Che cos’ha imparato Milano?
di Alberto Saibene
Passata la festa, gabbato lo santo. Le annunciate polemiche del dopo Expo stanno prendendo vigore, in vista anche della campagna elettorale che vedrà probabilmente schierarsi Giuseppe, ma ora per tutti Beppe, Sala, per il centro-sinistra. La questione principale è come utilizzare l’area di Expo, acquistata da privati (i noti immobiliaristi milanesi Cabassi) a caro prezzo e oggi, considerata fuori mercato, rivendibile solo a soggetti pubblici. Inoltre il destino dell’area, meravigliosamente infrastruttura, non è ancora stato deciso.
Gli effetti di Expo 2015 credo saranno però di più lungo periodo per Milano. La città era reduce da due decenni in cui si sono concentrati berlusconismo, la Lega “di governo” e l’affarismo ciellino. Di che tramortire un elefante! Il buon governo di Giuliano Pisapia, il ripristino della legalità, l’indole naturaliter industriosa dei milanesi hanno fatto ripartire la città e oggi si parla di un “modello Milano” da contrapporre a quella sentina di vizi che è la Roma degli ultimi anni. Ai tempi di Rutelli e Veltroni sindaci valeva invece l’opposto.
Insomma paiono slogan giornalistici che hanno naturalmente qualche appiglio con la realtà, ma che creano la narrazione di una città finalmente risorta e che guarda con fiducia in avanti. Che cosa poi sia il “modello Milano” non è chiarissimo. Forse un sistema decisionale che, abolendo passaggi intermedi, diviene più efficace? In questo caso qualche riflessione in più andrebbe fatta.
Cosa ha imparato Milano da Expo? Intanto a seppellire lo scetticismo che può essere lasciato in dote alla categoria dei taxisti, poi a credere di più alla sua sommessa bellezza, imparando a guardarsi con gli occhi di chi viene da fuori. Ha appreso a essere più accogliente sia con i turisti danarosi che hanno strisciato voluttuosamente le carte di credito nei negozi del centro, sia a non tollerare che la Stazione Centrale divenisse un dormitorio per i flussi di migranti degli ultimi mesi (alla cosa si è ovviato, ma con ritardo). Il collegamento tra città e il sito di Expo ha funzionato soprattutto dopo l’estate, quando finalmente si vedevano turisti dell’Europa affluente, qualche americano e gruppi di orientali percorrere le vie del centro e soffermarsi davanti alle bellezze più note tirate a lucido per l’occasione. La grande mostra Arts and Foods, padiglione di Expo in città, allestita in Triennale da Germano Celant con grande dispendio di mezzi, ha funzionato a metà. Così come l’offerta culturale mainstream (Giotto, la Pietà Rondanini nella nuova collocazionei e Leonardo in tutte le salse) è stata colta più dai milanesi e dai parenti in visita (“Cosa gli facciamo vedere stasera?”) che dagli stranieri. Apprezzati da tutti o quasi, la riapertura della Darsena e il Mercato Metropolitano (il modello storico sono Les Halles).
Per quel che riguarda l’area Expo, che era molto facile da raggiungere, il biglietto serale a 5 euro ha sciolto la prima diffidenza. Poi ci hanno pensato i bambini che hanno preteso che i genitori li accompagnassero in visita e le comitive di ragazzi. Anche la categoria dei baby pensionati dell’Europa affluente è stata tra le prime a mettersi in moto. Da settembre solo il non piccolo partito degli irriducibili non si è lasciata sedurre da Expo. Per il resto era diventata una cosa che bisognava vedere. Che cosa poi si dovesse vedere, a parte alcuni padiglioni doviziosamente segnalati sui social media e che innescavano code da Guinness dei primati (le 7 ore del Giappone pare sia stato il record), è materia di discussione.
Molti hanno lamentato la povertà di contenuti e in effetti la maggior parte dei padiglioni, anche perché costruiti in fretta e furia, mostrava dei gran filmati, distribuiva qualche souvenir e poco altro. A me è parso che la folla si rispecchiasse in se stessa e questo, insieme a un rapido pasto ‘esotico’, fosse sufficiente per riempire una giornata di Expo. Ai meno giovani ha ricordato la Fiera Campionaria del mese di aprile: una preghiera laica innalzata al progresso. Certo c’era il tema “nutrire il pianeta, energia per la vita”, è stata solennemente redatta la Carta di Milano. Difficile capire se ci siano stati effetti o ci saranno sul lungo periodo. Curioso anche l’atteggiamento di Slow Food, che era presente, ma con la posa del personaggio di Nanni Moretti che si chiedeva se si sarebbe notato di più se avesse o non avesse partecipato alla festa. Eh sì, in fondo è stata una festa, così il giorno dopo ci sveglia dubbiosi non ricordando come ci si è comportati e di chi sia quel numero di telefono memorizzato in agenda. Nel dubbio, io telefonerei.
alberto.saibene@hoepli.it
A Saibene è consulente editoriale