Tradurre Reading at Random, l’ultima opera di Virginia Woolf

Un libro che non esiste

di Massimo Scotti

dal numero di giugno 2017

Proviamo a immaginare una storia favolosa e sconosciuta, narrata da una scrittrice morta prematuramente, che abbia lasciato fra i suoi lettori una nostalgia insopprimibile. E proviamo a pensare che quella storia riguardi la letteratura inglese, nei suoi rapporti con l’Europa e il mondo intero, perché quando la storia fu scritta l’Inghilterra aveva un tremendo bisogno dell’unione europea contro il pericolo comune di Hitler. Ma proprio allora il pericolo stava avanzando e le nazioni cadevano ai suoi piedi una dopo l’altra.

Immaginiamo allora che la storia avesse un valore speciale, in un momento tragico per la civiltà: che fosse il racconto immaginoso di come la letteratura ha interpretato il mondo, la società e l’esistenza umana, prima con le voci anonime dei cantori popolari e poi attraverso le personalità singole di autori individuabili. Il racconto, quindi, di come la poesia abbia dato voce a popoli interi o a un cacciatore solitario nel bosco, commosso per la fine dell’inverno. Di come il teatro abbia messo in scena idee e passioni già molto prima dell’epoca romantica; di come il romanzo sia tutt’altro che il prodotto di un’era borghese o industriale, ma il frutto strano e arcaico di mondi e di tempi diversi, dal Giappone delle dame di corte all’Inghilterra in cui i teatri vennero improvvisamente chiusi.

Questo libro purtroppo non esiste. O meglio, esiste solo in parte: iniziava appena a nascere quando fu bruscamente interrotto. La sua autrice voleva chiamarlo Turning the Page o Reading at Random, titoli svagati, capricciosi; titoli liberi, senza impegno. Era Virginia Woolf e morì senza aver concluso il libro, che rimase appena abbozzato.

Sapevo di quel testo senza conoscerlo: ne parla – solo con qualche accenno – Quentin Bell nella sua grande biografia, ripubblicata di recente con il titolo un po’ comico Virgina Woolf, mia zia (La Tartaruga 2011), che può far pensare alla scrittrice come a una vecchia stravagante che alleva pappagalli. L’ultima opera woolfiana rimaneva un mistero, almeno per me, fino a quando internet non me l’ha fatta scoprire (la rete offre a volte questo tipo di regali inimmaginabili). Brenda Silver, negli anni settanta del Novecento, aveva confrontato le varie versioni del testo e ne aveva pubblicato un modello coerente su una rivista americana. Esisteva anche una versione italiana, ormai però fuori commercio.

Quando si trova un testo particolarmente bello e poco noto, si dovrebbe resistere alla tentazione ingenua di esplorarlo sentendosi i primi lettori al mondo di quelle parole: ma o si fa così o non succede niente. Nel frattempo all’estero gli studiosi iniziavano a interessarsi cautamente a quell’opera incompiuta, ed era giusto che non solo i critici stranieri ma anche i lettori italiani potessero scoprirla di nuovo; d’altra parte, proporre a un editore un testo così anomalo non era una cosa facile. In questi casi occorre anzitutto saper comunicare il proprio fervore nella maniera giusta e individuare non solo un editore che decida di impegnarsi con entusiasmo in un progetto, ma anche una collana adatta al testo.

Ho avuto la fortuna di scoprire la collana “Le Matite del Lama”, il cui formato è ideale: testi brevi (un po’ come nei rimpianti, meravigliosi “Centopagine” Einaudi, quelli di Italo Calvino), inviti alla lettura. Ma il testo di Reading at Random, per quanto scarno, richiedeva una spiegazione introduttiva e note esplicative, quindi, d’accordo con la Nuova editrice Berti, si è deciso di farne due volumi: Anon, nel 2015, e Leggere a caso, soltanto un anno dopo. Demetrio Costa ha accettato di decorare le pagine con fregi, capilettera e miniature che si accordano alla perfezione con la grafica della collana e impreziosiscono le pagine del testo.

