L’imperfezione della vita
consigliato da Martina Renata Prosperi
#LibriInTasca è lo Speciale sul sito dell’Indice che accompagnerà la vostra estate.
Sarà un compagno di viaggio loquace e mai banale, e si comporrà di tanti consigli di lettura suggeriti da voci diverse e penne più o meno note: libri pensati per viaggiatori in cerca di avventure e tomi poderosi per chi poltrisce sotto l’ombrellone.
Annie Ernaux
L’ALTRA FIGLIA
trad. di Lorenzo Flabbi, pp. 81, € 8,50
L’Orma, Roma 2016
Vive quasi senza trama questo romanzo, oppure, al contrario, è la trama più impavida: quella che intesse un ordito assente e rintraccia le voci nel tempo non per suoni, ma per risonanze. È il 27 agosto 1950 quando la piccola Annie, origliando una conversazione della madre, scopre di non essere figlia unica. C’è stata un’altra prima di lei, una bambina “più buona”, scrive Ernaux, ricordando a sessant’anni di distanza l’eco esatta di quelle parole: “morta come una piccola santa”.
Ma L’altra figlia non inizia dalle parole, inizia da “una foto color seppia, ovale, incollata…” su una descrizione obiettiva, su un supporto statico, bidimensionale, come statica e bidimensionale, negazione stessa delle parole – “anti-linguaggio” – è l’esistenza-assenza di una sorella sconosciuta. “Tu non sei mia sorella,” chiarisce Ernaux, “non lo sei mai stata”. Non vi è infatti alcun amorevole tentativo di recupero, di riesumazione, né da parte di Annie bambina – che, anzi, accondiscende volentieri al silenzio dei genitori –, né da parte di Annie adulta, di Annie madre, di Annie scrittrice: “Che ti stia scrivendo (…) per ucciderti un’altra volta?”.
Il centro del libro del resto non è quella vita mancata, “la grande assente”, “il segreto”. Una bambina morta non cresce, non sbaglia, non finge neppure, perché non ha bisogno di sentirsi legittimata a esistere. È Annie, invece, che crescerà come la sopravvissuta, la sostituta iconoclasta, la “saputella, insolente (…), pestifera”; Annie che fingerà tacendo – e poi scrivendo – per essere amata. La morte esclude chi resta dal Parnaso della perfezione, e chi scompare, invece, lo esclude dall’errore, lo ferma in una foto, in una posa, in “parole che non sono mai cambiate”.
Con un nitore linguistico, cui la traduzione non viene meno, e un’acutezza talvolta spiazzante, la sfida di Ernaux è quella – indispensabile – di farsi ponte-dialogo fra generazioni. Ponte, cioè, sulla distesa de Gli anni (Les anneés, il precedente libro di Ernaux, del 2008), sì, ma anche di quotidianità, di famiglie, di dettagli, che separano noi persone conviventi fra due secoli, ma anche noi stessi da noi stessi in momenti diversi… “Soltanto oggi mi pongo una domanda, − scrive Ernaux tornando ai propri genitori, al tabù sulla primogenita − Perché non dir loro che sapevo? Gli interrogativi ritardati, intimi o collettivi che siano, rivelano solo che era impossibile porsi prima quella stessa domanda. Negli anni Cinquanta (…) era proibito interpellare i genitori, o gli adulti in generale, su ciò che non volevano che sapessimo ma che in realtà sapevamo già.”
E io mi domando se quegli anni non dicano ancora qualcosa di questi; se quei bambini senza risposte siano ora adulti in cerca di nomi – parole che assegnino un posto, un bordo, un ruolo: che giustifichino. Mi domando se siamo proprio noi lettori, e non l’invisibile Ginette, i destinatari indiretti, illegittimi, eppure prediletti, di questa lettera parlante… Noi che l’abbiamo sentita e scelta da uno scaffale muto, catturati dalle sue risonanze.
MR Prosperi è scrittrice
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