Assassinare l’invitato
recensione di Claudia de Lillo
dal numero di aprile 2016
Amélie Nothomb
IL DELITTO DEL CONTE NEVILLE
ed. orig. 2015, trad. dal francese di Monica Capuani
pp. 93, € 14
Voland, Roma 2016
Un conte che dà l’ultima festa nel giardino del suo castello prima di venderlo, perché i castelli sono lussi sfrenati che l’aristocrazia non può più permettersi. Una figlia adolescente e irrequieta, dall’infausto nome Sérieuse, incapace di provare alcunché, anestetizzata dalla sua età confusa e tetra. La predizione di una veggente all’uomo: “Durante il ricevimento lei ucciderà un invitato”. “Mi scusi?”. “Stia tranquillo. Andrà tutto a meraviglia”.
Un po’ tragedia, un po’ giallo, un po’ farsa, Il delitto del conte Neville, ventiquattresimo romanzo di Amélie Nothomb, descrive, con spietata ironia, il piccolo mondo della nobiltà belga, aggrappata a tradizioni senza tempo, isolata e avulsa da un paese altrimenti all’avanguardia.
Il racconto è un omaggio a Oscar Wilde e al suo Il delitto di Lord Arthur Savile ma è, soprattutto, un ritratto, a dire dell’autrice, “fedelissimo”, della famiglia Nothomb che tuttavia, nel leggerlo, racconta Amélie, invece di incupirsi in una rovinosa autocoscienza, “ha riso di gusto, domandandosi chi fossero quei bizzarri signori della storia”. La premonizione, di cui il conte non dubita neppure per un istante perché il destino è una strada segnata e ineluttabile, è spaventosa e funesta. No, non perché l’omicidio sia, in sé, una macchia scellerata (“Può accadere a chiunque, per caso o per mille altre ragioni plausibili”, riflette lui tra sé). L’inaccettabile aberrazione sta nell’uccidere un ospite, categoria eletta in seno alla specie umana: “L’assassinio premeditato di un invitato è la dimostrazione, incredibilmente volgare, che non si conosce l’arte di ricevere”, spiega Evrard, amico del protagonista e massimo esperto di storia dell’aristocrazia belga. “I miei genitori, quando ero piccola, accoglievano, a casa, fino a mille ospiti al mese. Mio padre, a loro e non a noi, offriva il meglio di sé. Deve essere allora che ho cominciato a coltivare il sogno dell’assassinio dell’invitato. Ed è per resistere a questa insopprimibile tentazione che oggi, a casa mia, non ricevo mai nessuno”, è la lettura autobiografica dell’autrice.
L’omicidio di un ospite non si addice al bel mondo
Come Lord Savile, il conte Neville si interroga a lungo sul nome della possibile vittima, allo scopo di minimizzare il danno, ma soprattutto l’infamia, di un atto tanto inopportuno e scortese. Fino a quando Sérieuse, con la folle ma ferrea logica degli adolescenti (“Io mi domando e vi domando – dice la Nothomb al suo pubblico – come siamo riusciti a sopravvivere alla nostra adolescenza?”), gli propone una via di uscita.
Nel Delitto del conte Neville ci sono la consueta grazia affilata e arguta di Amélie Nothomb, l’uso preciso, chirurgico, delle parole, il geniale neologismo ressentis (tradotto in italiano con l’altrettanto felice e inesistente sentiti), ridicola e pretenziosa nobilitazione di un imperscrutabile sentire, la consapevolezza ironica del mondo intorno, un sottile gioco di porte scorrevoli.
Da quando pubblicò il suo primo romanzo, la prolifica e puntuale autrice (lavora tutti i giorni, dalle 4 alle 8 del mattino e pubblica un libro l’anno, pur scrivendone ben di più) non rinnega nulla della sua produzione passata, considera ogni creazione un parto e ogni storia un figlio. Eppure, dice, “sto andando verso una sempre maggiore brevità e concisione. Probabilmente il mio duecentocinquantesimo romanzo, visto che ho intenzione di continuare a scrivere ancora a lungo, sarà un haiku”.
elasti@nonsolomamma.com
Elasti, alias C de Lillo, è giornalista e conduttrice radiofonica
Dall’estratto di un’intervista ad Amélie Nothomb di Claudia de Lillo:
Porta un buffo cappello nero, un elegante soprabito in tinta e dei guanti a righe che lasciano scoperte le dita. Ha la grazia di un elfo e la natura eterea di chi si nutre di solo champagne. L’hanno definita «la più giapponese degli scrittori belgi». Dallo scorso dicembre Amélie Nothomb è entrata a far parte dell’Accademia reale di Lingua e Letteratura francese del Belgio.
«Quali libri consiglierebbe ai suoi lettori italiani? Possibilmente includendone uno belga che non sia di Simenon, che già conosciamo».
Sorride, sorniona e pensierosa. Poi, senza alcuna esitazione, regala la sua lista: «Tra i belgi, scelgo La morte di Napoleone di Simon Leys. Uscendo dai confini del mio paese, suggerisco Il delitto di Lord Arthur Savile, di Oscar Wilde, che ha ispirato Il delitto del Conte Neville, Il Padiglione d’Oro di Yukio Mishima e, infine, La principessa di Clèves di Madame de Lafayette».