Due mostre di reale valore conoscitivo
di Alessandro Morandotti
Si è conclusa domenica 21 febbraio la bella mostra dedicata a Francesco Hayez nelle sale delle Gallerie d’Italia, l’antica sede della Banca Commerciale Italiana che si affaccia su Piazza Scala a Milano. Una mostra che ha avuto un significativo seguito di pubblico e che si avvaleva di un percorso molto chiaro, scandito cronologicamente e ben risolto nell’articolata restituzione del talento di questo felice interprete della pittura storica nell’Italia risorgimentale. Grande soprattutto come ritrattista e come pittore virtuoso a suo agio nell’esecuzione di singole figure come di scene corali, Hayez è stato l’erede dei grandi maestri del Rinascimento, grazie alla sua capacità di lavorare con estrema disinvoltura su tela, tavola e ad affresco, e al contempo l’ultimo emblematico rappresentante della scuola veneziana, in grado di dialogare con il colore di Tiziano e la bellezza carnale (e ideale) di Canova.
Nella rassegna di Milano, un brillante esito della lunga stagione di studi che Fernando Mazzocca ha dedicato al pittore negli ultimi quarant’anni, c’erano tutte le opere che ci dovevano essere per restituire la vicenda artistica del pittore in ogni momento della sua lunga attività, come deve sempre avvenire in una rassegna monografica e come in realtà raramente avviene. Nelle mostre dedicate a singole personalità artistiche, specie in Italia, si assiste infatti molto spesso a percorsi sincopati, frammentari, per le difficoltà dei prestiti a causa dell’affollamento di iniziative spesso sugli stessi temi e per le strategie commerciali dei sempre più numerosi organizzatori privati che governano il business delle mostre, attenti ad ogni possibile risparmio anche contro la logica della buona riuscita dell’impresa da loro promossa.
Hayez a Brera. Il laboratorio del pittore
Nello stesso periodo, a pochi metri da Piazza Scala, si poteva vedere un’esposizione dossier dedicata ad Hayez, e in un luogo emblematico per la storia del pittore e della città di Milano, vale a dire le sale dell’Accademia di Brera, dove Hayez ha partecipato alle esposizioni annuali e insegnato dal 1822 al 1862. La bellezza dell’impianto di questa seconda mostra, organizzata con ammirevole regia da Francesca Valli, è passata pressoché inosservata e non ne ha garantito fortuna neppure nella memoria di un resoconto scritto, visto che l’iniziativa non era accompagnata da un catalogo che pure sarebbe molto servito per documentarne la qualità e l’intelligenza.
L’idea che governava l’impianto della mostra era molto semplice; ricostruire il metodo di lavoro e di insegnamento di Hayez grazie allo studio comparato di dipinti, disegni, stampe e libri donati dai suoi eredi alle raccolte dell’Accademia. Si trattava in molti casi di opere dell’artista o dei suoi allievi, ma anche di materiali di officina eseguiti da altri artisti o di libri di documentazione, strumenti fondamentali per un pittore di storia.
Tra le vetrine e le opere a parete, in un percorso scandito fittamente, ma sempre puntuale nell’individuare le relazioni tra gli esemplari esposti, si ripercorreva il laboratorio di un artista accademico dell’Ottocento, straordinario possessore di un repertorio di modelli studiati e rimontati con il proprio talento di instancabile disegnatore. Panneggi, figure, ritratti, animali e composizioni più dettagliate prendevano forma sui fogli di taccuino e sulle carte di grande formato nelle aule braidensi, dove Hayez insegnava e aveva il proprio studio, utilizzato dall’artista fino alla morte nel 1882 e trasformato in museo fino all’ultima guerra. Una ricostruzione che nasce dal lungo lavoro di riordino e di restauro dell’intero corpus grafico dell’artista conservato nelle collezioni dell’Accademia. Eppure, questa traccia fondamentale per gli studi sull’Ottocento delle Accademie oltre che sulla vicenda specifica di Hayez rimarrà solo nella memoria di chi ha avuto la fortuna di visitare la mostra, ma ci si augura, come è capitato a me di augurarmi, che venga stampato un catalogo commemorativo dell’esposizione che suggelli la lunga attività di Francesca Valli, anima di questa mostra, come conservatrice delle raccolte dell’Accademia. Monta una grande rabbia a pensare per contrasto a quante iniziative espositive inutili godano di finanziamenti, di cataloghi sontuosi e di pagine promozionali a pagamento sui giornali trasfigurate in ‘finte recensioni’, da qualche tempo pressoché l’unica forma di intervento ‘critico’ sulle mostre d’arte sui grandi quotidiani nazionali.
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A Morandotti insegna Storia dell’arte all’Università di Torino