Affacciati sullo stesso mare
Intervista ad Andrea Satta e Ulderico Pesce di Mario Montalcini
dal numero di febbraio 2016
La fisarmonica verde è la storia di un figlio che cerca di ricostruire la vita del padre internato in un campo di concentramento nazista. Ci racconta la genesi di questo spettacolo?
Satta: Una genesi complicata: trae inizio da un viaggio in bicicletta avvenuto subito dopo la morte di papà alla caccia dei luoghi dove era stato internato. Mio padre era un grande narratore di silenzi. È cresciuta, sempre più, la voglia di vedere questi luoghi con gli occhi di chi hai perduto per sempre e di recuperare un sale che è lì che abita. Un sale che dà senso alla vita. La ricerca della verità è il movente che mi ha spinto a scrivere e a pensare a uno spettacolo a tutto tondo che utilizza i sensi. Non solo suoni ma anche immagini: se non avessi visto il posto con i miei occhi non avrei compreso la particolarità di quel campo senza segni distintivi come i campi di Auschwitz o di Mauthausen. In più era una giornata tersa e luminosa: è stato un impatto ancora più feroce. Non c’era neanche la scenografia giusta a descrivere o immaginare quello che era capitato. È successo tutto dove avresti voluto vedere un luogo tempestoso. Una foresta, un temporale, il freddo, la pioggia e, invece, questo contrasto crudele tra la luce e il buio della crudeltà umana mi hanno spinto a scrivere e a costruire lo spettacolo. Dalle tenebre possono nascere comportamenti virtuosi, di giustizia universale, ammirevoli per la loro semplicità. Si dice della banalità del bene, della capacità di soffrire in silenzio e di non appesantire l’animo degli altri… Io ho scoperto la verità solo quando mio padre è morto. Prima per me quello era un luogo di prigionia dove faceva freddo, si soffriva e si mangiavano patate ma non si moriva.
Suo padre cosa può insegnare a tutti noi? Come e quanto l’ha condizionata questa esperienza familiare nelle sue scelte di vita artistiche?
Satta: Sapere che esistono segnali così estremi di disumanità a cui si deve rispondere con estrema umanità. Questa esperienza mi fa essere attento in modo particolare a tutto quanto è cattivo, sadico, ingiusto. Le ferite del sopruso subite da mio padre le ho accarezzate e mi guidano a lottare contro l’assurda crudeltà umana. Le mie scelte artistiche hanno seguito, quindi, questo sentiero e questi filoni. Il bisogno di giustizia e non di vendetta. Mio padre è stato la vittima. La storia piange sulle vittime ma non può prescrivere terapie.
Immagino, per questo spettacolo, una trasposizione anglosassone in un teatro di New York o di Londra. Come lo costruirebbe? Se non fosse lei l’interprete chi potrebbe sostituirla con pathos simile al suo?
Satta: Spesso, come artista, mi sono immedesimato in storie di altri e sicuramente sarà stimolante individuare un artista anglosassone che possa cogliere l’essenza di questo spettacolo. Leggendolo potrebbe esprimersi con azioni sceniche fuori campo. Lo spettacolo ha i disegni intensi di Marta Dal Prato che potrebbero ospitare frasi e segnali, potrebbe diventare un graphic novel assistito da suoni, voci, battute. Tutto l’insieme costituisce un unicum narrativo grazie alle immagini, alla musica e al gesto, se amalgamati con coerenza.
Pesce: Il testo ha una drammaturgia calda, racconta i sentimenti e la guerra con dettagli che provocano compassione e pietà. La cultura anglosassone è differente, pertanto ne affiderei la regia a Francis Ford Coppola che ha una sensibilità mediterranea, e tra i protagonisti mi immagino o Andrea stesso (che ha un’indole anglosassone) o Nicolas Cage. Ne verrebbe fuori una storia tutta italiana.
Quest’opera è la summa di una vita, la perfetta sintesi di un percorso artistico e umano la cui forza espressiva porta su strade ancora inesplorate… quanto si sente vicino al teatro canzone? Come lo immaginerebbe negli anni 2000?
