I fondatori della retorica liberale moderna
di Telmo Pievani
dal numero di aprile 2013
Senza nulla concedere all’astrologia, vi sono coincidenze storiche che sembrano un destino. Il 12 febbraio 1809, a poche ore di distanza, sulle due sponde opposte dell’Atlantico, nascevano due uomini particolari. L’uno, Charles Darwin, da una ricca famiglia borghese di liberi pensatori, nella quieta campagna inglese dello Shropshire lontana dai clamori della capitale. L’altro, Abraham Lincoln, in una povera baita di legno nei boschi del Kentucky, secondo dei tre figli di un agricoltore quasi analfabeta. Entrambi furono, come tutti noi, piccoli “sassi lasciati cadere nel mare della storia”. Il tonfo di quei due, però, non fu soffocato dalla corrente. Le onde della loro esistenza, racconta Adam Gopnik nello splendido Il sogno di una vita (Lincoln e Darwin, ed. orig. 2009, trad. dall’inglese di Isabella C. Blum, pp. 265, € 17, Guanda, Milano 2013), seppero cambiare il moto dell’oceano.
Rivoluzionari riluttanti
Per dire quanto siano presenti, entrambi sono raffigurati sulle banconote più comuni del loro paese: Lincoln campeggia sul biglietto da cinque dollari; Darwin su quello da dieci sterline. Entrambi attraversarono tempeste e bonacce di un mondo il cui cambiamento avrebbero contribuito ad accelerare. Entrambi ruppero consolidate gerarchie: sociali e naturali. Rivoluzionari riluttanti, per timidezza o realismo politico, si fecero portatori di due idee semplici ed emancipatrici, ma difficili da conquistare e da mantenere: la repubblica democratica liberale e l’evoluzione della vita nel tempo profondo della storia. Come spiega la firma del “New Yorker” in questo intreccio narrativo di due parabole biografiche, Darwin e Lincoln con la loro radicalità contribuirono a fondare la nostra modernità morale e dettarono il vocabolario del nostro tempo. Con le rispettive bussole della giustizia e della verità, ci hanno consegnato due lasciti che ancora oggi fanno tremare antiche abitudini di pensiero: il liberalismo parlamentare procedurale l’uno; il pragmatico “liberalismo scientifico” l’altro.
Ma ciò che più colpisce sono i reciproci punti di tangenza fra le due storie. L’ambizioso e scaltro avvocato di Springfield, che diventerà il sedicesimo presidente degli Stati Uniti, si era interessato ai temi evoluzionistici, apprezzando in particolare Vestiges of the Natural History of Creation, il libro pubblicato anonimo dal giornalista scozzese Robert Chambers nel 1844 sulle trasformazioni dell’universo e della vita che tanto aveva impressionato (e spaventato) Darwin. Forse in un angolo della mente l’idea della non fissità dell’ordine naturale influì sull’opera riformatrice del repubblicano Lincoln in materia di ordine politico e sociale.
Naturalmente il punto centrale della loro convergenza sta nell’adesione di Darwin alle battaglie antischiaviste. Dalla giovanile ostilità verso la tratta dei neri (osservata nei suoi strazianti effetti in Sudamerica durante il viaggio del Beagle), all’impegno per lo smantellamento delle istituzioni schiavistiche nelle colonie, fino alla percezione delle difficoltà dell’integrazione degli schiavi liberati in società ancora pervase da pregiudizi razzistici, il naturalista inglese fu per tutta la vita ossessionato dal “fuoco sacro” abolizionista, come lo hanno definito gli storici darwiniani Adrian Desmond e James Moore. Influenzato dall’ambiente progressista delle due famiglie intrecciate dei Darwin e dei Wedgwood, egli vide nella discendenza comune un fondamento scientifico dell’abolizionismo, combattendo ogni teoria “poligenista” che prevedesse creazioni separate o genealogie parallele delle “razze” umane.
