Utopie e libertà
Forse la perla più preziosa di questo numero di marzo va raccolta nell'”ostrica” della rubrica “Il libro del mese”: al centro dell’attenzione della rivista è Čevengur, il capolavoro di Andrej Platonov che racconta la rivoluzione russa “attraverso le voci o piuttosto il balbettio dei suoi più umili protagonisti”. Testimonianza della nostalgia di Platonov per l’utopia perduta, come spiega con efficacia Maria Ferretti, Čevengur risultava inaccettabile per il potere sovietico come, negli anni settanta, per l’intelligencija sovietica che la riscopriva e non riusciva a concepire che Platonov avesse potuto aderire con tanta passione all’idea della rivoluzione. La pubblicazione del romanzo in versione integrale, per la nuova traduzione di Ornella Discacciati ci restituisce un testo in cui il linguaggio è continua invenzione, storpiatura e dubbio: di farneticazione in farneticazione sul comunismo e sui destini dell’umanità, i personaggi del romanzo scivolano nell’imbuto della catastrofe finale, come racconta Andrea Gullotta, in una “provincia devastata dalla miseria e dalla guerra civile, abitata da personaggi ridotti ai minimi termini e che nei bolscevichi vedono solo l’ennesima invasione”. Solo ora, a distanza di anni, balza in primo piano il radicalismo rivoluzionario di questo grande scrittore, che avrebbe voluto annientare l’ingiustizia sociale di un comunismo costruito sulle ossa della borghesia. Un’indicazione di lettura da raccogliere senza esitazioni.
Tornando indietro alle pagine dei “Segnali”, ci sono poi interventi molto interessanti sul binomio fra stile e carattere nei reportages di Joan Didion (diva del casual cool e icona transgenerazionale fra anni sessanta e settanta), sulla scomparsa dei diritti collettivi e la perdita del cemento sociale e dell’autocoscienza collettiva, secondo le letture di Ulrich Beck e Giuseppe Galasso, messe a confronto da Federico Paolini. A pagina 14 una complicata storia di documenti (lettere, note, cancellature) che riguardano i tentativi sovietici di liberare Antonio Gramsci (e il segnale rimanda alla recensione al libro di Giorgio Fabre, Lo scambio. Come Gramsci non fu liberato, a pagina 36 del giornale, da cui ha avuto origine la querelle).
Il lettore dell'”Indice” viene poi guidato alla scoperta dei due orientamenti storiografici individuati da Patrizia Delpiano, la world history e la global history, le cui opere partono da un’idea di un mondo globalizzato in cui sia possibile ricostruire sincronicamente le vicende degli uomini, tenendo conto delle differenze fra etnie, culture e religioni. Ma proprio l’ideologia applicata allo studio dei popoli e allo stile, le immagini e le espressioni artistiche fa emergere, sostiene Maddalena Carli, l’ambigua idea di una persistenza delle razze: “Le impalcature ideologiche, i linguaggi, le pratiche che scandiscono le costruzioni identitarie sono da tempo una priorità delle scienze sociali francesi. Non è quindi un caso se negli ultimi anni numerose discipline sono tornate a confrontarsi con i processi di formazione delle categorie razziali”. Un ottimo antidoto ai rischi dell’uso delle categorie razziali nel senso della discriminazione e dell’individuazione di un primato può però essere costituito dalla forza del pensiero “eretico” di Michel Foucault, illuminato da tre studi recenti, illustrati da Giuseppe Panella, che ne mettono in rilievo la sconvolgente attualità, anche attraverso la ripresa di una intervista rilasciata da Michael Bess nel 1980. Sosteneva il filosofo: “Non appena ci sono persone che si trovano in una posizione (all’interno del sistema delle relazioni di potere) tale da poter influenzare altre persone, e determinare la vita, il comportamento di altre persone, ebbene, la vita di quelle altre persone non sarà molto libera”.
A proposito della rivendicazione della libertà, l’Irlanda celebra quest’anno il centenario dell’evento della rivolta di Pasqua dell’aprile 1916, soffocata nel sangue dall’esercito britannico, che si concluse con l’esecuzione dei sedici firmatari della proclamazione della Repubblica e migliaia di arresti. In realtà l’Easter Rising avviò il travagliato processo che portò prima alla nascita dello stato libero d’Irlanda e poi nel 1937 alla costituzione della Repubblica d’Irlanda. Anche di questo evento si parla sul numero di marzo, attraverso l’estratto di un intervento di Derek Hand a un recente convegno, mentre nelle pagine dedicate alle “letterature” Elisabetta d’Erme rievoca proprio il paesaggio irlandese, parlando del romanzo d’esordio di Donald Ryan, Il cuore girevole. Ma non mancano interventi sulla letteratura di tutto il mondo (Ngugi wa Thong’o, Naipaul e Jean Cayrol), recensioni a libri di critica cinematografica e la lettura del film Il figlio di Saul, fresco di vittoria agli Oscar come miglior film straniero. Per chiudere, un ricco inserto sulla scuola in cui, accanto alle recensioni di libri sulla scuola, troviamo anche una nuova rubrica, “Letture di classe”, in cui si tenta di “mettere in comune le esperienze vere, praticate nelle aule, per andare progressivamente a formare una biblioteca scolastica condivisa”.
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