Racconti alla Magritte
recensione di Gabriella Bosco
dal numero di febbraio 2016
Bernard Quiriny
STORIE ASSASSINE
ed. orig. 2013, trad. dal francese di Marco Lapenna
pp. 208, € 15
L’Orma, Roma 2015
Giocosamente canzonatorio è il racconto sotto forma di lettera a un amico del professore universitario recatosi ad Amburgo per partecipare a un convegno internazionale sui grandi scrittori della Sterpinia, “piccolo staterello semisconosciuto” di cui l’autore della lettera si dice specialista. L’intervento che aveva preparato era su Vladislav Hanuk, il cui romanzo Scala uno a dieci (millecinquecento pagine scritte tra il 1960 e il 1975), afferma, è il capolavoro della letteratura nazionale. Credeva che avrebbe incontrato specialisti degli altri grandi autori di quello staterello e invece, una volta in loco, aveva constatato che i convenuti avrebbero parlato di autori che erano per lui dei perfetti sconosciuti. Il collega italiano ad esempio, Luca Margotti dell’Università di Torino, si sarebbe occupato della poetessa Sofia Kuskief, a suo dire famosissima, del tutto ignota a Benoît Bénéveau, il nostro professore. Inquieto, scrive che aveva preferito rinunciare alla cena di benvenuto e che aveva trascorso una notte agitata nella sua camera d’albergo.
Ma il giorno dopo, nell’aula magna dell’università ospite, aveva constatato che non era il solo ad essere perplesso. Nessuno sapeva dell’esistenza degli autori di cui avrebbero parlato gli altri, cosicché le conferenze si erano susseguite in una confusione crescente. La causa era stata presto scoperta: gli autori tradotti nelle rispettive lingue dei vari convenuti non erano mai gli stessi cosicché in ogni paese ci si era fatta un’idea totalmente diversa della letteratura sterpiniana. Hanuk, genio incomparabile per la Francia, in Italia non era stato mai tradotto. Tutti viceversa, in Italia, conoscevano la poetessa Kuskief, mentre nel mondo anglosassone, dove sia Hanuk che Kuskief erano ignorati, si andava in visibilio per Probst, morto nel 1785, a sua volta sconosciuto in Francia e in Giappone. Nemmeno i portoghesi lo conoscevano: per loro la letteratura sterpiniana cominciava nell’Ottocento. Bénéveau racconta che, mortificati, i conferenzieri avevano sospeso i lavori e si erano ritirati in hotel a meditare. La mesta conclusione della lettera riporta la decisione degli organizzatori di chiudere il convegno sui due piedi con il proposito di non parlare mai più di letteratura sterpiniana all’estero, e ancora meno in Sterpinia. Non solo divertita parodia dell’incomunicabilità accademica e ammiccante sferzata all’incongruenza delle politiche editoriali in fatto di traduzioni, il racconto, che incrocia in realtà le lettere di Due conferenzieri, letterato Bénéveau, musicologo il suo amico, illustra bene l’idea che accomuna le Storie assassine qui raccolte: sono quelle che contengono il principio stesso della loro dissoluzione. Storie che, in qualche modo, si autodistruggono dal punto di vista della diegesi. O nelle quali è insito un elemento nullificante, che morde diabolicamente la coda al racconto.
Senso dell’assurdo e sottile umorismo nero
Bernard Quiriny, docente di filosofia del diritto all’Université de Bourgogne e critico letterario del “Magazine Littéraire”, è un belga francofono nella cui vena è presente quel tono da farce grinçante, riso a denti stretti, che proprio nel suo paese ha trovato le realizzazioni più valide, da Ghelderode a Crommelynck: un senso dell’assurdo venato di umorismo nero, surrealismo naturale che orchestra piccole storie fatte di imprevedibilità e spiazzamento. Personaggi che quando fanno l’amore diventano blu, e dunque inderogabilmente individuabili; un viaggiatore per nave il cui corpo si fa via via sempre più molle a mano a mano che il suo io lo lascia spostandosi fuori di lui; popoli che passano la vita a scavare buchi, tribù il cui rito iniziatico consiste nel cavarsi gli occhi, quel tale che ingravida realmente le donne accoppiandosi con loro in sogno, o quel talaltro che ha perso la nozione non già del tempo ma della durata. C’erano stati dapprima i Racconti carnivori (Omero, 2009), poi Quiriny era passato al romanzo cercando di alienarsi l’approvazione del mondo letterario che conta in Francia (nelle Assetate, tradotto nel 2012 da Transeuropa, aveva preso in giro con leggerezza intellettuali intoccabili come Bernard-Henry Lévy, Philippe Sollers e Julia Kristeva). Ma è poi presto tornato alla sua cifra migliore, il racconto breve e pungente. Dopo La biblioteca di Gould (L’Orma, 2013), sono così nate le ventun Storie assassine, ora efficacemente tradotte da Marco Lapenna anch’esse per L’Orma. “Se i miei racconti dovessero assomigliare a qualcosa, ha dichiarato Quiriny, vorrei che assomigliassero a un Magritte”. E non ha torto. C’è una tela famosa, Le tombeau des lutteurs, in cui Magritte ha dipinto una splendida rosa piena di pieghe sensuali e di anfratti profondi che riempie fino a soffocarlo tutto lo spazio di una stanza. Le storie di Quiriny assomigliano a quel quadro per l’idea, straniante, che gonfia a dismisura ingombrando il racconto fino a ucciderlo.
gabriella.bosco@unito.it
G Bosco insegna letteratura francese all’Università di Torino