La poetica del tradurre nel Kavafis di Nicola Crocetti

Come si allunga in fretta quella linea scura

di Daniele Ventre

dal numero di settembre 2015

Costantino Kavafis - Le poesie«La vita e l’arte di Kavafis sono consegnate al monumentum esiguo ed esauriente di 154 poesie, alle quali sarebbe arbitrario aggiungere le poesie “inedite” o segrete e le poesie “rifiutate”, benché fra le prime si trovino gemme autentiche». Così Filippo Maria Pontani concludeva la sua prefazione all’opera di Kavafis, enunciando un principio di esclusione che lasciava in ombra l’ontogenesi del poeta. A un opposto atto di inclusione si spinge la nuova versione che delle poesie di Costantino Kavafis ha curato per la collana di poesia Einaudi Nicola Crocetti, al culmine di una frequentazione pluridecennale dell’autore: nel volume troviamo la traduzione integrale, con testo a fronte, delle poesie canoniche, nonché una selezione di quarantaquattro poesie «rifiutate» o «inedite». Consistenti lacerti di queste ultime erano stati già tradotti dallo stesso Crocetti, oltre che da M. Peri e da altri: è il loro accostamento in appendice al canone a costituire un’interessante novità e a mettere alla portata dei lettori uno specimen evolutivo della poesia kavafiana. L’altro connotato di rilievo è lo stile che contraddistingue il modus vertendi di Crocetti. Per meglio comprenderlo si ricorrerà al forse abusato, ma efficace, metodo della comparazione fra traduzioni.
Interessante è il raffronto con la storica versione di Kavafis ad opera di Filippo Maria Pontani (1961). Per illustrare i tratti specifici dell’operazione crocettiana ci soffermeremo su una poesia delle più pregnanti: Κέρια, Candele, di cui riportiamo qui l’originale:

Toῦ μέλλοντος ἡ μέρες στέκοντο προστά μας /σὰ μιὰ σειρὰ κειράκια ἀναμένα – / χρυσά, ζεστά, καὶ ζωηρὰ κειράκια.
Ἡ περασμένες μέρες πίσω μένουν, / μιὰ θλιβερὴ γραμμὴ κειρῶν σβυσμένων· / τὰ πιὸ κοντὰ βγάζουν καπνὸν ἀκόμη, / κρύα κεριά, λυωμένα καὶ κυρτά.
Δὲν θέλω νὰ τὰ βλέπω· με λυπεῖ ἡ μορφή των / Καὶ μὲ λυπεῖ τὸ πρῶτο φῶς των νὰ θυμοῦμαι. / ἐμπρὸς κυττάζω τὰ ἀναμένα τοῦ κεριά.
Δὲν θέλω νὰ γυρίσω νὰ μὴ διῶ καὶ φρίξω / τί γρήγορα ποὺ ἡ σκοτεινὴ γραμμὴ μακραίνει / τί γρήγορα ποὺ τὰ σβυστὰ κεριὰ πληθαίνουν.

A seguire la traduzione di Filippo Maria Pontani, raffrontata con quella di Crocetti.

Pontani

Stanno i giorni futuri innanzi a noi / come una fila di candele accese – / dorate, calde, e vivide.
Restano indietro i giorni del passato, / penosa riga di candele spente: / le più vicine dànno fumo ancora, / fredde, disfatte, e storte.
Non le voglio vedere: m’accora il loro aspetto / la memoria m’accora del loro antico lume. / E guardo avanti le candele accese.
Non mi voglio voltare, ch’io non scorga in un brivido, / come s’allunga presto la tenebrosa riga, / come crescono presto le mie candele spente.

Crocetti

I giorni futuri stanno innanzi a noi / come una fila di candele accese – / ­dorate calde e vivide candele.
I giorni passati restano dietro a noi, / penosa linea di candele spente; / le più vicine fanno ancora fumo / fredde candele ormai piegate e sfatte.
Non le voglio vedere la loro forma mi rattrista, / mi rattrista ricordarne l’antica luce. / Guardo davanti a me le mie candele accese.
Non mi voglio voltare, vedere con orrore / come si allunga in fretta quella linea scura / come si moltiplicano in fretta le candele spente