Satta: Le espressioni artistiche chiuse in barattolo, in una codifica, in un formato con regole prestabilite sottraggono qualcosa alla percezione e alle idee che si cerca di tradurre in forma artistica: definire è impoverire. Non so se faccio teatro canzone. Con i Têtes de Bois, siamo una band che canta testi, un gruppo di persone che si conoscono bene e che stanno affrontando la vita con pienezza. Io sono uno che cerca di raccontare la vita che passa davanti con un’espressività artistica sentita profondamente da dentro.
Pesce: Il teatro canzone che si fa oggi in Italia è un teatro in cui i momenti teatrali sono nettamente separati da quelli del canto. I due codici rimangono assolutamente separati. Lo spettacolo si rifà piuttosto al teatro canzone del neorealismo italiano, quello di Italo Calvino ad esempio. Ed è più vicino al teatro canzone dell’Europa orientale, della Russia. Andrea è un interprete attoriale che si esprime attraverso la musica e il canto, e alla connotazione inedita che Angelo Pelini riesce a dare ai suoni e al loro impatto sulla messa in scena teatrale.
Dal testo dello spettacolo ricaverà un libro?
Satta: Questo testo sarà anche un racconto lungo o un romanzo breve. Il linguaggio della sensibilità umana si solidifica quando ce l’hai. Si allineano sensibilità diverse. Tutti si affacciano allo stesso parapetto. Lo spettacolo, il libro, il racconto sono il mare dove tutti sono affacciati e possono trovare il colore della vita che per ognuno è differente ma comune. Ci sono tante chiavi di lettura intorno a una solida base.
Ulderico Pesce è regista, attore, narratore di storie che hanno attraversato e attraversano la storia: come si è avvicinato alla regia di un testo cosi intimo? E quale il suo approccio come attore?
Pesce: Mentre Andrea Satta interpreta il ruolo del figlio, il personaggio che interpreto io è una sorta di narratore, come quelli di Shakespeare, un Mercuzio di Romeo e Giulietta o uno Jago di Otello, che stimolano o provocano l’ azione scenica. Il mio personaggio suscita in Andrea il bisogno di ricordare e scatena la consapevolezza che il rapporto con il figlio è costruito anche attraverso parole non dette. La matrice del fuoco è molto importante nello spettacolo. Dopo la morte del padre, Andrea ritrova la lettera che gli riaccende il nuovo fuoco della letteratura, del teatro. Come regista ho voluto collocare un simbolo, la bicicletta (così importante nella vita artistica di Andrea) che azionandosi accende la legna. Il movimento umano genera nuova vita, luce e racconti: è una progressione di sentimenti in grado di scaldare la scena senza bruciarla.
A quale pubblico vi rivolgete e quali sono le prossime tappe dello spettacolo?
Satta: Il Teatro Stabile di Cagliari ha prodotto questo spettacolo insieme al Centro mediterraneo delle arti e in questo sento che un figlio riabbraccia la sua terra, lo spettacolo lo ha permesso. In queste ultime settimane è stato messo en place un numero zero che ha raccolto grandi consensi soprattutto tra i giovani. Viaggerà anche nei luoghi da cui sono venuti i tredici firmatari della denuncia contro il criminale nazista autore dell’incendio alla baracca e della strage. Conto di poterlo far vedere a un compagno di prigionia di mio padre o a un figlio come me… per recuperare dall’oblio un po’ la sua vita e la sua storia.
Pesce: Rispetto alle grandi opere sulla guerra, La fisarmonica verde vuole raccontare la mancanza di rapporto tra padre e figlio e non la guerra. La relazione è piena di buchi e di cose non dette. Dopo la morte Andrea ha cercato di riempire questi buchi relazionali attraverso il testo. Il padre in qualche modo ha lasciato un canovaccio che Andrea ha elaborato in chiave attuale e moderna. Questo spettacolo vuole essere molto attuale: vuole affrontare l’incomunicabilità tra padri e figli e tra familiari.
La Fisarmonica verde – tratto dall’omonimo testo di Andrea Satta.
Adattamento teatrale di Ulderico Pesce e Andrea Satta. Musiche di Andrea Satta e Angelo Pelini. Disegni di scena di Marta dal Prato. Parte tecnica a cura di Raniero Terribili.
La recensione di Simona De Giorgio (on line l’articolo è accessibile agli abbonati dopo aver effettuato il login, o acquistando il .pdf di febbraio 2016 nella sezione Shop del sito)