L’ultima ribellione possibile
recensione di Silvia Annavini
Dubravka Ugrešić
EUROPA IN SEPPIA
trad. di Olja Perišić Aršić e Silvia Minetti
pp. 352, € 18,50
Nottetempo, Roma 2016
Qualche anno fa per i tipi di Einaudi è uscito uno dei testi più interessanti degli ultimi anni, I posseduti di Elif Batuman, che con maestria riusciva a riassumere in una forma ibrida fra il racconto e il genere diaristico, nutrito da numerose inserzioni tratte dalla teoria della letteratura e dagli studi culturali, come la letteratura possa costituire una lente d’interpretazione sul mondo periferica e capace, e allo stesso tempo come riesca a mettere a fuoco la realtà quotidiana da angolazioni inaspettate. Contemporaneamente il testo in questione cala la letteratura – e nello specifico la carismatica letteratura russa – nella vita quotidiana di una studiosa-autrice, rendendo partecipe il lettore di quella particolarissima forma di empatia e di dialogo con gli scrittori prerogativa di chi sceglie le scienze umane come mestiere ma anche e soprattutto come atteggiamento umano.
Europa in seppia, di Dubravka Ugrešić, è probabilmente un libro più maturo rispetto a I posseduti e maggiormente dilatato su un’analisi della realtà geo-culturale ad ampio spettro. La posizione scelta dall’autrice, volontariamente decentrata e caparbiamente irrequieta, consente di percepire la rotondità di un’analisi urgente nella sua attualità e lucidità. Seppur mescolati cronologicamente, i vari capitoli appaiono sorretti da un’architettura dinamica sottesa a un’estrema voracità di senso in cui riflessione personale e analisi sociologica dialogano continuamente.
Una letteratura intima, personale e resistente
La letteratura acquista senso nella sua declinazione quotidiana, intima e personale, o nella resistenza al brusio della celebrazione del prodotto di massa e alla sua fruizione pressoché sacrale nella forma libro in quanto feticcio: «Il mondo letterario non è più uno spazio di contemplazione, sovversione o escapismo capace di arricchire spiritualmente, non è più lo spazio delle scoperte, ma è diventato quello dello spettacolo». In questo senso, l’analisi della Ugrešić non presenta sfumature. Anzi, il contraltare della cultura del vecchio blocco sovietico costituisce un vero e proprio dilemma ermeneutico sul fronte storico seppur velato di una leggera ironia. Non a caso, proprio il primo capitolo è dedicato a un excursus sulla «jugonostalgia» che sembra offrire una sorta di giustificazione all’intero testo e al titolo stesso: l’autrice sfoglia le pagine della storia e della letteratura europee e sceglie di apporvi una filigrana in seppia che, in realtà, appare come una finestra comparativa. Questo tipo di filtro, dichiaratamente duplice nella sua artificiosità è in grado di innescare un’altrettanto duplice nostalgia che non è altro, in fondo, che una forma di accettazione dello status quo che ci rende prede della macchina postmoderna.
La soluzione sembra essere celata nell’esercizio privato e letterario della transnazionalità o meglio della dispatriation – per usare il termine che la Ugrešić mutua da Arianna Dagnino. Un esercizio incessante, in grado di contrastare l’incedere della cultura corporativa capace di trasformare anche il transnazionale letterario in valore di mercato. La riflessione di Dubravka Ugrešić appare in un momento fondamentale dell’autognosis europea in cui quelle che sono state definite le «semi periferie» sembrano assolvere un ruolo chiave nell’osservazione complessiva di un percorso ancora in atto. Europa in seppia, però, parla da una semiperiferia che è identificabile con la letteratura stessa, un’isola di reietti, una nazione dimenticata ma in cui, allo stesso tempo, sopravvive l’ultimo avamposto di una possibile ribellione come quella auspicata nel primo capitolo che prende vita, non a caso. a Zuccotti Park, luogo simbolo delle ultime rivoluzioni tardo capitaliste.
silviaannavini@gmail.com
S Annavini è comparatista e si occupa principalmente di letteratura portoghese e angolofona