Il tempo fuori dai confini di Satin Island
intervista di Tiziana Merani a Tom McCarthy
dal numero di marzo 2017
Satin Island, l’ultimo lavoro di Tom McCarthy, finalista al prestigioso The Man Booker Prize 2015 ed edito da Bompiani nel 2016 nella versione tradotta da Anna Mioni (ed. orig. 2015, pp. 184, € 17), è un libro che volta le spalle alle comuni convenzioni del romanzo e srotola la planimetria di una storia, ignorando l’idea dei personaggi e della trama. D’altronde McCarthy è un artista proiettato in mille direzioni, fuori e dentro alla materia, sperimentatore e cavia, lo stesso che circa un ventennio fa ha fondato l’International Necronautical Society, un’associazione fittizia che come tema della rappresentazione artistica ha scelto la morte e la cui ragione sociale è “do for death what the Surrealists had done for sex”, ovvero “fare per la morte ciò che i surrealisti hanno fatto per il sesso”.
L’uomo, per McCarthy, è una rete, téchne, strumento, lingua, codice, sistema, e la tecnologia si limita a mostrarci ciò che siamo sempre stati. Mentre il precedente romanzo, C, era un libro sui mezzi di comunicazione e sulla realtà dei tempi moderni, Satin Island è una scheda madre, un documento ipermediale di testi, immagini, suoni, letteratura e notiziari, ambientato in una Londra solo potenzialmente contemporanea – il libro, infatti, rimette in discussione il concetto tradizionale di tempo – ma che si sposta da una città all’altra, Stoccolma, Francoforte, Parigi, Torino. E nella Genova del G8, raccontato da Madison, la ragazza di U., che rievoca i pestaggi e le violenze alla scuola Diaz avvenute in quel triste luglio del 2001.
L’antropologo denominato U., voce narrante del libro, ha l’incarico di redigere un documento etnografico immenso e misterioso, il Great Report, che riassuma in modo totale la nostra epoca. Ben presto ipnotizzato e stordito dalle immagini che registra quotidianamente, U. si ritrova a procrastinare, a riflettere in modo ossessivo su eventi che lo hanno colpito, a pensare in modo vorticoso a scene che hanno toccato il profondo della sua anima e sollevato interrogativi che tuttavia restano privi di risposta e alzano il livello del fluido in cui siamo immersi, quello dell’incertezza. Satin Island è un libro esigente, che chiede concentrazione ai lettori e alla fine della storia, non regala nessun appiglio per interpretazioni facili. Ma anche questo può essere un regalo.
All’inizio del libro il protagonista è bloccato all’aeroporto di Torino e si ritrova a leggere sul portatile un articolo dedicato alla sacra sindone. Lo colpisce il fatto che, nonostante la datazione radiometrica stabilisca che il reperto sia della metà del XIV secolo, questa scoperta non abbia incrinato le certezze dei credenti. Cos’è la fede?
La fede è la convinzione che ci sia una sovrastruttura intorno a noi che conferisce un significato trascendentale alle nostre vite. Nel mio romanzo questo è evidenziato in modi diversi: gli abitanti delle isole del Pacifico meridionale, seguaci del Culto del Cargo, pensano che costruendo piste di decollo faranno arrivare aerei carichi di beni destinati a loro; i paracadutisti credono nei moschettoni e nell’apertura automatica, nei dispositivi a decompressione delle loro sacche, nella resistenza dell’aria e così via. La grande promessa che ci fanno Apple e Google è che dietro a quel cerchietto che gira ci sia una rete imponente di servers, di segnali wi-fi e di cavi in fibra ottica, occupati a lavorare per fornirci i dati richiesti: non preoccupatevi, ci prendiamo cura di voi; ci sono gli angeli delle informazioni che danzano sulla capocchia di spillo della tua connessione wi-fi. Ma che accadrebbe se non ci fossero? Se il paracadute non fosse fissato? Se gli aerei non arrivassero?
Chi è U. e com’è nata l’idea di creare questo personaggio?
U. è in parte è ciascuno di noi – voi, io, chiunque – ma più nello specifico è un intellettuale, un ‘creativo’ che è abbastanza intelligente per iniziare a capire l’ente per cui lavora, a diffidarne e persino a opporvisi. Ma al tempo stesso U. è fortemente neutralizzato dal proprio coinvolgimento in veste di consulente di quell’azienda. Ho pensato all’Ulrich di Musil, nel libro L’uomo senza qualità. Ma teoricamente anche a uno dei personaggi di Kafka o di Dostoevskij.
Perché U. è un antropologo, e non, ad esempio, un fotoreporter o un artista?
L’antropologia è la moderna disciplina artistica per eccellenza: guardi il mondo e scrivi ciò che vedi. È un’attività totalmente letteraria – la prima legge dell’antropologia di Malinowski è semplice: annota tutto – ma si occupa anche di scienza, architettura, statistiche, sistemi. Scrivere, senza nessuna delle finzioni del XIX secolo.
Il mondo di U. è una specie di precognizione di un futuro apocalittico?
No, viviamo già in quel mondo. Il romanzo si situa in una sorta di soglia di passaggio tra il neoliberalismo e il fascismo. E da quando era stato pubblicato il libro ad oggi, con la Brexit e Trump, siamo indubbiamente scivolati verso il lato fascista di quella porta.
Potremmo considerare il libro una metafora del caos della vita?
No, la vita è già caotica di suo. Il libro è una parabola di tutti gli sforzi che facciamo per dare senso a quel caos: unire punti non collegati tra loro in costellazioni; cercare immagini nelle macchie di inchiostro di Rorschach. Ecco ciò di cui si occupano tutta l’attività artistica e l’attività umana.
Umberto Eco ha detto che i social media danno diritto di parola a legioni di idioti. I social media sono stimolatori di stupidità?
Beh, sono d’accordo che i nuovi social media abbiano dato diritto di parola a legioni di idioti ignoranti. Ma i vecchi media davano lo stesso diritto a legioni di idioti istruiti. In realtà i nuovi social media inducono a una maggiore stupidità dei vecchi per la minore ampiezza di cicli informativi che prevedono. In definitiva è una questione cibernetica.
I libri sono salutari?
No, assolutamente. Non hanno fatto molto bene a Don Chisciotte… Sono solo dei mezzi. La questione non riguarda tanto il formato di un mezzo, ma come viene letto e interpretato, e le conseguenze sociali che implica.
Esiste una letteratura contemporanea?
Satin Island è completamente proiettato verso la ricerca di ciò che è contemporaneo. Il contemporaneo è un grande feticcio di ogni epoca. Ciò che ho preso da autori come Musil e Mallarmé e inserito nel libro è la comprensione che non si possa essere contemporanei a sé stessi e nemmeno all’arte: la buona arte esprime una sorta di scollamento temporale, una serie di fessure. In pratica nella prima pagina di Satin Island rielaboro un verso di Amleto, la sua dichiarazione che ‘il tempo è fuori dai cardini’.
Quali sono i suoi autori preferiti? Hanno influenzato i suoi lavori?
Satin Island pullula di influenze, alcune incollate direttamente al romanzo. Ci sono interi passaggi che più o meno sono presi tali e quali da Shakespeare, Debord, Certeau. Come dico nell’introduzione, il lettore colto potrà divertirsi a rintracciare questi brani, se vorrà.
Può anticipare ai suoi lettori qualcosa sul prossimo libro?
Mi sto tuffando in studi che riguardano il mondo del tempo e del moto. E di Edipo.
t.merani@libero.it
T Merani è scrittrice