Una nostalgia irradiata dalla critica corrosiva
di Olja Perišić Aršić e Silvia Minetti
dal numero di marzo 2017
“Con un click automatico della mia macchina fotografica interiore, negli ultimi tempi trasformo in fotografie l’ambiente del Centro-Europa, insieme ai volti delle persone che incontro. Poi dentro di me si apre iPhoto: import-effects-sepia-done. Come se la realtà circostante fosse uno schermo e sul mio palmo fosse incollato un telecomando invisibile con tre opzioni: passato, presente e futuro, di cui solo una funzionante: il passato, seppia”. Europa in seppia, della scrittrice croata Dubravka Ugrešić, è uscito nel 2016 in traduzione italiana per l’editore Nottetempo di Roma (pp. 349, € 13,50). Si compone di ventotto saggi brevi, scritti in un arco temporale anch’esso breve, tra il 2010 e il 2013.
I singoli saggi possono scaturire da note di viaggio dell’autrice o da fatti di cronaca, visioni del mondo dalla bicicletta o incursioni nell’universo paradigmatico di Ikea e di Starbucks con i suoi codici di comunicazione. Avvenimenti noti e meno noti, eterogenei eventi pubblici e privati, diventano spunto per il montaggio di immagini tratte dalla nostra storia recente e meno recente e riflessioni sulle nostre prospettive. Con i suoi scatti magistrali, l’autrice fotografa, riuscendo a coglierne l’irripetibile “qui ed ora”, i tamburi di Zuccotti Park, immigrati raccoglitori di tulipani in Olanda, pesci nell’acquario di facoltosi magnati, prostitute nelle vie di Amsterdam, calciatori e receptionist, tassisti e traduttrici, hostess e venditori di tappeti, badanti e giocatori di bussolotti, autori anonimi e anonimi “stroncatori”. Nelle sue inquadrature possono trovarsi a fare da sfondo le ondate migratorie in Europa, le tensioni sociali, le perversioni del mercato del lavoro, l’ecosistema europeo, la nuova marginalità sociale, gli scenari del post-comunismo e l’eredità del comunismo, le trasformazioni del mercato culturale globale (specificatamente l’industria del libro), le differenze di genere e i canoni letterari, l’autore e l’autorialità e molti altri temi ancora. Di quando in quando fanno capolino nell’immagine curiose, inquietanti, esotiche, nuove specie botaniche e animali, affascinante metafora del cambiamento sociale e culturale, che arrivando da lontano modificano (minacciando o vivificando? – è questo l’interrogativo) il “nostro” ambiente di vita, le nostre classificazioni e la nostra visione del mondo.
Il lucido obiettivo di Dubravka Ugrešić mette a fuoco, con le loro contraddizioni e a volte in sovrapposizione o in dissolvenza, tre differenti paesaggi, tre zone dai confini fluidi, dalle coordinate spaziali e temporali sempre più liquide. Accanto all’euro-zona e alla jugo-zona, ci viene mostrata una zona che non conoscevamo, la ON-zona (Out of Nation) quella da cui la scrittrice invia a potenziali lettori i suoi scritti, come tanti “messaggi in bottiglia”. Sfondo, obiettivo e tavolo di montaggio allo stesso tempo per Europa in seppia, è un’Europa, nella quale e a partire dalla quale Dubravka Ugrešić si muove curiosa, utilizzando consapevolmente la condizione dinamica dell’esilio, su un asse temporale passato-presente-futuro dove il seppia, colore del passato, si stende a tratti a dare ombra e spessore al presente e al futuro.
Rendere in italiano le sfumature temporali del serbocroato
Per ciò che concerne il lavoro di traduzione, è stato indubbiamente stimolante lo sforzo di rendere in italiano ombreggiatura e spessore. Si è cercato di prestare particolare attenzione alle nuances temporali della narrazione, dove frequente è il ricorso dell’autrice al presente storico (soprattutto nei passaggi più autobiografici), tenendo conto delle differenze tra l’italiano e il serbocroato nell’uso linguistico del tempo passato. Pertanto vorremmo focalizzare queste brevi note sulle specificità della traduzione del passato dalla lingua serbocroata alla lingua italiana.
Innanzitutto, come è noto, la categoria dell’aspetto verbale (che designa un’azione rispetto alla sua durata, indica se essa è compiuta, incompiuta, limitata ad un periodo di tempo determinato o reiterata nel tempo) viene espressa nella lingua serbocroata attraverso il lessico. Ciascun verbo, con alcune eccezioni, possiede una forma perfettiva e una forma imperfettiva, indicate da due lemmi distinti che, oltre ad avere diversa aspettualità, hanno talvolta significati diversi. In italiano invece la categoria dell’aspetto verbale è espressa morfologicamente, attraverso tempi verbali che possono rappresentare un’azione compiuta (passato prossimo/remoto e trapassato prossimo) o durativa (imperfetto). Studi in questo ambito hanno fra l’altro mostrato come i tempi verbali possano talvolta avere nella lingua italiana valenze aspettuali diverse da quelle di base.
