Croste nere e animali luminosi
recensione di Luca Fiorentini
dal numero di luglio/agosto 2017
Sandro Campani
IL GIRO DEL MIELE
pp. 242, € 19,50
Einaudi, Torino 2017
Già nella sua prima, mirabile pagina, Il giro del miele rivela la qualità della scrittura di Sandro Campani, ricchissima sia sul piano linguistico sia su quello concettuale e immaginativo. Il personaggio che narra, Giampiero, riemerge dal sogno di un rogo in cui le fiamme hanno assunto la forma di “costruzioni dalla sagoma incostante, capanne dalle cui pareti vive” si staccano “ogni tanto croste nere, poi bocche d’animali luminosi”. È mezzanotte, e Giampiero si è assopito da qualche minuto di fronte al camino. Il vento soffia con particolare violenza, moltiplicando i rumori che provengono dall’esterno – i fatti si svolgono in un piccolo villaggio di montagna, sul versante emiliano dell’Appennino – e proiettandoli nel sogno. A prevalere sugli altri è un battito che per intensità e durata non può essere casuale: è infatti il richiamo di qualcuno che bussa alla porta. Giampiero va ad aprire e di fronte a sé riconosce Davide; vedendolo, pensa che “era destino che arrivasse, prima o poi”.
Tutto inizia così, con una visita notturna non annunciata ma in qualche modo prevedibile, che quasi appare come un’emanazione della stessa atmosfera onirica nella quale viene a prodursi. Giampiero e Davide si siedono l’uno di fronte all’altro, mentre la moglie del primo, Ida, si è già ritirata nella camera da letto. Davide ha appreso che Silvia, da cui è separato da dieci anni, ha mantenuto rapporti piuttosto stretti con Ida e Giampiero e che non di rado è loro ospite: vorrebbe perciò che Giampiero lo avvertisse in anticipo del suo prossimo passaggio, per consentirgli di incontrarla. Nel rifiuto dell’interlocutore è iscritto il nucleo narrativo al quale il romanzo offrirà uno scrupoloso svolgimento, ossia la vicenda di Davide e Silvia, uniti da un vincolo in cui la grazia iniziale della spontaneità porta con sé una promessa che non sarà poi mantenuta. La reazione brutale di Davide alle sciagure che lo colpiranno finirà infatti per generare nella donna uno sgomento che andrà via via accrescendo, combinandosi a paure antiche e risolvendosi in una definitiva repulsione nei confronti del marito: repulsione che spingerà Silvia ad allontanare per sempre Davide da sé.
Incontro tra nature diverse
Se la deriva rabbiosa di Davide non ha mai per oggetto la moglie, è nondimeno il sintomo di una disponibilità alla violenza che esercita su Silvia un effetto distruttivo. E tuttavia non c’è solo questo: prigioniero di un senso dolente di sé, da cui tra origine l’impulso a tradurre precipitosamente in atto ciò che crede di possedere in potenza, Davide si perde allorché è vanificata dal caso l’azione “creatrice” alla quale egli aveva deciso di affidare la propria scommessa per essere nel mondo. A ciò segue un rapido impoverimento psichico, rivelatore però – ecco il nucleo tragico del racconto – di una natura incapace di pensarsi in termini autenticamente relazionali. Dalla presa di coscienza del radicale impulso all’isolamento che abita Davide muoverà il congedo di Silvia, esposta al dolore di assistere alla distruzione di un rapporto nel quale aveva voluto riconoscere l’occasione per realizzare e proteggere la felicità cercata, non senza pena, fin dalla prima giovinezza: la felicità di appartenere. Quasi necessariamente, ne deriverà per lei un sentimento delle cose non disponibile a sottomettersi al principio di reversibilità. Se al centro del romanzo è dunque l’avvenuta perdita dei presupposti stessi di una relazione, non è secondario il graduale rivelarsi delle vicende che hanno unito nel passato i personaggi sulla scena: Giampiero è stato il primo e l’unico apprendista del padre di Davide, Uliano, abilissimo falegname che a Giampiero si è affezionato come a un figlio, di fatto accogliendolo come tale in famiglia. Ma Giampiero non è – o meglio, non è soltanto – l’involontario usurpatore del ruolo di Davide, è anzi il testimone di una naturale inclinazione a trovare nei legami una patria, a essere integralmente negli affetti: è l’esempio di una possibilità di esistenza che Davide non riesce a fare sua. Tra i due sussiste perciò un rapporto ambivalente, dove si alternano prossimità e distanza, un’istintiva ricerca di conforto e un non meno spontaneo impulso al conflitto, se non al silenzio.
Di questo complesso e doloroso incontro tra nature diverse Sandro Campani restituisce una rappresentazione eccezionalmente fine, vivificando i dialoghi tramite una una leggera patina dialettale e soffermandosi con attenzione sulla resa dei gesti dei personaggi, i cui pensieri si svelano nei movimenti prima – e talvolta meglio – che nelle parole. Attorno alle storie di Davide, Silvia e Giampiero si delinea un paesaggio misterioso e denso di vita, percorso da entità inafferrabili che vigilano sulle azioni degli esseri umani e ne custodiscono i segreti. L’affinità con un “meraviglioso” di stampo biblico è vistosa. Il lento affiorare dei significati celati nelle cose, così com’è descritto nel Giro del miele, non vuole del resto essere astrazione simbolica ma annuncio di realtà.
luca.fiorentini@college-de-france.fr
L Fiorentini è ricercatore in letterature moderne al Collège de France di Parigi