Sogno sbucciato sui ginocchi
Siamo lontani anni luce (anche se son decenni) dai tempi “in cui si voleva Tutto e libertà” e leggendo i giornali quotidiani è difficile non ritrovare nelle loro cronache “il nostro niente”. Cominciamo da qui, dalla poesia, dai Fiori del mare di Gianni D’Elia, il nostro libro del mese. L’opera appena uscita ha una lunga genesi, come ci racconta uno dei recensori, Stefano Iannuzzi, una datazione nascosta in un verso: “1984-2014”. Un poeta sa cogliere lo spirito dei tempi con quella mirabile sintesi di cui sono capaci solo i versi (o, in tempi più recenti, certe vignette, come quelle di Altan). Il rapporto con il tempo e la storia americana sono altresì centrali nell’opera di E.L. Doctorow di cui Andrea Carosso delinea la parabola e, anche in questo caso, il presente letterario (il tempo di stesura dei suoi principali romanzi) è un dopo. Dopo “lo sgretolamento degli ideali progressisti del New deal” che gli anni settanta delle proteste e della New left non hanno saputo ricostruire.
A tratteggiare un’italianissima storia della ricostruzione e del boom economico si è cimentato Leonardo Campus usando come fonti inusuali le canzonette di Sanremo. Uno specchio parzialissimo di un paese e della sua cultura canora e popolare, un’ottica leggera e semplificatoria, ma non priva di interesse: un altro modo di provare a capire un tempo. Senza nessun onere di cronaca (non è il nostro mestiere) affrontiamo una vicenda attualissima che ci tocca da vicino: la concentrazione editoriale che con l’acquisizione del gruppo Rcs libri da parte di Mondadori configura la presenza sul mercato nazionale di un “gigante spropositato” che da solo ne controlla all’incirca il 40 per cento. Un problema che riguarda la libera concorrenza e il confronto tra le idee (tesi sostenuta con vigore da Andrea Casalegno) oppure un problema di libertà del mercato che renderà sempre più difficile per editori piccoli e indipendenti l’accesso in libreria (tesi di Carmine Donzelli)? Comunque la si pensi, ad aver vita grama saranno di sicuro i piccoli editori, quelli che coraggiosamente puntano, ad esempio sugli esordienti finalisti del Premio Calvino (i vincitori approdano facilmente a un grande editore perché il bollino della vittoria si mette sulla fascetta e automaticamente fa vendere). Grazie ai piccoli editori possiamo pascerci con Franco Pezzini della “lussureggiante vivacità” delle proposte di genere fantastico, un genere che va a esplorare, col suo immaginario, l’inusuale dimensione dell’economia.
Tutto questo sembra, o può sembrare, date le premesse, una fuga verso qualcosa che ci allontani da quel niente di interesse e speranze che lo scenario politico ci concede. Ma se si fa lo sforzo di relativizzare e di tornare alla storia e usarla in senso prospettico ci si accorge che le crisi ci sono sempre state e che intellettuali e cittadini attenti le hanno sempre recepite e superate. L’appiattimento sul presente fa perdere i contorni di vicende note, di cui però è talvolta salutare ripercorrere le tappe. Pensiamo a Calvino, di cui ricorrono i trent’anni dalla morte, e a quel modo tutto suo, elegante e divertito, di criticare il partito da cui si era dimesso dopo i fatti d’Ungheria. Ma più che alla gustosa disputa delle Antille pensiamo a quello che scriveva all’amico Paolo Spriano (a mo’ di sfida e di promessa), ossia la volontà di dimostragli che “il Barone rampante non è un libro troppo lontano dalle cose che ci stanno a cuore”. Le cose che ci stanno a cuore continuano a esserci e a starci a cuore: niente fuga o torre d’avorio, ma la continuazione di una battaglia ideale con altri mezzi.
Per parlare di libri, con intenti simili nacque nel 1984 “L’Indice” lo stesso anno in cui Gianni D’Elia iniziava a mettere insieme i suoi Fiori. C’è qualcosa nei libri e nel loro incessante rincorrersi e dialogare che cerchiamo mensilmente di catturare sulle nostre pagine e che costituisce il nostro non omologato “bagno tiepido” nell’inverno incalzante (e del nostro scontento) di inizio novembre.