Un dialogo e un’inchiesta interrotti
recensione di Alfredo Nicotra
dal numero di gennaio 2016
Simona Zecchi
PASOLINI, MASSACRO DI UN POETA
pp. 320, € 16
Ponte alle Grazie, Milano 2015
Non è il centesimo saggio che si esercita maldestramente nella ricostruzione degli ultimi istanti di vita del Poeta delle Ceneri. A quarant’anni dall’omicidio, la giornalista Simona Zecchi conduce un’inchiesta in cui affiorano per la prima volta elementi nuovi ed estremamente interessanti. E svela con sicurezza e acribia i volti che all’alba del 2 novembre 1975 decisero e parteciparono a quel “massacro tribale”, tale per la sua efferatezza. Pasolini doveva essere “infangato” quella notte e reso per sempre infrequentabile dalla società. In malafede, si dirà, non si aggiunge nulla alla versione ufficiale che esige il movente sessuale nell’ambiente della prostituzione minorile, “imposta e concordata sin dalla notte della tragedia”, “attraverso gli organi di stampa, in barba al segreto istruttorio”, come la punizione di un “frocio e basta”. Del resto dal lacunoso fascicolo 1466/75 del procedimento penale si è avuto un solo processo, mentre le tre inchieste successive (1995, 2005, 2015) si sono risolte tutte nell’archiviazione. Invece no! Con un metodo investigativo rigoroso e mai pregiudiziale durato cinque anni (“atti d’inchiesta giudiziaria, elementi sfuggiti alle ricostruzioni passate e personale ricerca e indagine”), che collega i fatti distanti tra loro e innalza l’io so pasoliniano a un sistema di lavoro anziché farne un vuoto mantra, l’autrice ripercorre l’intera dinamica dell’omicidio, facendo emergere le troppe “verità mozzate” e le “falle giudiziarie” che ne seguirono. Ci sono prove inconfutabili a cui sarà difficile voltare le spalle. Una folla inferocita (circa tredici uomini presenti) che presenziava all’Idroscalo di Ostia, il rilevamento di cinque nuovi profili genetici, sette aggressori, l’assenza di tracce di liquido seminale che dimostrano che non ci fu alcun rapporto sessuale tra Pasolini e Pelosi, e fanno decadere finalmente il falso movente il cui scopo era trasformare la vittima in carnefice e garantire a un minorenne una breve reclusione (e una condanna a nove anni). In realtà fu una trappola (l’esca la restituzione, dopo il furto, delle bobine del film Salò), effetto di un disegno preciso, uno “schema perfetto” voluto dai livelli alti e con l’appoggio dei servizi segreti e di qualche politico a cui Pasolini dava fastidio. Ciò che il libro racconta è così la sequela di depistaggi e manipolazioni di testimoni e di atti probatori col concorso della stampa e delle istituzioni, incluse la polizia e la magistratura. Zecchi al contrario centellina documenti e foto inedite mai emersi finora, tra cui la “scoperta di alcuni documenti” rimasti distrattamente o volutamente inosservati da parte degli inquirenti. Un sovrapporsi di “cointeressenze che arrivano da più parti: la bassa manovalanza criminale per sfilare un po’ di soldi al ‘frocio’; i picchiatori per togliersi di mezzo il ‘comunista’; forse anche qualcuno che non accettava l’amore di Pasolini per i ‘ragazzetti’; e, in alto, qualcuno che ha ordinato una ‘commissione’”. Tra queste spicca il ruolo che ebbe l’estremismo extraparlamentare di destra e la criminalità romana e catanese. La verità riposa in un carteggio “emerso tra gli atti riguardanti la strage di piazza Fontana” ma rimasto per lungo tempo sconosciuto, e adesso pubblicato. Tra Pasolini e un ambiguo editore di destra sulle responsabilità e le connivenze nella strage di piazza Fontana, delle cui informazioni si temeva il poeta venisse a conoscenza. “Un dialogo e un’inchiesta interrotti” su cui la magistratura si affretti a far luce.
A Nicotra è critico letterario