Se la versione del Pontani ha imposto il suo suggello sulla ricezione italiana di Kavafis, rispetto a tale canone le scelte della nuova versione sono ben evidenti. Intanto l’impostazione formale: l’originale consta di quattro strofe di versi liberi dal ductus giambo-trocaico: vi prevalgono per un certo tratto, con continuità (vv. 2-6), le pentapodie giambiche equivalenti dei nostri endecasillabi, che nella metrica tradizionale neogreca sono meno centrali di quanto non sia in italiano l’endecasillabo, stante la ben nota prevalenza del decapentasillabo, lo στίχος πολιτικός, trasformazione accentuale demotica medio-bizantina del tetrametro giambico catalettico. Lo στίχος πολιτικός caro al Kavafis delle primissime poesie compare qui orecchiato nelle approssimative sequenze giambiche del v. 1 e dei vv. 7- 13. Il Pontani aveva scelto di renderne il tessuto metrico con un avvicendamento di endecasillabi, settenari, martelliani: scelta ineccepibile dal punto di vista dell’equivalenza strutturale, dato che per andamento e cesure i versi dell’originale (posti in corrispondenza) come Δὲν θέλω νὰ τὰ βλέπω·|| με λυπεῖ /ἡ μορφή των o Δὲν θέλω νὰ γυρίσω || νὰ μὴ διῶ καὶ φρίξω, sono di fatto alessandrini/martelliani, specie se nel primo dei due si ammette la dialefe λυπεῖ /ἡ e nel secondo si legge διῶ conservando la dieresi naturale che ne fa prosodicamente un bisillabo. Da un punto di vista dell’equivalenza e nella prospettiva del sistema, la mera legittimità formale in questo caso mostra qualche crepa, per quanto permetta a Pontani di attuare, sul piano stilistico, la creazione di un impasto fra lingua media e poetismo residuale («m’accora…» «ch’io non scorga…») che fa da corrispettivo italiano della calcolata oscillazione kavafiana fra καθαρέυουσα e δημοτική. La soluzione crocettiana segue una strada diversa, basata sull’uso di endecasillabi regolari e ipermetri, di alessandrini, di versi lunghi anch’essi di andamento giambo-trocaico. Questa calcolata nonchalance ritmica, con occasionali assonanze e consonanze è in effetti quanto di più simile alla struttura dell’originale si possa restituire, in un’alternanza fra forme regolari e loro orecchiamento, un tratto del Kavafis maturo. Sul piano stilistico si noteranno pochi aspetti salienti: il sistema di anafore, parallelismi, antitesi, poliptoti e figure etimologiche che nell’originale si incentra sui Leitwörter κεριά-κειράκια, è parzialmente obliterato dal Pontani, che ai vv. 3 e 6 omette di tradurre κεριά e instaura un parallelismo fra terne aggettivali (“dorate, calde e vivide”/ “fredde, disfatte e storte”). La versione di Crocetti è più fedele, oltre che più rispettosa dei campi semantici dei termini e della collocazione sintattica. Basta questa breve sincrisi a evidenziare i due tratti tipici della traduzione crocettiana: aderenza alla forma dell’originale, basata sul principio dell’equivalenza di sistema, più che sull’equivalenza sillabica; spiccata adesione al testo, con una selezione lessicale raffinata, dall’estrema delicatezza timbrica, nell’assoluto rispetto per i valori “posizionali” delle parole nel verso. Il risultato è l’attuazione di una difficile poétique/politique du rythme, fondata sull’equilibrio fra le diverse tensioni che agitano il mare tempestoso della traduzione di testi in versi, fra restituzione della struttura e adesione al contenuto, target-orienting e source-orienting, domesticazione e straniamento del poetare tradotto.

Ulteriori aspetti della prassi traduttiva crocettiana emergono in un confronto a tre che coinvolga anche la versione di Nelo Risi e Margherita Dalmàti: del 1992. Ci limiteremo al caso della famosissima Θερμοπύλες, che fra le poesie canoniche è dotata di struttura più regolare, essendo composta da quattordici pentapodie giambiche, quattordici endecasillabi; il tema storico metaforizzato, preso dalla memoria comune del mondo antico, ne fa uno di quei camei di Fortleben classicistico incistati nel tessuto prosastico della poesia di Kavafis.

Qui di seguito l’originale e le tre traduzioni:

Θερμοπύλες
Τιμὴ σ’ἐκεινους ὅπου στὴν ζωή των / ὤρισαν καὶ φυλάγουν Θερμοπύλες. / Ποτὲ ἀπὸ τὸ χρέος μὴ κινούντες· / Δίκαιοι κ’ἴσιοι σ’ὅλες των τὲς πράξεις / ἀλλὰ μὲ λύπη κιόλας κ’εὐσπλαγχνία· / γενναῖοι ὁσάκις εἶναι πλούσιοι, κι ὄταν / εἷναι πτωχοί, πάλ’εἰς μικρὸν γενναῖοι, / πάλι συντρέχοντες ὅσον μπορούνε· / πάντοθε τὴν ἀλήθεια ὁμιλοῦντες, / πλὴν χωρὶς μῖσος γιὰ τοὺς ψευδομένους.
Καὶ περισσότερη τιμὴ τούς πρέπει / ὅταν προβλέπουν (καὶ πολλοὶ προβλέπουν) /
πὼς ὁ κ’ Ἐφιάλτης θὰ φανεῖ στὸ τέλος / κ’οἱ Μῆδοι ἐπὶ τέλους θὰ διαβοῦνε.