Uguaglianza legale e naturale
Se si dovesse scegliere fra i due il più appassionato nella battaglia abolizionista, a sorpresa lo scienziato rivaleggerebbe con il politico. Darwin, spinto dalla sua impazienza (e ancor più da quella delle agguerrite cugine Wedgwood, che finanziavano copiosamente le campagne per l’abolizione), mostra negli scritti privati la sua irritazione per la tortuosa strategia di Lincoln, che procedeva con esasperante prudenza nell’emancipazione degli schiavi di colore per non distruggere definitivamente l’Unione. Poco importava a Darwin che a Washington si riconoscesse, fra mille compromessi tra repubblicani e democratici, l’uguaglianza “legale” dei neri: l’uguaglianza doveva essere “naturale”. Quando era in gioco la questione della “peculiare istituzione” schiavista, con un’irruenza che non avrebbe mai manifestato su temi scientifici, Darwin non esitava a prendersela persino con i suoi maestri, come Charles Lyell, reo di eccessiva indulgenza in materia e di essersi fatto ospitare dai piantatori del Sud degli Stati Uniti in uno dei suoi viaggi oltreoceano.
Convinto che “l’espressione letteraria è essenziale per la civiltà liberale”, incrociando i due destini Gopnik si concentra in particolare sulle analogie nello stile di comunicazione dei suoi “eroi”: il linguaggio scritto per Darwin, quello parlato per Lincoln. A suo avviso essi fondarono la retorica liberale moderna, un misto di logica e di eloquenza, di ragionamento e di pragmatismo, di amore per i dettagli e di osservazione. Entrambi seppero sfruttare lo svecchiamento linguistico per preparare il terreno alle loro innovazioni, con ben orchestrate campagne culturali, nel caso di Darwin meditata per vent’anni e poi difesa da una nuova generazione di naturalisti come Joseph Hooker e Thomas H. Huxley. L’origine delle specie, né saggio specialistico né opera divulgativa, diventa così per Gopnik “un allucinogeno vittoriano”, il capolavoro tutto britannico di uno scrittore liberale che fa il paio con i discorsi magistrali, per asciuttezza e capacità di persuasione, di Lincoln.
Quest’ultimo, raccontato negli ultimi mesi di vita da Steven Spielberg con la solita maestria tecnica (qui forse un po’ didascalica) nel colossal Lincoln (2012) tratto da Team of Rivals di Doris K. Goodwin (2005), condusse con ogni mezzo la battaglia politica per l’approvazione del tredicesimo emendamento, sapendo di dover attingere a tutto l’armamentario della realpolitik, in una corsa contro il tempo per raggiungere un obiettivo superiore. Ciò che in ultima analisi accomuna questi due uomini eccezionali è la coerenza delle scelte ideali e il coraggio morale di portarle fino in fondo. Darwin, per quanto mite, non edulcorò mai gli effetti filosofici della sua scoperta. Lincoln fece di quell’emendamento il fulcro simbolico della narrazione antischiavista, anche al costo di prolungare l’inutile carneficina della guerra civile.
Il disegno accidentale di una nascita simultanea (mitigato tuttavia da una morte assai differente, cadendo Lincoln vittima di un attentato nell’aprile del 1865) innesca allora un quadro più ampio di rimandi fra questi due padri di famiglia, spesso depressi ma sempre concentrati sulle loro sacre cause, che ebbero in sorte di cambiare la storia. L’americano e l’inglese, nelle ombre delle loro storie in contrappunto, diventano per Gopnik l’emblema di quell’unione di ragionamento scientifico e di politica democratica “che rappresenta per noi la civiltà liberale”, ovvero: libertà individuali e regole costituzionali di vita comune. Darwin e Lincoln sono due nostri contemporanei, due prìncipi del liberalismo che fanno luce “sul tipo di mondo che abbiamo costruito e su come si possa renderlo migliore”.
dietelmo.pievani@unipd.it
T Pievani insegna filosofia della biologia all’Università degli studi di Padova