Anon - Virginia WoolfDurante la stesura di Between the Acts (Fra un atto e l’altro), nel 1941, Virginia Woolf pensava a un nuovo progetto di scrittura, a metà fra il romanzo e il saggio: raccontare la storia della letteratura inglese in una forma inedita, lontana tanto dal manuale scolastico quanto dalla trattazione accademica. Compose il primo capitolo del libro, dedicato alla figura dell’autore anonimo (Anon, abbreviazione di Anonymous, appunto), emblema e specchio della tradizione orale che è alla base di ogni cultura; con fantasia critica lo rese un personaggio romanzesco, dotato di carattere e atteggiamenti peculiari. Anon muore con l’avvento della stampa, che fissa concretamente la parola scritta su carta, senza lasciare spazio a modifiche o interpolazioni. Il capitolo successivo doveva tentare di definire un’altra figura essenziale nella sfera della scrittura: il lettore. Se nel primo capitolo era stato affrontato il tema dell’oralità, nel secondo l’idea portante sarebbe stata la modalità della ricezione. Da teorica raffinata e preveggente, Virginia Woolf aveva colto nel segno: due questioni sempre più dibattute dalla critica contemporanea. Di tutto ciò che sarebbe venuto dopo, restano appunti e schemi preparatori. Questo è l’insieme dei materiali di cui si compone Reading at Random.

Lavorare su una materia ancora grezza

Occorreva quindi, ancor prima di tradurlo, verificare in concreto lo stato dei manoscritti, ripercorrendo dal vivo il lavoro filologico compiuto dalla studiosa che li aveva esaminati e riuniti. Fatto questo, era necessario tener conto della situazione ancora provvisoria del testo, che aveva inesorabilmente a che fare anche con lo stile di scrittura: non si tratta ancora di una stesura definitiva, compiuta e fissata dall’autore. Benché esistano più versioni del medesimo capitolo, probabilmente Virginia Woolf sarebbe intervenuta ancora. È sempre interessante, comunque, interpretare frasi ancora in qualche modo fluide e non del tutto rifinite; molti dubbi derivano anche dai problemi di trascrizione, certe parole sono mancanti o illeggibili.

Virginia Woolf - Leggere a casoDevo dire purtroppo che non mi ha aiutato, in questo lavoro, nemmeno una sola riga di tutto quello che scrivono i traduttologi (almeno quelli a me noti) e so di attirarmi, con questo, molte antipatie. Ma non è loro la colpa. Credo che sia davvero difficile teorizzare su un lavoro estremamente empirico, qual è una traduzione, fornendo indicazioni utili alla prassi. D’altra parte, pensavo a quel che scrive Terry Eagleton della critica fenomenologica: “In essa il contesto storico dell’opera, il suo autore, la situazione che la produsse, i lettori a cui era destinata, vengono ignorati”. Per tradurre adeguatamente, erano esattamente questi gli elementi di cui avevo bisogno, uno per uno. E non solo per tradurre ma anche per comprendere le allusioni del testo, le criptocitazioni al suo interno, le intenzioni dell’espressione e addirittura il suo significato; anche perché sono esattamente questi gli elementi che Virginia Woolf prende in considerazione nella sua storia letteraria, che appare come un fiero ritorno alla “vecchia critica”, fertile e dialettica, molto lontana da qualunque astrazione metodologica. L’autrice si interroga sul valore e sul senso della storiografia in modi non dissimili da quelli di Hans Robert Jauss.

Lo stile woolfiano è tanto singolare e inconfondibile quanto difficile da definire: si può dire in sintesi che è una delle prose più nostalgiche nei confronti della poesia. Le sue frasi svelano sempre il loro legame con il verso poetico, non solo nella scrittura narrativa ma anche nei testi saggistici. Per esempio, Virginia Woolf usa la punteggiatura come fa Mallarmé quando scrive in prosa; per entrambi è uno strumento ritmico prima ancora che sintattico, serve ad animare musicalmente un periodo e a sottolineare l’importanza di termini precisi. La stessa cosa vale per certe costruzioni sintattiche, equivalenti a ripetizioni di formule, che possono far pensare all’ideazione di un testo, in un primo momento, per un’esposizione orale: la riproduzione modulare serve a sottolineare i concetti, a farli riecheggiare; anche l’uso insistito del punto e virgola ha la stessa funzione.

Uno degli scopi principali della traduzione era quello di mantenere l’ansia sottile che pervade queste frasi, ne rende dinamico l’accento e sembra voler fermare un tempo e un significato mentre una fine si avvicina.

massimoscotti61@gmail.com

M Scotti è traduttore dal francese