La dialettica aspettuale dei verbi in serbocroato e le dinamiche tra le forme del passato in italiano consentono di focalizzare a titolo di esempio una delle questioni su cui ci siamo ampiamente confrontate in corso d’opera, a partire delle rispettive lingue madri: la possibilità, nella traduzione del passato tra le due lingue, di trovare o meno un’equivalenza assoluta tra, per esempio, il perfekat serbocroato (aspetto perfettivo) e uno dei tre tempi perfettivi italiani. Può essere interessante osservare che la lingua serbocroata odierna mostra una temporalità ridotta: ha un solo tempo passato effettivamente usato che è il perfekat. Nelle grammatiche serbe e croate tra i tempi passati vengono collocati anche l’aoristo (passato semplice, aspetto perfettivo), il piuccheperfetto (trapassato, tempo composto perfettivo e imperfettivo) e l’imperfetto (tempo semplice, imperfettivo). A parte l’aoristo, che spesso viene usato per dare maggiore enfasi e dinamicità all’esposizione, gli altri due ormai sono poco utilizzati. Li troviamo talvolta nella lingua letteraria moderna dove vengono usati con precisi intenti stilistici. La questione che ci interessa mettere in evidenza è che al perfekat serbo corrispondono ben quattro tempi passati italiani: passato prossimo, passato remoto, imperfetto e trapassato prossimo. Per esprimere differenze di aspetto e di tempo anaforico e deittico, l’italiano principalmente usa la flessione del verbo. Così il trapassato prossimo e il trapassato remoto, oltre ad esprimere la temporalità deittica del passato, esprimono anche una temporalità anaforica di antecedenza. Quando quindi traduciamo dal serbocroato all’italiano, noi dobbiamo chiederci:
- a) se l’azione sia compiuta o meno: lavoravo (incompiuta), ho lavorato/lavorai (compiuta);
- b) se si tratta di un’azione che ha conseguenze nel presente o meno: ho lavorato (legata al presente) / lavorai (non legata al presente);
- c) se si tratta di un’azione avvenuta prima di un’altra azione nel passato: avevo lavorato.
Possiamo incontrare talvolta una corrispondenza perfetta tra aspetto perfettivo/imperfettivo nella lingua serbocroata e tempi verbali italiani con la stessa aspettualità, tuttavia questo spesso non accade.
Il passo seguente può a nostro avviso risultare interessante, perché nell’originale l’autrice usa il presente storico e noi l’abbiamo tradotto alternando diversi tempi verbali al passato della lingua italiana. Qui si vedono bene tutte le sfumature che si possono utilizzare in italiano, a fronte dell’originale croato che sembra, in questo senso, più “piatto”:
“Na klupici, poput hotelskih portirki iz komunističkih vremena, sjedi ruski kolega i puši. Prisjedam i ja, isprva pušimo šutke, a onda malo pričamo o ruskim oligarsima. Super dečki, kaže kolega, pametni i načitani, jedan je kupio engleske dnevne novine, drugi cio engleski knjižarski lanac, sada će, valjda, i protok ruske književnosti na zapadnom tržištu biti snažniji. Tja, što ćemo, vučji zakon, tko jači – taj kvači, za njega lično nema krize, nikad mu nije išlo bolje. Pridružuju nam se dvije mlade Slovakinje, što dočekujem s olakšanjem. Zamjećujem kako srednjo-europska melankolija diskretno sjenči njihove poglede poput fine šminke” (Sulla panchina, come facevano un tempo le portinaie del periodo comunista, era seduto un collega russo a fumare. L’avevo raggiunto, all’inizio abbiamo fumato in silenzio, poi ci siamo messi a chiacchierare degli oligarchi russi. Sono dei bravissimi ragazzi, aveva detto il collega, intelligenti e istruiti, uno ha comprato un giornale inglese, un altro un’intera catena di librerie, cosi adesso la letteratura russa avrà più sbocchi sul mercato occidentale. E già, cosa possiamo fare, la legge della giungla, vince il più forte, per lui personalmente non c’era nessuna crisi, le cose non gli erano mai andate meglio. Ci raggiunsero due giovani slovacche e questo mi sollevò. Notai come la malinconia del Centro-Europa discretamente segnasse i loro sguardi come un’ombra di trucco).
L’utilizzo massiccio (in post-produzione, come si direbbe in linguaggio fotografico) dell’effetto seppia – la tonalità del passato, il colore della nostalgia – come esplicitamente dichiarato dall’autrice, conferisce probabilmente a questo libro la sua peculiare luminosità. Ci piace concludere questo flash sulla traduzione di Europa in seppia con la considerazione, da affascinate lettrici quali innanzitutto siamo, che la nostalgia, pur presente, non risulta malinconico rimpianto di un passato scomparso, poiché costantemente irradiata dalla critica corrosiva, mai acida, ironica e irriducibilmente contestataria, di Dubravka Ugrešić.
oljaarsic@hotmail.com
O Perišić Aršić è traduttrice e insegnante di lingua serba e croata
silviaminetti@virgilio.it
S Minetti lavora presso un ente autorizzato alle adozioni internazionali