César Brie – La volontà. Frammenti per Simone Weil

Realismo magico e ironia

di Doriana Legge

LA VOLONTA’. FRAMMENTI PER SIMON WEIL 
Testo e regia di César Brie

César Brie è attore e regista conosciuto, ha voluto che il teatro appartenesse al suo tempo, cioè al nostro, ma collocandolo in un luogo lontano e in una dimensione poetica.

Nello spettacolo La volontà.  Frammenti per Simone Weil di e con César Brie e Catia Caramia la biografia della filosofa, mistica, intellettuale, operaia, sindacalista, insegnante ci racconta le forme d’oppressione, le menzogne, le guerre. Simone Weil è morta nel 1943, lasciandosi scorrere via, dimenticando se stessa, mai gli altri. La sua storia parla dell’attrazione suscitata dall’ignoto che accerchia l’uomo, delle chimeriche visioni che restituiscono il senso più profondo che sboccia dalle piaghe della vita. Nel 1936 partecipò con i repubblicani alla guerra civile spagnola, dopo l’invasione tedesca a Parigi abbandonò la città e si trasferì a Marsiglia, più tardi sbarcò per gli Stati Uniti. Tornò poi in Inghilterra nel pieno di crisi mistiche e riflessioni sul pensiero cristiano. Morì nel sanatorio di Ashford, nel Kent, a seguito delle privazioni che aveva voluto imporsi.

È difficile rievocare la biografia di un personaggio quando i materiali non hanno ancora la robustezza di archivio, quando le sfumature psicologiche del protagonista rendono intricato il montaggio. Molte volte per assenza di distanza i ritratti a teatro si risolvono in acquerelli sbiaditi, gangli di debolezze e manipolazioni. Qui invece la storia di Simone Weil è sezionata, indagata, analizzata e ricucita come un tessuto di cui bisogna conoscere ogni strato. Il racconto di César Brie è sospeso tra la riflessione storica e la curiosità del presente, e anche in questo caso – come in molti dei suoi spettacoli – si dimostra un poeta delle evoluzioni che accerchiano la nostra contemporaneità.

Abituati a un teatro che cerca la meraviglia, ritroviamo qui il livello di immediatezza di un regista intuitivo della comunicazione fino all’ipersensibilità. Lo spettacolo infatti ci parla costantemente della realtà seppur in una dimensione poetica ed evocativa, ci racconta di una donna che vive moltiplicata per tutte le altre donne e uomini, ansiosa del loro destino più che del proprio. L’efficacia del regista è sempre quella di fissare alcune immagini, e di questo spettacolo ricordiamo l’acqua, tanta acqua, che a volte lava, ma spesso è un’arma; le parole che sono un filo rosso di cotone che da gomitolo in bocca si scioglie tra le mani di Simone Weil; una carrucola industriale al centro per il volo o la caduta dei personaggi; i letti che diventano pareti, muri o buchi neri dove affondare.

Brie crea per sé un ruolo molteplice, è prima il padre poeta Joe Bousquet, poi il domenicano Joseph-Marie Perrin infine un personaggio di fantasia, l’infermiere Dario Manfredi, che assiste Simone Weil nelle sue ore finali. La realtà tangibile dei gesti rigorosi e metodici del lavoro in fabbrica di Catia Caramia, slitta verso l’allucinazione e le forme oniriche della percezione. In questo labirinto si intrecciano altre storie di vittime e carnefici, quella del regista Mejerchol’d ad esempio, il cui martirio è la spia di un potere piccolo e fasullo che genera morti. Eppure dallo spettacolo filtrano luci di evanescenze sovversive, la possibilità d’azione, il cambiamento, la gioia, il riso, la sottile speranza per chi rimane.

César Brie trasforma lo spettacolo in un cantiere, si concede margini di sperimentazioni, a volte di errore, lavora sulle porzioni di mondo ma le organizza attraverso la poesia. Il reale è sempre presente, ma spesso evoca altro e rappresenta la rivelazione di qualcosa che può esplodere in ciascuno di noi. Nel porre l’accento sulla fragilità e sulla finitezza dell’individuo, César Brie ha mostrato ancora una volta il valore poetico dell’immaginazione a teatro.

D. Legge è docente di discipline dello spettacolo all’Università dell’Aquila