Valorizzazione di testi e asimmetria di rapporti
di Vincenzo Ostuni
Mi pare ormai vero questo: che chi taglia un libro (meglio: convince un autore a tagliarlo), chi modifica una trama o un indice (convince ecc.), chi smussa, normalizza, attenua individualità stilistiche, ideative, teoriche (meglio: induce l’autore a ecc.) compia due operazioni per nulla neutre, dal punto di vista etico e politico: un’operazione di potere e un’operazione economicamente misurabile.
Sì a forbici e penne, ma con permesso
Il potere relativo di un editor e di un autore è in molti casi asimmetrico; lo è quasi sempre, anzi, si può esserne certi; appena meno certa è la direzione dell’asimmetria. Se per un giovane autore, o un autore di non grande successo, la relazione nei confronti dell’editor – in specie se, come accade nel mio caso, chi ha proposto la pubblicazione all’editore e chi lavora sulla rifinitura coincidono in una stessa persona – è di sottile ma efficiente sudditanza, può accadere, certo, che il contrario valga nel caso di autori bestseller, o di comprovato prestigio; i quali ultimi tuttavia, se come capita non vendono a sufficienza o non sono provvisti di sufficiente baldanza, finiscono spesso per ricadere nell’altra specie. Se ne ricava dunque che il rapporto fra editor e scrittore non è, nella stragran parte delle situazioni, paritario; bensì appunto asimmetrico. E proprio il fatto che le forbici e la penna dell’editor non cadano mai sul foglio direttamente – contrariamente a quel che si pensa – ma che l’editor faccia l’autore persuaso di impugnarsele da sé, a dare o sancire il taglio o il ritocco, è la misura più chiara dell’asimmetria.
Che effetto ha quest’esercizio di potere? In una certa parte dei casi, benigno o neutro; si chiama, con termine però orribile, la “valorizzazione” del testo, che non ne compromette le doti, ne elimina qualche difetto e (meno spesso) ne acuisce le virtù. In parecchi altri, negativo o nefasto: perché vale a compiere un adeguamento, uno schiacciamento persino del testo alle attese del lettore medio; lettore medio col quale – quasi pigiando un pulsante recondito – l’editor s’identifica, in un salto d’orbitale fra il proprio consueto di lettore colto o, più spesso, semicolto, a quello in cui si presume aggirarsi – in verità rendendola anche noi tale – il bue rotante per il cui piacere di lettura il nostro brandisce così paternamente i ferri del mestiere. Fino a che il salto, con il procedere della carriera e delle lombaggini da sedentari, non diventi faticoso: e dunque non si faccia meglio a starsene col bue avverato tale, e che pure oramai assimilatigli continuiamo sottilmente a disprezzare e a foraggiare. Di qui, è ovvio, il secondo aspetto econometrico del mestiere. Le due cose vanno assieme, e con esse ogni genere di responsabilità e colpe; stiamo dunque attenti al castigo, che in casi come questo è semplicemente: l’estinzione del mestiere, o per lo meno della sua dignità. Infatti, ad adeguarsi preventivamente, senza più bisogno di editor, stanno imparando – anzi, si può dire già abbiano imparato – gli aspiranti autori.
V. Ostuni è editor di Ponte alle Grazie