Pontani – Termopile

Onore a quanti nella loro vita / decisero difese di Termopile. / Mai dal loro dovere essi recedono; / in ogni azione equilibrati e giusti, / con dolore, peraltro, e compassione, / se ricchi, generosi; anche nel poco / generosi, se poveri; solerti
a soccorrere gli altri più che possono, / capaci solo della verità, / senza neppure odiare i mentitori.
E di più grande onore sono degni / se prevedono (e molti lo prevedono) / che spunterà da ultimo un Efialte / e i Persiani, alla fine, passeranno.

Risi-Dalmàti – Termopili

Onore a quanti in vita / si ergono a difesa di Termopili. / Mai che dal dovere essi recedano, / in ogni circostanza giusti e retti, / agendo con pietà con tenerezza, / generosi se ricchi, generosi / ugualmente quanto possono se poveri, / conforme ai loro mezzi sempre sovvenendo / e sempre veritieri ma senz’astio / verso coloro che mentiscono.
E un onore più grande gli è dovuto / se prevedono (e molti lo prevedono) / che spunterà da ultimo un Efialte / e che i Medi finiranno per passare.

Crocetti – Termopili

Onore a quanti nella loro vita / si fecero custodi delle Termopili, / senza mai venir meno a quel dovere. / Integri e giusti nelle loro azioni, / ma sempre con pena e compassione; / generosi se ricchi e generosi / sia pur con poco se indigenti,
soccorrevoli quanto possono; / pronunciando sempre la verità, / ma senza detestare i mentitori.
E sono degni di più grande onore / Se prevedono (e molti lo prevedono) / che all’ultimo comparirà un Efialte / e comunque i Persiani passeranno.

La versione di Pontani è una traduzione isometra, non priva di moderati iperbati; tuttavia la sua intrinseca limpidezza stilistica si pone come difficile termine di raffronto, così che ogni traduttore che ritorni su questo testo ha soltanto da tentare una strada propria sperando di non deviare troppo dal “vero”, mi si passi il tono essenzialistico da tardo umanesimo. La versione Risi-Dalmàti, pregevole per acribia, sceglie di slabbrare le maglie del metro (salvo ripristinarle ove lo si percepisca possibile), in una resa decisamente prosastica, non scevra di stilemi non sempre gradevoli, come l’inerte avverbio “ugualmente” o il pronome “gli” plurale, tipicamente neostandard: scelte peraltro legittimate dal dettato misto fra colloquialismo e letterarietà che caratterizza l’autore. Tuttavia, in questo testo è il tono di semplicità solenne e composta a dominare. Una strada di recupero dell’equilibrio stilistico à la Pontani, sia pur con notevoli correttivi, seguono le opzioni traduttive di Crocetti, che ripristina ove possibile l’endecasillabo (talora un endecasillabo atonale non rispettoso della legge di Bembo, come “pronunciando sempre la verità”, talaltra un verso quasi montaliano, con anacrusi o posizioni accentuali pseudo-forti, da antico decasyllabe provenzale: “si fecero custodi delle Termopili”, “ma sempre con pena e compassione”, “che all’ultimo / comparirà un Efialte ) e in ogni caso ricerca una versificazione giambica lirico-discorsiva di respiro sillabico medio-breve, e sul piano stilistico evita il neostandard e il poetismo, ridisegnando le scelte dei predecessori, che pure nel dettaglio vengono richiamati: si vedano in specie i versi finali, che peraltro non lascerebbero spazio ad arbitri. Riguadagnare alcune delle qualità della versione del Pontani, all’interno di linee filologiche autonome e a valle di una recente traduzione di spessore, e ricreare in italiano un Kavafis segnato dal più cristallino equilibrio del discorso poetico è infine l’obbiettivo che la traduzione di Nicola Crocetti consegue con maestrevole perizia e sin da subito si avverte il peso che questa nuova versione dei Ποιήματα kavafiani avrà nella storia della loro ricezione nella nostra lingua.

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D Ventre insegna greco e latino ed è traduttore di Omero ed Euripide