Martina Renata Prosperi è stata segnalata nella XXIX edizione del Premio Italo Calvino
dal numero di giugno 2016
La vasca di Branchia era la nona, l’ultima, guardava verso una parete di vetro, e aldilà del vetro, il parco della piscina: il dorso ora erboso ora sbucciato, il linoleum scorticato sotto le altalene, un girello che girava anche da solo, una stradicciola di asfalto rosso, panchine, un cestino per l’immondizia, pane gettato a terra per gli uccelli. Un cane che insisteva nel seguire una traccia. Un padrone. E Giorgio, con le mani in tasca, che era appena uscito a fumare e che guardava lontano. Marie volle raggiungerlo, ne sentiva il bisogno.
Quando passò, Branchia stava nuotando vicino al bordo. La scorse con la coda di un occhio, la riconobbe, ma non si accorse appieno di ciò che accadde. Marie scivolò, forse per la tensione, forse per il vino, forse per la fretta. Branchia sentì il suo peso morto crollare sul ciglio gommato della piscina, e la sua testa sbattere contro lo spigolo. L’acqua vibrò, e il corpo di Marie cadde nella vasca, e Branchia lo vide, e il corpo iniziò ad affondare.
Marie aveva i piedi nudi. Una ciabatta infradito galleggiava, l’altra era rimasta fuori. I jeans erano blu scuro. La camicia bianca si era gonfiata, una nuvola di lino, sberluccichii di bottoni madreperla. La sua pelle era trasparente, si vedevano le vene vicino alle orecchie, e filamenti d’anima sotto le palpebre. E una catenina d’oro, tra le efelidi del collo. E un reggiseno rosa chiaro, o forse azzurro, con margini ricamati che non stringevano più. Perché l’acqua libera, pensò Branchia, l’acqua scioglie. E nell’acqua Marie sembrava un’altra creatura, svincolata dalla vita, da tutto quel peso, che Branchia aveva sentito crollare.
Branchia nuotò piano. Come un delfino, le passò a fianco. La osservò lateralmente, con un solo occhio. Pensò a cosa sarebbe successo, se la sua vita si fosse slegata, se come il cloro si fosse dissolta. Pensò al girello che girava da solo, e al vuoto nel cielo, prima dell’alba.
Pensò a Giulia, alle sue bugie crudeli. Ai baci che a volte gli dava, come per gioco, e che poi rinnegava fermamente. Pensò a Gabriel, alle idee che avevano inventato, ai film che avevano guardato insieme, prima che qualcosa o qualcuno cambiasse la sua anima.
Il corpo di Marie affondava. Creava un vuoto, trascinava nel vuoto.
E come per le pietre, come per le grotte, come per le conchiglie disabitate, c’era una linea sottile tra la bellezza di Marie e la sua presenza. Quel corpo c’era, quel corpo affondava, quel corpo si slacciava dalla vita, perché era meraviglioso.
C’era una linea sottile tra il volerlo toccare e il volerlo salvare.
Sarebbe meraviglioso, pensò Branchia, spogliarla con le carezze, guardarla dormire sott’acqua, riempirmi gli occhi della sua pelle morbida, dei suoi capelli lunghi, che spostandosi disegnano segni, e poi abbracciarla, e averla con me, solo per me. E poi – e poi lasciare che qualcuno la porti via, per sempre. E lasciare che diventi un vuoto. Lasciare che anche Giulia e Gabriel provino un risucchio. Che anche loro piangano. Lasciare. Lasciarli. Lasciarla andare.
Il corpo di Marie percosse dolcemente le mattonelle azzurre.
A Branchia sarebbe bastato lasciarla, su quel fondo. Lasciarla andare, ad abitare il suo mondo, fatto d’immaginazione, di persone che possedevano sia le branchie sia i polmoni, di incantesimi fatali, snocciolati al crepuscolo o all’aurora, quando la luce sulla vetrata trasmetteva spettacoli da altrove.
Branchia nuotò accanto a Marie, nuotò sopra i suoi jeans. Li sentì, ruvidi, contro il suo sesso duro. Nuotò nella nuvola di lino, vicino ai capelli castani, che si alzavano a ciocche, e si aprivano a ventagli, in filamenti di marrone. Le mani. Le mani di Marie erano già lontane.
La loro posa non assomigliava a nessun gesto. Branchia pensò che quelle dita non avrebbero più potuto accarezzare, né disegnare, né seguire le parole sul libro delle fiabe, né portare il vassoio con la merenda, e un sorriso sopra, e una promessa: quella unica e imperdibile, di una madre.
Mentre tornava a sorvolare quel corpo, passando radente, per sentirlo, col suo mento e col suo petto, con le sue cosce muscolose, e col suo sesso, Branchia sentì il suo stomaco contorcersi. Improvvisamente, senza che potesse prevenirlo, emise un getto di rigurgito, che restò per un attimo, giallo e grumoso, sospeso tra gli sbuffi di lino. Branchia lo guardò espandersi e sfaldarsi e diradarsi, lasciando un alone giallastro tra le pieghe gonfie della camicia. Poi guizzò via, lontano da Marie, pensando che Giorgio era fuori a fumare, che era proprio lì, vicino alla vetrata, che se solo avesse voluto chiamarlo… Che in fondo Giulia e Gabriel… Che anche per lui sarebbe stato terribile… Che in quel momento non si rendeva conto.