I bambini mostruosi di Molly Keane
recensione di Elisabetta D’Erme
dal numero di febbraio 2016
Molly Keane
LE BUONE MANIERE
ed. orig. 1981, trad. dall’inglese di Bruna Mora
pp. 274, € 17
Astoria, Milano 2015
Erano davvero in pochi a conoscere l’opera di Molly Keane quando nel 1981 Good Behaviour s’affermò tra i finalisti del Booker Prize. La scrittrice anglo-irlandese aveva settantasette anni ed era stata molto popolare tra il 1926 e il 1961, ma sotto lo pseudonimo di M. J. Farrell, grazie a romanzi e brillanti piéce teatrali che avevano conquistato Londra. Molly Keane (1904-1996), nata Skrine, apparteneva all’Ascendancy, la minoranza anglicana al potere in Irlanda fino all’inizio del Novecento, una classe di proprietari terrieri, discendenti dei Planters protestanti scozzesi e inglesi che nel XVI secolo avevano confiscato le terre all’antica aristocrazia cattolica irlandese.
Erede dell’Irish comic tradition di Jonathan Swift o di Maria Edgeworth, l’autrice di Le buone maniere descrisse con sapiente ironia il mondo chiuso, gretto e provinciale dell’Ascendancy, caratterizzato dall’invasiva presenza di cani e cavalli, dominato dalle cacce alla volpe, dalla pesca e dai balli di società. In un ambiente dove leggere o scrivere erano ritenute attività obbrobriose, Molly Keane fu costretta ad adottare un nome de plume; s’era infatti prefissa di descrivere la vita nelle dimore dell’Ascendancy, le Big Houses costruite nel XVII secolo in stile georgiano o neo-classico, e che all’inizio del XX secolo, ormai fatiscenti e gravate di ipoteche, erano il simbolo del declino di quella classe parassitaria. Col suo Irish wit Molly Keane denunciava vite governate dal filisteismo, dalla supremazia delle “buone maniere”, necessarie a mascherare sentimenti, tradimenti, desideri, colpe, ambiguità sessuali e crudeltà quotidiane.
Molly Keane visse le conseguenze del fallimento della Home Rule per l’Irlanda e dell’insurrezione di Pasqua del 1916 (di cui quest’anno si celebra il centenario con gran profusione di convegni e pubblicazioni). I capi dell’Easter Rising vennero giustiziati senza processo dall’esercito britannico, innescando una sanguinosa guerra civile (1919-1923) tra separatisti repubblicani e unionisti alla Corona britannica. In ogni angolo del paese tra le “vittime” del conflitto vi furono le Big Houses. Ne vennero bruciate centinaia, tra le superstiti molte vennero pignorate o vendute da proprietari immiseriti. In Two days in Aragon (1941) Molly Keane narra ad esempio l’incendio di una Big House per mano dei ribelli dell’Ire, romanzo ispirato alla fine che aveva fatto la propria magione di famiglia a Ballyrankin nel 1920. L’immagine della Big House attraversa gran parte della narrativa femminile irlandese, da Maria Edgeworth a Elizabeth Bowen, Kate O’Brien o Jennifer Johnston, e riappare nella popolare chick-lit proliferata negli anni pre e post-crisi della Celtic Tiger. Tra le tante cantatrici della Big House, Molly Keane spicca però per l’insuperabile, personalissimo, cinico humor, che raggiunge il suo apice in romanzi quali Devoted Ladies (1934), The Rising Tide (1937), Time After Time (1983) e naturalmente Good Behaviour, che ora viene riproposto dalla casa editrice Astoria in una nuova, melancolica traduzione di Bruna Mora in alternativa alla versione ormai fuori catalogo di Cecilia Behmann dell’Elmo pubblicata nel 1999 da Fazi (con una postfazione di Viola Papetti).
Come negli altri romanzi satirici di Keane, i protagonisti di Le buone maniere non ispirano simpatia, ma affascinano per la loro surreale mostruosità; in particolare i bambini, di cui Keane enfatizza la crudeltà e la falsa innocenza. La storia dei fasti e della caduta della Big House di Temple Alice e dei suoi abitanti è narrata in prima persona dalla voce inquietante e decisamente inaffidabile di Aroon St Charles, una giovinetta costretta a vivere in un corpo “XXL”. All’inizio del racconto, l’ormai cinquantenne Aroon si libera finalmente della sua “mammina” avvelenandola con un pasticcio di coniglio. Il resto del romanzo è un flashback dei ricordi dell’infanzia e della giovinezza della “Porcellina”, nome con cui Aroon era nota tra gli intimi. A Temple Alice tutto sembra perfetto: la splendida coppia anaffettiva di “mammina” (appassionata di pittura e giardinaggio) e papà St Charles (impenitente dongiovanni), il loro efebico figlio Hubert col suo amante Richard, la passionale governante Mrs Brock e la sensuale cameriera Rose. A rovinare il quadro c’è la sgraziata e voracissima Aroon, figlia primogenita talmente “grande” da spezzare già da bambina la schiena a un purosangue. Per difendersi dalla generale insofferenza Aroon interpreta e manipola il mondo a proprio vantaggio. Si convince che Richard sia il “suo” fidanzato, non piange la perdita del fratello in un incidente stradale, ignora i propri clamorosi fallimenti, e lascia che Rose masturbi “a morte” suo padre. Fatta erede universale d’una fortuna ipotecata, eliminata “mammina”, smascherate le ipocrisie delle “buone maniere”, non le resta che “prendersi cura” di Rose.
dermowitz@libero.it
E D’Erme è studiosa di letteratura irlandese e tedesca