Pensiero vivente
recensione di Mauro Maldonato
dal numero di aprile 2016
Aurelio Musi
FREUD E LA STORIA
pp. 110, € 11,90
Rubbettino, Roma 2015
Un destino paradossale ed enigmatico ha avvolto la storia. Utopie capovolte, strappi e cuciture impossibili, fanno da cornice a un’esperienza sospesa, priva di direzione, definitivamente congedata dal passato. Il progresso, ormai ostaggio della tecnica, ha fissato il filo del tempo attorno ad un presente illeggibile. Lo sfinimento febbrile delle “leggi della storia” ha lasciato campo libero a un meccanismo che si riproduce all’infinito, indifferente al destino degli uomini che utilizza nei propri ingranaggi. Come decifrare il senso di una storia che ci sovrasta e in cui siamo tuttavia inseriti? Come venire a capo dell’intreccio di miriadi di vite individuali, dell’immensa varietà di imprese, miti, sentimenti, teorie e valori costruiti dall’umanità nel suo cammino?
Con Freud e la storia Aurelio Musi prova a gettar luce nel cuore di tenebra della storia. Si tratta di un libro esigente, colto, che assume fino in fondo le difficoltà di una visione unitaria della storia e, insieme, il drammatico impoverimento dell’analisi dei fatti, ormai abbandonati al loro puntiforme accadere, non più rappresentabili in una forma compiuta. Musi prende atto che le chiavi della storia sono definitivamente perdute. Il senso storico, sembra dirci, non è un luogo esterno agli uomini e il divenire non è l’espressione di una sequenza meccanica da cui potersi separare per guadagnare un punto di vista superiore. Il senso storico dell’uomo nasce dalla decisione umana. La storia è conoscenza dell’uomo da parte dell’uomo, percezione del passato attraverso un pensiero vivente e impegnato. Tale è la condizione umana, tale la sua natura, tale il problema della storia. E noi ne siamo investiti in pieno. Davanti al caotico flusso degli eventi vi è la finitezza del singolo, che è poi la sproporzione tra l’indigenza del nostro conoscere e l’inafferrabilità dell’accadere, tra la necessità e l’infedeltà della memoria.
D’altra parte, che la storia sia afflitta da “illusioni ottiche” è noto da tempo. A cominciare da come, in certe epoche e presso certi popoli, la felicità è stata ritenuta una fortuna o una sfortuna in rapporto al fiorire o al declinare di una determinata condizione storica. Non è stato forse così per la grecità classica, per il Rinascimento e così via fino ai nostri giorni? Allora, più che pretendere di tramandare oggettivazioni, la storia dovrebbe raccontare l’azione umana: le opere e le gesta, lo spazio pubblico e la sfera privata. Per quanto difficile, andrebbe raccontato l’uomo a partire dalle “correnti calde” dell’inconscio, dei desideri, delle motivazioni, per temperare le “correnti fredde” della razionalità o, peggio, di una pretesa oggettività che rende irrilevante l’azione dei singoli uomini.
L’uomo non conosce assolutezze. La brevità della vita non ci lascia il tempo di liberarci da ciò che, per caso, siamo. Siamo obbligati ad essere quel caso del destino che per noi è il nostro passato. E, per quanti sforzi facciamo, per quanti progetti concepiamo, per quanti doveri assolviamo, l’ultima parola spetta a una indeterminatezza che dipende dal passato, dal presente e dal futuro. Come ebbe a dire Marx, “gli uomini fanno la storia, ma non sanno la storia che fanno”. Eppure, questa non è una sconfitta della riflessione: è, anzi, la sua forza. Perché apre alla possibilità, alla responsabilità. È così che l’uomo partecipa della storia. Il senso è il segno delle esperienze storiche concrete, in cui egli ha a che fare con qualcosa che non dipende interamente da lui. L’esperienza del male, l’irrazionalità, l’aggressività, la guerra, la morte, sono la prova più evidente che un senso nelle cose esiste e che ha un peso massiccio nella storia. Il baratto tra la felicità e la propria (presunta) sicurezza non riguarda, del resto, solo i singoli uomini, ma investe in pieno l’intera Kultur. Tutte le ipotesi di riforma e di trasformazione devono farci i conti.
Musi richiama opportunamente Freud che riflette sulle potenze numinose, spaesanti, primordiali, che abitano l’uomo. Per comprenderne la natura, bisogna capire in che modo il razionale possa nascere dall’irrazionale, in che modo la stessa conoscenza sia espressione di potenze sconosciute, che possiamo solo intuire, mediante analogie e simboli che si esprimono nei sogni, nella fantasia, nell’immaginazione. Come quando ci appaiono immagini di cui possiamo riconoscere l’azione sulla coscienza: diventandone consapevoli, possiamo togliere loro un potere totale sulla coscienza.
La domanda cui siamo tutti chiamati a rispondere è dunque: esiste uno spazio oltre il determinismo nichilistico, l’assenza di senso e l’esistenza di un senso oggettivo, cui tutto è subordinato e che nulla concede alla libertà umana? Sì, esiste! È stare nella storia senza essere della storia, fuori dall’idolatria della storia. Ma è un impegno senza consolazioni, un cammino sul difficile bilico tra la libertà e la schiavitù, il bene e il male, l’indifferenza e la decisione, la disperazione e la speranza.
m.maldonato@gmail.com
M Maldonato insegna psicopatologia generale all’Università della Basilicata