Fantaetimologie
recensione di Luca Terzolo
dal numero di ottobre 2015
Stefano Bartezzaghi
M, UNA METRONOVELA
pp. 273, € 20
Einaudi, Torino 2015
È un oggetto di ardua definizione, il nuovo libro di Bartezzaghi. Più semplice descriverlo in negativo: non è un romanzo né un saggio né un libro di memorie né un’autobiografia né un trattato di urbanistica né un libro di viaggio (anche se tutti tali “stili” vi convivono agevolmente). Cominciamo dal titolo M Una metronovela. L’autore, assiduo frequentatore di M (metropolitana: quella milanese soprattutto ma non solo), costretto come tutti gli utenti a subire quanto passa sugli onnipresenti monitor: essenzialmente video pubblicitari e “una deprimente insalata di meteo, borsa, news, sport, al grado zero della sapienza produttiva” ha un’idea: progettare una specie di telenovela da trasmettere sui monitor delle stazioni della metropolitana (che tanto sono già lì…). Una metronovela quindi, strutturata in puntate brevissime, della durata dell’ipotetica attesa del convoglio. Questa idea, così, tanto per chiacchierare, la confida a degli amici che lavorano in RAI: ne sono entusiasti e lo incitano a scrivere la sceneggiatura. Non troppo convinto il mite Bartezzaghi si mette all’opera.
E nascono Chuch e Dem. Il primo è un nero canadese alto ed elegante, il secondo un greco piccolo, pelato e peloso (attorno una piccola corte di amici, fidanzate e simili; attenzione ai nomi che celano giochi spassosi: il barman Chook Menrath, la taxista Kata Sue). I due lavorano per una multinazionale del liquore e fanno indagini di mercato sulle potenzialità di un ouzo senza anice (geniale!). Indagini che naturalmente si svolgono nel mondo degli “apericena” e degli happy hour. La metronovela inizia quasi simulando una vera sceneggiatura (battute, dialoghi, didascalie) ma ben presto la struttura si allenta, diventa “molle”, indistinta. Finisce, in sostanza, a coda di topo. Ma se la metronovela del titolo svanisce, si estingue dolcemente, con garbata discrezione, che cosa rimane del libro?
Be’, rimane tutto. Rimane la parte più importante. Rimane un reticolo di divagazioni guidato dal reticolo della metropolitana milanese. Divagazioni giocose o profonde (ebbene sì) catalogate coi nomi delle linee e delle fermate della metropolitana. Pensieri sull’amore e sul tempo passato (il rimpianto e la nostalgia, soprattutto urbanistica, sono tenuti saldamente al guinzaglio ma ogni tanto si liberano e prendono il potere), su incontri importanti (tra tutti, molto bello il ricordo di Gianni Celati), sulla scrittura, sul lavoro editoriale. Pervasiva, come è ovvio, l’attenzione rivolta alla parola (un’attenzione che rasenta il culto) e la presenza di raffinati anagrammi, scambi, coniazioni d’autore, trouvailles del parlato milanese (contemporaneo e storico), ecc.
L’attenzione alla parola di cui abbiamo detto ha il suo segnale nell’amore per le etimologie. Una impreziosisce la pagina in cui si espone la fantasiosa, popolare, origine di “a ufo”: deriverebbe dalla sigla Auf (ad usum fabricae) apposta ai marmi destinati alla fabbrica del Duomo e quindi esenti da imposta. Una fantaetimologia, come quella celebre che fa derivare “mignotta” da “madre ignota”. Proprio la falsità le rende preziose e godibili. Costituiscono una materia che andrebbe trattata e affrontata. Con la leggerezza di Bartezzaghi, non con la greve pretenziosa ponderatezza dei linguisti.
Rimane la parte più importante, abbiamo detto, una volta elegantemente squagliatasi la metronovela del titolo. Ma come possiamo definirla questa “parte più importante”? Bartezzaghi non si offenda, ma l’unica parola riassuntiva che ci viene in mente è “cazzeggio”. Raffinatissimo ma pur sempre cazzeggio. Non si offenda Bartezzaghi, ripetiamo: al di là dell’inequivocabile, ma semanticamente immotivato, etimo (ci risiamo), nel cazzeggio non c’è nulla di oscenamente allusivo. Come più che esaustivamente dimostra Massimo Tallone nel suo A bottega dal maestro di cazzeggio, pp. 213, € 15, golem, Torino 2015), da poco ripubblicato in edizione aggiornata. Tallone, poliedrico animatore in proprio di infiniti divaganti e volatili cazzeggi, è anche (soprattutto) persona di vastissime letture e profonda cultura (nonché autore di bizzarri “gialli” nei quali la trama è spesso puro pretesto) e lo sa benissimo che “il cazzeggio svolto in forma orale si avvale di preziosi contributi tecnici legati al linguaggio del corpo. Per trasferire nella forma scritta questa massa di segni occorrono doti tecniche straordinarie”.
Nel suo saggio, articolato in trentadue lezioni (il “maestro” dialoga con una discepola) tanto analitiche ed esaurienti quanto lievi ed esilaranti, Tallone dimostra di avere perfetta coscienza di ciò. Tanto che l’ultima, trentaduesima, lezione è costituita da un capitolo dedicato alle letture utili per chi voglia intraprendere l’arte del cazzeggio. Sono citati Dumas, Steinbeck, Flaubert (quello di Bouvard e Pécuchet ovviamente), Rabelais ecc. Riteniamo, concludendo, che nella prossima edizione in questo capitolo conclusivo, l’unico dedicato al cazzeggio “scritto”, vada assolutamente citato il libro di Bartezzaghi. Glielo consigliamo di tutto cuore al sottile e coraggioso Tallone. Come consigliamo a Bartezzaghi di non perdersi la lettura di A bottega dal maestro di cazzeggio.
lucaterzolo@alice.it
L Terzolo è stato lessicografo