».

Achille Mauri