Gli elefanti sono stupidi?
recensione di Marco Ferraguti
dal numero di dicembre 2016
Frans de Waal
SIAMO COSÌ INTELLIGENTI DA CAPIRE L’INTELLIGENZA DEGLI ANIMALI?
ed orig. 2016, trad. dall’inglese di Libero Sosio
pp. 397, € 29
Raffaello Cortina, Milano 2016
Se fossi un ministro della pubblica istruzione renderei obbligatoria la lettura di uno dei libri di Frans de Waal in tutte le scuole, superiori, ma soprattutto in quelle a indirizzo umanistico. La ragione principale è che l’autore ragiona sul tema “il posto dell’uomo nella natura”, e solo il cielo sa quanto abbiamo bisogno di approfondirlo. Frans de Waal è un grande studioso del comportamento dei primati, oggi quasi settantenne. Sul mercato c’è vasta scelta della sua produzione: quasi tutti i suoi libri (una decina) sono disponibili in italiano, cosa abbastanza rara per uno scienziato. Cosa c’è dentro a questo libro? Una lunga cavalcata, scritta in stile divulgativo, all’interno dell’etologia, nel corso della quale de Waal cerca da un lato di farci capire che cosa è oggi lo studio del comportamento animale (soprattutto, ma non solo, di quello delle scimmie), ma anche quali sono stati gli errori nei quali sono spesso incorsi i ricercatori e quali sono i fraintendimenti che spesso accompagnano la comunicazione dei risultati delle ricerche in questo campo.
Il posto dell’uomo nella natura, dicevo: cosa ovvia per le persone che accettano il nostro legame con il mondo animale e la nostra comune origine, ma sappiamo che questo atteggiamento non è molto diffuso (l’altra settimana in una classe di una scuola media un bambino ha osato dire all’insegnante di lettere che “l’uomo è un animale”, e ciò ha generato una furiosa risposta “ma chi te l’ha detto?” da parte dell’insegnante). D’altra parte, niente meno che Francesco De Sanctis concludeva nel 1883 una sua conferenza sul darwinismo nell’arte con la fiera affermazione che “il nostro spirito sia disposto a guardare l’uomo meno nelle somiglianze già assorbite, e più nelle sue differenze, che gli danno il diritto di dire: ‘Sono un uomo e non un animale’”.
De Waal, invece, da buon naturalista, parte dalla “continuità” fra uomini e animali, e indaga i comportamenti e la mente degli animali con spirito simile a quello dei biologi di laboratorio, che si servono di modelli per i loro studi: così la genetica viene indagata usando i moscerini della frutta, lo sviluppo con piccoli vermi del suolo, le cellule con linee in coltura. “La scienza cerca di capire non il fegato del ratto o il fegato umano ma il fegato, punto. Tutti gli organi e i processi sono molto più vecchi della nostra specie, essendosi evoluti per milioni di anni con poche modifiche specifiche in ogni organismo. Anche l’evoluzione funziona in questo modo. Perché la cognizione dovrebbe essere granché diversa? Il nostro primo compito è trovare come opera la cognizione in generale…”.
Tuttavia, lo studio del comportamento animale da parte di noi uomini presenta molti problemi, il principale dei quali si potrebbe definire il “mettersi nei panni di”. Come dice Desmond Morris di Lorenz “Quando parlava dei pesci le sue mani diventavano pinne, quando parlava dei lupi i suoi occhi diventavano quelli di un predatore, e quando raccontava storie delle sue oche le sue braccia diventavano ali piantate nei suoi fianchi. Non era antropomorfo, ma l’opposto: teriomorfo. Diventava l’animale che stava descrivendo”. Un altro problema rilevante – che l’etologia condivide con lo studio dell’evoluzione – è decidere quando un’osservazione ripetuta diventa qualcosa di più, quando “un aneddoto diventa un dato”. Collegando queste due difficoltà, si capisce facilmente come delle osservazioni deviate dall’antropomorfismo e collegate in modo scorretto riescono a far dire al modello animale ciò che lo sperimentatore umano vuole (e spesso si tratta dell’affermazione della nostra unicità e superiorità).
Una delle idee più stimolanti che si trovano in questo libro è la caduta progressiva e inesorabile delle sbandierate differenze (e superiorità) che ciclicamente sono state attribuite all’uomo rispetto agli “animali” (come se si potesse racchiudere in un’unica categoria le circa due milioni di specie di animali non-umani, dai moscerini ai serpenti, dai gabbiani alle meduse), o a un animale rispetto a un altro. Molto istruttiva, ad esempio la storia degli elefanti, ritenuti non in grado di usare strumenti, perché era stata presentata loro una banana appoggiata a terra fuori della gabbia, ma raggiungibile con un bastone: poiché gli elefanti potevano prendere il bastone solo con la proboscide, che è anche il loro “naso”, una volta “tappato” dal bastone non sapevano che farsene. Dunque, gli elefanti sono stupidi? No: appesa la banana in alto e forniti gli elefanti di una cassa robusta, anche lontana dal punto d’uso, essi in un attimo imparavano a spostarla sotto al premio per raggiungerlo. Dunque: se vogliamo ottenere risposte interessanti, occorre fare le domande giuste. E di domande, esperimenti e risposte, questo libro è pieno: un regalo per chi vuole capire il mondo della mente animale (e forse anche un pochino della nostra).
marco.ferraguti@unimi.it
M Ferraguti ha insegnato evoluzione biologica all’Università degli studi di Milano